Dopo la pioggia di cancellazioni e ritardi che hanno riguardato i voli Ryan Air nel settembre scorso, il 15 dicembre prossimo si appresta a diventare una nuova data storica per la compagnia, che verrà coinvolta per la prima volta da uno sciopero sul suolo italiano. I piloti e gli assistenti di volo incroceranno le braccia per 4 ore in tutti gli scali italiani, e ugualmente sta cominciando a levarsi una simile protesta anche in altri aeroporti europei (in Germania e Irlanda sono state proclamate azioni analoghe, è possibile che ciò si estenda nei prossimi giorni anche in Svezia e Portogallo). Ogni sciopero riguardante il trasporto aereo è spesso accompagnato da forte risonanza mediatica, ma in questo caso si aggiunge un fattore ulteriore legato alla comunicazione fornita ai propri dipendenti dalla azienda per bocca del proprio Responsabile del Personale Eddie Wilson: “Ogni azione collettiva rivolta contro l’azienda dagli equipaggi risulterà immediatamente nella perdita della rotazione 5/3 (alternanza fra 5 giorni di lavoro e 3 di riposo), di eventuali aumenti di stipendio, promozioni e trasferimenti per i soggetti coinvolti”.
Scioperate e le ritorsioni saranno fortissime.
La minaccia padronale in questo momento viene rimpallata sulla maggior parte dei media nazionali, senza tuttavia considerare nella maggior parte dei casi le ragioni profonde che hanno potuto portare un monopolio internazionale leader del trasporto low cost ad un tale livello di aggressività contro i propri dipendenti, ragioni che corrispondono perfettamente con i motivi del grande successo economico dell’azienda. Analizzando le rivendicazioni della protesta nel comunicato del sindacato ANPAC in cima troviamo la richiesta per l’apertura di un tavolo che porti all’elaborazione di un contratto collettivo nazionale di lavoro, la stessa formulazione viene portata avanti anche in Germania ed Irlanda. Quello che si richiede di fatto non è solamente un aumento del salario, ma una completa ristrutturazione contrattuale. A differenza di quanto si potrebbe infatti pensare i lavoratori italiani di Ryan Air per lo più non sono assunti in Italia ed in effetti nella maggior parte dei casi non sono proprio assunti in Ryan Air, e questo è uno dei segreti del successo della compagnia.
L’azienda irlandese nata nel 1985 attualmente è quotata per 6,563 miliardi di euro (quasi il doppio della concorrente EasyJet, sei volte Vueling) ed è riconosciuta come la più grande compagnia per numero di passeggeri in Europa (117 milioni di utenti nel 2017). L’anno contabile 2016-2017 è stato chiuso con un utile di 1,31 miliardi di euro ed il CEO Micheal O’Leary ha assicurato di poterlo incrementare di un ulteriore 8% per il prossimo anno (1,45 mld). In una fase ormai pluriennale in cui il trasporto aereo di linea (vedi Alitalia) è in profonda crisi, le compagnie low cost prosperano e competono con le aziende tradizionali ormai a testa alta. La possibilità di Ryan Air di poter mantenere prezzi altamente concorrenziali è dovuta a vari fattori fra cui il principale resta la metodologia di assunzione e gestione dei contratti dei dipendenti. Sul costo del lavoro in Ryan Air non è difficile trovare informazioni, qui una per tutte un articolo sul Corriere della Sera di Fabio Savelli del 28 Aprile scorso il quale, pontificando sulle ragioni profonde del fallimento di Alitalia, arriva alla conclusione (assolutamente corretta in un’ottica padronale) che il “modello Ryan Air” rappresenta un virtuoso esempio di combinazione fra esternalizzazioni e contratti a zero ore che in effetti fa sì che l’azienda spenda meno della metà in stipendi rispetto alle proprie concorrenti (8% sul totale del bilancio, 16% per Alitalia, 22% per Lufthansa), con ovvie ripercussioni sul salario.
