Questa mattina, una delegazione del Partito Comunista di Brescia, si è recata in Piazza della Loggia a deporre una corona di fiori alla stele sulla quale sono incisi i nomi delle 8 persone che il 28 maggio 1974 persero la vita nel corso di una manifestazione antifascista e sindacale.
Giulietta Banzi
Livia Bottardi
Euplo Natali
Luigi Pinto
Bartolomeo Talenti
Clementina Calzari
Alberto Trebeschi
Vittorio Zambarda
Un doloroso elenco: 5 insegnanti, due operai e un pensionato, ex partigiano.
Manifestavano, tutti, contro il terrorismo nero, l’MSI e, nello specifico, contro i numerosi atti intimidatori e attentati che quell’anno erano avvenuti nella città e nella provincia di Brescia:
– l’attentato all’ingresso della Coop di Viale Venezia, alla sede della CISL di via Zadei, alla macelleria di via Ducco, alla sede del PSI
– il fermo di due fascisti, a Sonico, che trasportavano nell’auto ingenti quantità di esplosivo e di denaro, 5 milioni di lire;
– la morte di Silvio Ferrari, un giovanissimo fascista, dilaniato nei pressi di Piazza Mercato dall’esplosione della bomba che trasportava sulla sua vespa;
– la lettera, inviata al Giornale di Brescia qualche giorno prima del 28, che preannunciava stragi (e che non fu pubblicata, in accordo con Questura e Prefettura, per non alimentare ancora di più paura e terrore).
La manifestazione era stata indetta dal CUPA (Comitato Unitario Permanente Antifascista) e dalle Segreterie Provinciali del Sindacato Unitario CGIL CISL UIL.
I manifestanti, molti dei quali accalcati sotto i portici per ripararsi dalla pioggia, quel giorno, allo scoppio della bomba (posta in un cestino metallico a ridosso di una colonna, nella parte est della piazza) stavano seguendo il comizio e ascoltando l’intervento di Franco Castrezzati (a nome delle organizzazioni sindacali); dopo, sarebbe toccato a Terraroli (a nome delle organizzazioni politiche).
Ma il primo non riuscì a finire il discorso: alle 10,12 la bomba scoppiò, portandosi via la vita di otto persone e ferendone altre 102.
Per arrivare a una verità processuale e alla condanna di Carlo Maria Maggi, elemento di spicco di Ordine Nuovo e di Maurizio Tramonte (la “Fonte Tritone” dei Servizi Segreti Italiani), si son dovuti aspettare 43 anni. Una condanna tardiva e parziale, dunque. Altri nel tempo furono scagionati, altri ancora morirono prima o scapparono via dall’Italia.
Ma pur sempre una condanna, una vittoria in termini di un minimo di giustizia e verità finalmente raggiunte, un punto fermo. Altre stragi di quel periodo, troppe, rimasero impunite.
Questa verità processuale, inoltre, fa luce anche su altri attentati di quel periodo, a partire da quello di Piazza Fontana e quello alla Questura di Milano del 1973: qualcuno la definì un piccolo pezzo, ma importante perché centrale e indispensabile a ricomporre l’intero puzzle.
Certo, avrebbe dovuto dare delle risposte anche riguardo a chi fossero stati i finanziatori, gli ideatori, gli organizzatori, oltre che gli esecutori. Così non è stato.
Oggi, a distanza di quarantasei anni da allora, può sembrare superfluo continuare a parlare ancora di quella strage: tutto è stato ormai detto e scritto.
Ma per noi, invece, è ugualmente fondamentale continuare a mantenere vivo il ricordo di quelle vittime, dei feriti, dei loro familiari, di un’intera città e di un paese tutto; riteniamo che ci sia bisogno di continuare a trasmettere la memoria di quanto accaduto, ma, soprattutto di VIGILARE sulla Verità, affinché essa non venga mistificata o ignorata.
