di Alessandro Mustillo
Il 25 marzo il Partito Comunista e il Fronte della Gioventù Comunista saranno in piazza a Roma in occasione del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, con cui vennero istituite la CEE la CECA e l’Euratom, gli antenati dell’Unione Europea. A Roma sono attesi oltre cento capi di stato e di governo che celebreranno questo anniversario. Da settimane i media diffondono servizi sulla UE, sullo spirito di Ventotene, di parla di Europa a due velocità come soluzione alla crisi attuale. Secondo i sondaggi il consenso all’Unione Europea non è mai stato così basso. Solo il 48% afferma infatti nel gennaio 2017 di non voler uscire dalla UE, a fronte dell’oltre 70% di pochi anni fa. Il 58% degli italiani, in un sondaggio diffuso ieri dalla trasmissione Piazza Pulita, ritiene svantaggiosa la presenza nella UE.
L’operazione simpatia tentata dalle istituzioni europee e dai media, non funziona. Le ultime frasi del presidente dell’eurogruppo hanno riportato l’attenzione sui contrasti strutturali in senso alla UE, alimentando a pochi giorni dall’anniversario critiche e malumori. Anche i tentativi di rilancio di un’altra Europa possibile dei settori della sinistra radicale unionista restano privi di seguito, come dimostra il flop della conferenza di Tsipras alla Sapienza. A nulla valgono le parole di Mattarella che ammonisce contro la prospettiva di una rottura dell’unità europea.
Perché i comunisti saranno in piazza il 25 marzo? Innanzitutto perché è necessario che l’opposizione all’Unione Europea torni ad essere percepita come una nostra parola d’ordine. Nel 1957 i comunisti furono gli unici ad opporsi all’ingresso dell’Italia nella CEE, rifiutando proprio i Trattati di Roma. La posizione del PCI all’epoca individuò tutte le conseguenze problematiche dell’ingresso nel mercato comune. Lo strapotere dei grandi monopoli finanziari, dei settori del grande capitale a scapito dei diritti dei lavoratori. L’incremento, attraverso il mercato unico della competizione al ribasso tra lavoratori, utilizzando la libera circolazione come strumento per incrementare i profitti del capitale a scapito delle classi popolari. Il PCI ribadì il suo no anche alla pretesa dell’Europa unita di essere fattore di pace, elemento dimostrato in questi anni con la partecipazione dei paesi europei, con l’assenso delle istituzioni comunitarie, agli interventi imperialisti in decine di paesi.
Nel 1992 i comunisti furono gli unici ad opporsi al Tratatto di Maastricht votando contro in Parlamento. Votarono anche contro il Trattato di Lisbona, e contro ogni trattato che oggi traccia il disegno della gabbia della UE. In tutte queste occasioni prima il MSI, poi la Lega Nord votarono a favore, mentre oggi titolari ed eredi fanno a professione di antieuropeismo. Non si può lasciare alle forze di destra la contrarietà all’Unione Europea, come oggi accade. Come si legge nel comunicato del Partito Comunista: «I comunisti non si uniscono a quella parte della sinistra che si nutre di illusioni sulla riformabilità della UE, e peggio ancora, illude le classi popolari sulla natura del processo unitario europeo contribuendo a mascherarne la reale essenza, ossia il carattere di strumento degli interessi del grande capitale. La vicenda greca ha dato ragione a chi coerentemente non ha riposto alcuna fiducia nell’idea di poter cambiare il sistema europeo dall’interno, come la capitolazione del governo Tsipras e delle illusioni della sinistra europea ha ampliamente dimostrato. Allo stesso tempo, come comunisti, abbiamo il dovere di indicare una via d’uscita in senso progressista e favorevole agli interessi dei lavoratori e delle classi popolari, dal sistema della UE. Solo in questo modo sarà possibile arginare l’avanzata della destra nei settori popolari, combattere la visione reazionaria che utilizza l’antieuropeismo come mero pretesto per riaffermare un sistema di sfruttamento su base nazionale, fondato sul potere dello stesso capitale nazionale che è responsabile e primo fautore dell’adesione dell’Italia al mercato comune».
