di Alberto Lombardo
In questa seconda parte ci occupiamo di un tema che invece non sembra destare allarme, ma che invece riteniamo dovrebbe essere messo al primo posto nella agenda della regolazione dei rapporti tra i cittadini. In particolare il diritto all’espressione e alla contestazione.
Partiamo da un esempio estremo che farà sorridere. Ben sappiamo che vi sono alcuni circoli in cui si ritiene che la Terra sia piatta. Si portano argomentazioni “inconfutabili” e “scientifiche”, contestando tutte le altre prove – fotografiche, cartografiche, ecc. – e ritenendo che quello che viene insegnato fin dalla più tenera età sia frutto di una gigantesca macchinazione.
Tali opinioni hanno diritto di essere diffuse, discusse senza alcuna limitazione?
Personalmente ritengo di sì. Anzi andrebbero portate alla luce del sole, andrebbero fatti dei dibattiti pubblici dove queste fantasie dovrebbero essere contestate con solidissimi argomenti, come peraltro non sarebbe difficile, in grado di convincere del contrario anche il più ostinato dei “complottisti”. Un programma televisivo del tipo “questa sera parliamo di …”. Quella “teoria” cadrebbe rovinosamente e non se ne parlerebbe più. Invece, se si nega a quella teoria il diritto di parola, il risultato più immediato è che essa continua a covare sotto la cenere, dietro il più classico dei “noncielodicono” che non fa che perpetuare all’infinito quella fola.
L’unica regola che dovrebbe essere rispettata in questi dibattiti dovrebbe essere: non esiste il principio di autorità, ossia non si può ricorrere a un giudizio esterno non corroborato da una dimostrazione logica di quell’affermazione. Anche se ad affermarlo è un Premio Nobel, egli/ella ci si deve fare il piacere di portare le sue argomentazioni dentro il dibattito e spiegarle per benino a tutti. Non è vero che la scienza è così complicata che ci sono cose che non si possono comprendere se non dopo anni e anni di studio. In verità dopo anni e anni di studio si è finalmente in grado di farsi capire da chiunque.
È una cosa tanto evidente che ci si dovrebbe chiedere perché non si fa così con tutto.
Gli argomenti non mancano: l’uomo sulla Luna, le scie chimiche, l’11 settembre, … se ci fosse un dibattito aperto e pubblico, si potrebbero giudicare le argomentazioni sulla base anche della chiarezza con cui queste vengono portate. E più i temi sono complessi e delicati, maggiore trasparenza e condivisione si dovrebbe adottare. Per esempio, non credo che la categoria di “negazionismo”, applicata a coloro che negano la veridicità dei campi di sterminio nazisti, e che la negazione (questa sì) per legge della possibilità per essi di esprimersi, renda un buon servizio alla diffusione e comprensione della storia dell’olocausto degli Ebrei.
Invece, impedire questi dibattiti non fa che alimentare dubbi sul fatto che in realtà chi condanna le tesi che vengono definite sbrigativamente “complottiste”, qualche limite nella propria argomentazione ce l’abbia.
In merito ai vaccini la gente sicuramente è rimasta stordita dal frastuono creato da notizie contraddittorie sui rischi dei vaccini disponibili, sulla non apertura ad altri vaccini extraeuropei ed extra-americani, nel momento della penuria, sui costi degli approvvigionamenti. In tv abbiamo assistito a dibattiti riguardanti i vaccini in cui l’assente era proprio la scienza. Si faceva a gara ad accavallare opinioni di esperti, che però tale esperienza non riuscivano a farla emergere. Col risultato che il pubblico è rimasto frastornato e a perdere è stata proprio la scienza che invece si diceva di voler servire.
Risultato: la diffidenza avanza. Per esempio non è stata fatta chiarezza sulle cure preventive o immediate prima che la malattia possa condurre al ricovero, eppure tanti medici ne hanno parlato, ma mai ne hanno parlato le autorità, se non per minimizzare o demonizzare l’uso di farmaci nella prima fase della malattia. Sono stati sbandierati i casi avversi di certi vaccini rispetto ad altri, salvo scoprire poi che i vaccini messi in discussione costano un decimo degli altri.
Invece è stato dato uno spazio abnorme, tra l’altro senza una reale confutazione, ma solo una derisione superficiale, ai veri “negazionisti”, capitanati dal pittoresco generale Pappalardo.
Ora, dal punto di vista del potere ideologico borghese si deve capire che il “negazionismo” è funzionale al mantenimento della reticenza da parte delle autorità, che possono cavarsela con un “… ma allora dài ragione a Pappalardo!”
Quindi il sistema di controllo ideologico ha bisogno di creare due “narrazioni”, una ufficiale e una “dissidente”, talmente estrema da risultare anch’essa compatibile con gli interessi del sistema.
In buona sostanza, il sistema ideologico ha bisogno di far schierare le due tifoserie che non si scontrano, come dovrebbe, su temi reali e documentati, ma solo sull’adesione spesso aprioristica all’una o all’altra squadra. Da un lato i sostenitori della “scienza” che usano come un randello la cosa meno scientifica che esista, ossia il principio di autorità, ossia quel principio contro cui i primi scienziati si son dovuti affrancare fin dai tempi di Galileo. Dall’altro la genia dei complottisti raccoglie quelle simpatie dei laureati su Facebook, che credono di saperla più lunga solo perché dicono il contrario di ciò che dice il main stream. Ora, anche ammettendo che il mainstream sia completamente asservito agli interessi monopolistici ed ammettendo che dicano solo bugie, la verità non si trova negando tutto. Sarebbe fin troppo semplice.