E’ confermato che più passa il tempo, più questo rischio aumenta. Un’indagine del Censis, pubblicata in occasione del quarantesimo anniversario della strage, nel libro della CASA DELLA MEMORIA stampato nel 2018 e relativa a “I giovani di Brescia e la Memoria”, fornisce dati emblematici in merito: dubbi, confusione, assenza di verità aumentano col passar del tempo e si giunge, dopo qualche decennio, a ritenere, da parte delle nuove generazioni che i responsabili delle stragi di allora siano Mafia e Terrorismo Rosso in primis.
Vigilare sulla verità diventa allora fondamentale, per noi comunisti, affinché la storia non venga ignorata o “riscritta” a uso e consumo dei potenti di turno e affinché i protagonisti della storia non vengano arbitrariamente estromessi da essa.
E’ successo, anche per altre date importanti, come quella del 25 aprile 1945: a distanza di pochi anni dalla Liberazione tutti avevano ben chiaro in mente chi fosse stato il liberatore dell’Europa dal Nazifascismo: il Comunismo, l’Urss, l’Armata Rossa di Stalin. Oggi, dopo anni di revisionismo, molti nonché lo sanno più e allora accettano passivamente la ricostruzione, che di storico non ha nulla, secondo la quale il 25 aprile la democrazia USA ha vinto sui totalitarismi e i carrarmati americani (come nel film di Benigni) liberarono “i prigionieri di Auschwitz”.
Parimenti, della strage finora si è parlato, si è celebrato, si è ricordato, senza mai (o quasi mai) menzionare che l’obiettivo principale sia della strategia della Tensione, che della Politica stragista era fermare le conquiste sociali di quegli anni: Statuto dei diritti dei lavoratori, 1970; legge sulle lavoratrici madri, 1971; scala mobile,1975 riforma della Sanità come diritto universale alle prestazioni sanitarie; riforma della casa (con la legge 167 si affermava il principio del diritto all’abitazione attraverso la costruzione e l’assegnazione di case di edilizia popolare)
E le parallele conquiste importanti si facevano nel campo dei diritti civili (basti pensare al 1974, quando si conclude la battaglia sul divorzio con la vittoria nel Referendum Abrogativo della legge)
E’ in quel periodo che si fece un salto di qualità, nel senso della scelta della politica stragista.
La lotta politica non bastava, quindi, più, bisognava ricorrere al terrore, far aumentare il desiderio di sicurezza e inibire il desiderio di cambiamento dei primi anni Settanta.
Per concludere, la strage di Piazza Loggia, va inserita, assieme alle altre di quel periodo, nel quadro della Strategia della Tensione, che inizia nel 1969, con la strage di Piazza Fontana, ma ha un lungo periodo di incubazione che parte dal secondo dopoguerra, dal 1960. Quando, con le dimissioni “forzate” di Tambroni e la conseguente caduta del suo governo monocolore democristiano, svaniscono le speranze dell’ MSI (che lo aveva voluto e sostenuto) di condizionare la politica italiana premendo sulla DC.
L’anticomunismo da sempre connota la vita della nostra Repubblica, quindi, dai tempi del Sifar (servizio Segreto militare) che nel 1954 elaborava una tesi per mettere fuori legge il Partito Comunista e i suoi simboli, ai tempi del piano antisommossa del Comandante dei carabinieri Giovanni de Lorenzo, il Piano Solo, che prevedeva l’arresto e la deportazione dei dirigenti socialisti e comunisti, del Sindacato e delle associazioni partigiane.
E ancora oggi, che da allora è passato tanto tempo, la Guerra Fredda sembra un lontano ricordo, i Partiti Comunisti, pur non avendo la forza e le dimensioni che avevano in quegli anni, si cerca nella “democratica” Europa di metterli fuori legge o di ostacolarne in tutti i modi l’attività (basti pensare alla risoluzione del Parlamento Europeo che, di fatto, vorrebbe equipararlo al nazifascismo).
Questa è la prova che il Partito comunista continui ad essere l’unico elemento rivoluzionario, l’unica vera opposizione a questo marcio sistema capitalistico.
Ed è per questo che, oggi più che mai, bisogna lottare perché esso torni a essere nuovamente lo strumento di lotta e di organizzazione dei lavoratori e delle classi popolari.