Pochissime sono le voci politiche e sindacali che si sono smarcati dagli univoci toni trionfalistici intorno all’accordo siglato al MISE lo scorso 6 settembre tra CGIL, CISL, UIL e USB da un lato e la nuova proprietà Am Investco, sotto la regia del governo, prima a guida PD e oggi a guida M5S-Lega, che ha portato alla cessione dell’ILVA al colosso mondiale leader del settore dell’acciaio, ArcelorMittal, col plauso di Confindustria.
Venduto da tutti gli attori protagonisti come “il migliore degli accordi possibili”, in realtà cela l’ennesimo accordo peggiorativo per i lavoratori chiamati da oggi fino a giovedì ad esprimersi con un referendum che si tiene sotto il tremendo e consueto ricatto dell’“unica alternativa possibile” per conservare il posto di lavoro amplificato dalle menzogne diffuse da tutti gli organismi del capitale.
“Se Ilva vuole produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio lo deve fare senza aumentare di nulla le emissioni che ci sono”, affermano i rappresentanti del governo M5S-Lega, spacciando ciò come un grande risultato a difesa della salute e dell’ambiente, dimenticando che già in queste condizioni gli infortuni e i morti sul lavoro sono all’ordine del giorno, sia fra gli operai costretti a lavorare senza sicurezza che tra i loro famigliari e la popolazione.
Ad opporsi fermamente a questo accordo, la FMLU-CUB che chiama gli operai dell’ILVA a votare NO per rilanciare la lotta a garanzia del lavoro e della salute.
Nel suo comunicato il sindacato conflittuale dei metalmeccanici afferma che si tratta del «peggior risultato possibile» e che «a perdere sarà tutta la classe lavoratrice per le condizioni di sicurezza, di salute, di altri diritti a cui dovrà rinunciare pur di sperare in un posto di lavoro. A perdere saranno tutti i cittadini, non solo quelli di Taranto, perché questo accordo ratifica la limitazione al diritto alla salute e ad un ambiente salubre, sacrificati all’altare del profitto».
Smontati punto per punto i termini dell’accordo, sia sul fronte propriamente lavorativo che ambientale. Al contrario di quanto affermato su tutti i media, dal governo, in particolare il ministro Di Maio, e dalle forze politiche e sindacali filo-padronali, «non si fermano le fonti inquinanti, sequestrate dalla magistratura già nel 2012», non è previsto «nessun piano per rimuovere l’enorme quantità di amianto, ancora presente nel sito ILVA di Taranto», e si mantiene «l’immunità penale» – sia per i commissari che per i nuovi proprietari – che vuol dire «nessun colpevole per malattia e morte che potranno continuare a colpire lavoratori e cittadini del territorio».
Inoltre, sono «confermati circa 3000 esuberi, già dichiarati e accettati dai sindacati con la Cassa Integrazione un anno fa», con «10.700 lavoratori, suddivisi nei vari stabilimenti ILVA a livello nazionale» che «riceveranno una proposta di assunzione ex novo da MITTAL o dalle altre società collegate». «I lavoratori che intenderanno accettarla, dovranno procedere alle “dimissioni consensuali” con ILVA – prosegue il comunicato della federazione dei metalmeccanici CUB – e accettare un nuovo rapporto di lavoro, rinunciare al diritto di continuità lavorativa, garantito dalla legge nei casi di cessione di ramo d’azienda dall’art. 2112 del Cod. Civ., che garantirebbe stesso livello, mansioni, luogo di lavoro e retribuzione. Devono accettare tutte le condizioni di AM investCo (luogo di lavoro, anche in altre sedi del gruppo; livello e inquadramento del CCNL sulla base del contratto applicato da MITTAL o dalle altre società del gruppo)».
Smontata anche la narrazione intorno al mantenimento dell’art. 18. Secondo quanto analizzato dalla FMLU-CUB, i lavoratori «rinunciano di fatto all’applicazione dell’art.18 poiché accettano di instaurare un nuovo rapporto di lavoro, con applicazione del Jobs Act. Ciò vuol dire che, se MITTAL o associate non rispetteranno l’accordo ed in seguito licenzieranno un lavoratore proveniente dall’ILVA, il sindacato potrà soltanto denunciare un atteggiamento antisindacale. Il lavoratore, che intenda invocare l’applicazione dell’art. 18 contro il licenziamento, non potrà pretendere che il giudice sia vincolato ad esprimersi, poiché con l’instaurazione del nuovo rapporto di lavoro ha rinunciato alla continuità lavorativa.»