Tornando ai vaccini, contestarne l’uso esclusivo, non significa contestarne in assoluto l’efficacia. Infatti, in logica, dire che non è vero che c’è un solo sistema non significa dire che c’è un altro solo sistema, ma che ce ne possono essere diversi e complementari sui quali scegliere di volta in volta.
In verità il negazionista è perfettamente funzionale all’”affermazionista” perché gli consente di effettuare la ben nota operazione di “reductio ad Hitlerum”[1] e quindi di schiacciare l’uditorio forzatamente dalla propria parte: “non vorrete mica pensarla come quello lì!” … e quindi la dovete pensare come me.
Facciamo un esempio tratto dalla realtà forense. I costosissimi avvocati che tirarono fuori da grossissimi guai un noto personaggio dello sport statunitense accusato di omicidio, non lo fecero rintuzzando punto per punto tutte le prove a carico che erano state portate dalla polizia, ma solo dimostrando che una sola di esse era inattendibile ed anzi costruita in modo artificiale. Tutto il resto dell’accusa crollò dietro a questa banale argomentazione della difesa: “se vi portano un piatto di spaghetti dove dentro c’è uno scarafaggio, voi cosa fate? Fate togliere lo scarafaggio e vi mangiate il resto o fate portare indietro tutto il piatto? Probabilmente lasciate quel locale per sempre”.
Ebbene, a cosa serve costruire ed alimentare surrettiziamente una narrazione che sembra scientifica (come quella del terrapiattismo) e che prima o poi crollerà come un castello di carte? Serve a minare la fiducia del vasto e poco esperto e poco competente pubblico di internet che, insieme al terrapiattismo, rifiuterà da allora in poi tutte le contestazioni al mainstream, per quanto queste possano risultare scrupolose (“non mi fregate più!”). Vediamo infatti che, accanto a legittime domande su strane nubi che appaiono e scompaiono nel cielo (anzi dobbiamo dire: apparivano e scomparivano), si sovrappongono narrazioni che vanno oltre la più onirica fantascienza. “Non crederai mica ai rettiliani!” e quindi la discussione si chiude lì. Sugli eventi di New York del 2001: “non crederai mica che sia possibile organizzare tutto questo senza che nessuno ne sappia nulla e non abbia spiattellato il tutto alla stampa!” E poi: “ma se non è andata come raccontano, dimmi tu com’è andata”. E qui di solito l’interlocutore curioso, ma poco avveduto, si lancia in spiegazioni mirabolanti che non possono non avere quello “scarafaggio” che ne mina tutta la validità. Per non parlare poi dello sbarco sulla Luna in cui la prova provata, maestra, inconfondibile è l’esperimento della caduta dei gravi in assenza di attrito dell’aria, che sarebbe irripetibile sulla Terra (https://www.youtube.com/watch?v=xF8hEUKjauY), prova schiacciante se non fosse per un dettaglio (https://www.youtube.com/watch?v=E43-CfukEgs) davvero fastidioso.
In conclusione, il nostro Partito lo dice da tempo: “il potere borghese organizza il consenso, ma anche il dissenso”. Assistiamo a schieramenti contrapposti, tifoserie agguerritissime e suscettibilissime, scontri al calor bianco su dettagli irrilevanti del tutto personali e insindacabili, come i gusti personali di tutti i tipi e colori, difesa di minoranze talmente oppresse da riuscire a imporre la propria visione a tutta la società.
E guai a non schierarsi! Guai ad avvertire che forse il gioco che si sta giocando su quel terreno non è affatto funzionale agli interessi di chi lavora ogni giorno. Scatta subito l’accusa di “benaltrismo” se uno non si vuole far irretire in una discussione senza uscita.
Mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza. [Attribuita a O. Wilde]
AVVERTENZA PER IL LETTORE.
Nessuno potrebbe pretendere qui di esaurire in due righe temi così vasti e controversi che sono qui solo stati usati come esemplificazione di come non va condotta una discussione. Si desidera solo fissare alcune basi metodologiche e valutare come l’alterazione dei corretti canoni della polemica non può che favorire la narrazione del mainstream per la stragrande maggioranza del pubblico (che è poi quello che conta) e lasciare come alternativa comoda allo stesso potere la pseudo negazione di quella.
[1] La reductio ad Hitlerum (o reductio ad nazium) è un’espressione ironica che designa, sotto forma di falsa citazione latina, una tattica oratoria mirante a squalificare un interlocutore comparandolo ad Adolf Hitler o al Partito Nazista. Questa mossa polemica, basata su una fallacia logica riconducibile alla tipologia dell’argumentum ad hominem, può ottenere l’effetto di escludere la persona coinvolta dal campo politico o sociale evitando ogni dibattito di sostanza con questi. L’espressione è stata coniata negli anni cinquanta dallo studioso Leo Strauss, ed è una parafrasi della reductio ad unum. (da Wikipedia)