Una nota di colore: ieri la stessa testata che ad Aprile rivendicava l’efficacia del modello Ryan Air ha denunciato le pressioni l’azienda sta esercitando sui lavoratori in previsione dello sciopero del 15. Come accennato i piloti e gli assistenti di volo Ryan Air sono assunti da aziende interinali con sede per lo più in Inghilterra e Irlanda che forniscono personale alla compagnia. Il percorso ideale di solito è quello di essere contattato dall’agenzia (per esempio la CrewLink), seguire la formazione aziendale (a carico del futuro “dipendente”) ed essere mandato alla compagnia, spesso dopo l’apertura di una partita IVA in Irlanda o Inghilterra per l’appunto. Di fatto la maggior parte dei dipendenti di Ryan Air non sono affatto dipendenti ma lavoratori autonomi che forniscono prestazioni all’azienda. A ciò segue il modello contrattuale di retribuzione, prevalentemente a “zero ore”. Si tratta di una forma di cottimo sempre più diffusa secondo la quale piloti e assistenti vengono retribuiti solo ed esclusivamente per le ore di lavoro svolte in un determinato periodo, senza un monte orari fisso spesso, con scarse tutele in termini di malattia e ferie come denunciato da numerosi dipendenti. Tutto ciò ha permesso a Ryan Air di abbattere i costi del lavoro e divenire una delle compagnie più competitive del mondo, sulle spalle dei propri lavoratori. Valutato questo dato si acquisisce anche una comprensione maggiore di ciò che accaduto nel settembre scorso, quando l’azienda si è trovata costretta a cancellare i voli di 400.000 passeggeri. Al tempo si disse che il tutto fosse dovuto ad una errata organizzazione del piano feriale. Più volte tuttavia numerosi dipendenti hanno fatto notare la carenza di personale dovuta all’esodo di piloti (che spesso dopo alcuni anni tendono a cambiare compagnia), la quale si è scaricata in quello specifico periodo dell’anno (un totale di 700 defezioni nel 2017). Sulle stesse condizioni di lavoro degli assistenti di volo sono molteplici le denunce dei lavoratori. Premi produttività legati alle vendite a bordo non rappresentano semplicemente degli incentivi, ma costituiscono target lavorativi specifici. Qualora un assistente non li soddisfi l’azienda manda una specifica comunicazione domiciliare dove “invita” il dipendente a fare di meglio. A controllo di tutto ciò un fantomatico “Mistery passenger” spedito dalla compagnia sui propri voli insieme ai passeggeri, al fine di valutare il comportamento del personale. Questa condotta di fatto porta risultati e nel 2013 il 25% del fatturato di Ryan Air di fatto proveniva da attività non correlate allo svolgimento della tratta di volo, soprattutto vendite a bordo.
Contratti interinali, mancanza di tutele, mobbing aziendale e alcuna rappresentanza sindacale, questa per le aziende sempre più rappresenta il prototipo del lavoratore perfetto. Con la mobilitazione del 15 i dipendenti cercano il diritto alla rappresentanza e alla ridiscussione dei contratti, tuttavia la posizione della compagnia è chiara: i lavoratori italiani, tedeschi e così via sono sottoposti alla legislazione Irlandese/Inglese in termini di lavoro, dunque non possono aderire e promuovere azioni sindacali di carattere nazionale volte a raggiungere obiettivi di contrattazione specifici. L’azienda è perfettamente a conoscenza del fatto che la possibilità di rimanere concorrenziale sui costi dei voli è secondario alla possibilità di rimanere concorrenziale sul costo del lavoro, un’evidenza così semplice ed efficace che questo modello di assunzioni comincia a farsi spazio sempre più fra altre compagnie. Questa nuova declinazione specifica del conflitto Capitale-Lavoro mette nuovamente in luce come gli interessi dei padroni siano contrapposti a quelli dei lavoratori, come il successo dei primi sia costruito sullo sfruttamento persistente e protratto dei secondi. Davanti agli interessi padronali dei monopoli europei non ci sono confini in grado di tutelare i lavoratori, come lo dimostra la trasversalità con cui Ryan Air vessa i propri dipendenti in lungo e in largo fra i vari paesi europei (perfino nella tanto invidiata Germania). Il Partito Comunista appoggia la lotta dei dipendenti contro Ryan Air per un contratto collettivo ed una giusta rappresentanza, conscio che lo sciopero ora più che mai rappresenta l’unico strumento nelle mani dei lavoratori con cui si possa combattere e sconfiggere l’arroganza e la prepotenza padronali che regnano incontrastate in Italia e in Europa.