Inoltre i lavoratori, con questo accordo, rinunceranno sia nei confronti della nuova società che dell’ILVA, all’art. 2087 Cod. Civ. «cioè a qualsiasi causa che potrebbe instaurare per malattie o danni derivanti da mancanza di misure necessarie per tutelare l’integrità fisica che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare», e all’art. 2116 Cod. Civ. «che riguarda l’eventuale mancato versamento dei contributi previdenziali». Tali rinunce «valgono anche per chi accetta l’incentivo al licenziamento (da 15.000 euro a 100.000 euro lordi, in base ai tempi entro cui deciderà di uscire)» e per chi «rimarrà parcheggiato in Cassa Integrazione per 7 anni, con salario ridotto, sperando che entro agosto 2025 gli arrivi la proposta di assunzione».
In conclusione la FMLU-CUB sostiene che il pesantissimo attacco sferrato «alle condizioni di vita e di lavoro non colpisce soltanto i lavoratori ILVA ed i cittadini di Taranto. Le parti che hanno sottoscritto questo accordo hanno condannato i lavoratori tutti a sottomettere alle esigenze produttive i diritti fondamentali e irrinunciabili. Hanno condannato un’intera città, che tanto ha già pagato e tanto sta pagando, per colpa di fonti inquinanti che non verranno chiuse, per bonifiche reali che non verranno realizzate».
Insieme al sindacato conflittuale dei metalmeccanici anche il Partito Comunista si è espresso contro l’accordo con una nota del Segretario Generale, Marco Rizzo nel quale afferma che «il cambio di linea del M5S è strepitoso. Il decreto governativo viene mantenuto e permane anche l’immunità penale per gli inquinatori. Nessun piano ambientale, tanto meno di riconversione, restano gli impianti fuori norma e il lavoro viene comunque umiliato. Dei 13522 dipendenti di Taranto, se il lavoro è assicurato per 10.700 ne mancano all’appello 2822 che sarebbero parcheggiati in cassa integrazione, riceverebbero un incentivo o dal 2023, l’anno che verrà, verrebbero riassorbiti sulla base di un aumento della produzione (e della tossicità?) da parte della Mittel. Plaudono i sindacati concertativi corresponsabili del disastro. Esultano Calenda e Di Maio ovvero la continuità tra PD e M5S. Un vero capolavoro di ipocrisia».
La lotta dei lavoratori nella sua lunga storia ha visto il punto più alto quando si è smarcata dal ricatto occupazione-salute, non accettando la “monetizzazione” del peggioramento delle condizioni di lavoro, sia dal punto di vista dei diritti sindacali che da quello ambientale. La salute dei lavoratori e di tutti i cittadini non deve essere oggetto di mercificazione. Qualunque accettazione di “compromessi” al ribasso su questi temi non può fare altro che ridurre la capacità di lotta dei lavoratori e finisce per “abbellire” il capitalismo. Al contrario, la rivendicazione del rispetto di questi diritti inalienabili smaschera l’aspetto barbarico del capitalismo, la sua natura predatoria finalizzata in verità solo all’ottenimento del massimo profitto.
1 Comment
Sul Jobs Act hanno fatto marcia indietro, tradendo il programma elettorale. Il reddito di cittadinanza piano piano viene fuori e si scopre tale e quale al reddito di inclusione di Gentiloni, ergo siamo molto lontani dal sostegno universale per tutti i disoccupati. Sui migranti economici si stanno mostrando condiscendenti con quel fenomeno che denunciavano quando erano all’opposizione, il buonismo filo-capitale, in poche parole sono diventati buonisti anche loro, e buona notte ai lavoratori e ai disoccupati che perderanno diritti e potere retributivo e l’ILVA è solo la punta dell’iceberg… Le giravolte carpiate del M5S, in particolare quelle dell’Onorevole Di Maio, in fondo in fondo fanno tenerezza, sembrano eseguite da un dilettante, ma ho il sospetto che questa ingenua immaturità sia solo apparenza, finzione…