La crisi del progetto europeo rende necessario organizzarsi. La parola d’ordine dell’uscita dalla UE non è più come tempo fa qualcosa di irrealistico. Settori stessi del capitale italiano sono disponibili a trattare un’uscita, premono in questa direzione. Altri settori preferiscono la proposta dell’Europa a due velocità, altri ancora la sola uscita dall’euro. Non bisogna fare confusione tra queste situazioni, come pure viene fatto in alcune piattaforme, o illudersi di poter gestire processi intermedi. La proposta dell’Europa a due velocità deve essere rigettata senza appello. Essa punta a creare un doppio binario di condizioni salariali e di diritti per rispondere alla competizione internazionale sul costo del lavoro. Abbassare i salari, magari attraverso l’adozione di una moneta unica differente, è un piatto ghiotto per il capitale, ma sarebbe a totale svantaggio dei lavoratori e delle classi popolari. Identico obiettivo si realizzerebbe con la semplice uscita dall’euro ed il ritorno alla lira, ma permanendo in un sistema di leggi comunitario, in cui la maggior parte della legislazione nazionale è condizionata, se non semplice applicazione delle direttive europee. Anche questa soluzione finirebbe per corrispondere al disegno di una parte delle classi dominanti, ma non agli interessi dei lavoratori.
La contrapposizione tra paesi del “sud” e del “nord” Europa altro non è che questo, con i settori dominanti del capitale di questi paesi che alimentano questa contrapposizione, con i governi e i partiti di opposizione tutti allineati indipendentemente dal colore politico, come simostrano i vertici che hanno visto Renzi, Hollande (PSE) insieme a Tsipras (Sinistra Europea) e Rajoy (Partito Popolare) condividere dichiarazioni comuni, o lo sdegno unanime contro le idiote affermazioni di Dijsselbloem.
Non crediamo infine che sia possibile slegare la questione dell’uscita dalla UE, dall’euro e dalla Nato, dalla discussione sul modello di sistema, sui rapporti sociali, che tale uscita dovrebbe comportare. Non siamo quindi disponibili ad assecondare nuove forme di alleanze “democratiche” che pongono obiettivi graduali. La storia ha dimostrato che ogni forma di gradualismo si risolve nell’utilizzo delle classi popolari come manovalanza per gli interessi di determinati settori del capitale in lotta con altri. Non aderiamo all’idea illusoria della conquista di una società democratica, della lotta al liberismo, da sostituire con altre visioni economiche tutte interne a questo modello di sistema. Praticare l’uscita dalla UE, dall’euro e dalla Nato significa per noi praticare la rottura del sistema di rapporti capitalistici, conquistare il potere popolare, il potere dei lavoratori.
Al comizio del Partito Comunista, organizzato insieme con i partiti dell’Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa, parteciperanno lavoratori in prima fila nelle lotte. Sono previsti gli interventi dei lavoratori di Almaviva, Alitalia, Tim, Fiat in lotta. Tra gli ospiti internazionali che prenderanno parola al comizio: l’europarlamentare del KKE Zarianopoulos, esponenti dei partiti comunisti di Francia, Spagna, Austria. I comunisti rimarcano in questo modo la loro vocazione internazionalista a sostegno delle lotte, e nella direzione dell’unità internazionale dei lavoratori. Unità che potrà realizzarsi solo attraverso l’abbattimento delle strutture imperialiste che comprimono i diritti dei popoli europei nell’interesse del capitale.
Per questo il no comunista all’Unione Europea non può essere assimilato – come tentano di fare gli esponenti dei partiti di governo – alla posizione delle forze reazionarie, dell’antipolitica dei cinque stelle, per giunta mai coerenti su questo punto, pronti a variare le proprie posizioni, per accreditarsi come forza di governo. Il no comunista non è la semplice lotta al capitalismo globalizzato per il ritorno allo sfruttamento capitalistico nazionale, ammesso che tale processo sia possibile nello stadio attuale di sviluppo del capitalismo. Non è un dire no ad un’alleanza imperialista per sostenere il ritorno all’imperialismo nazionale, coma fa il FN in Francia sostenendo le politiche imperialiste francesi in africa, o come fa la Lega in Italia ogni volta che invoca sostiene le missioni militari all’estero o invoca interventi internazionali più risoluti. E’ un no che viaggia parallelamente alla rottura del potere imperialista, per la vera liberazione dei popoli, dalle logiche che oggi determinano sfruttamento, guerra, costringendo migliaia di persone ad emigrare.
Per tutte queste ragioni, a testa alta, i comunisti saranno in piazza il 25 marzo per il comizio a Piazzale Tiburtino. Per riaffermare il nostro no all’Europa delle banche dei padroni. Per dire che solo l’uscita dell’Italia dalla UE, dall’euro e dalla Nato, solo la lotta per il socialismo, può liberare i lavoratori e le classi popolari. Solo questo processo rivoluzionario può dare ai lavoratori il controllo della società strappandolo alla finanza e mandando a casa i partiti politici asserviti a quegli interessi.