Il caso di Almaviva e più in generale tutto ciò che sta accadendo nel settore delle telecomunicazioni dimostrano la vera finalità delle politiche europee e della creazione di un mercato comune transnazionale. Quanto accade in questi giorni è l’epilogo di politiche che hanno fatto gli interessi del capitale riversando sui lavoratori ogni costo: prima le politiche di privatizzazione selvaggia del settore delle telecomunicazioni, poi il sistematico ricorso all’esternalizzazione e al sistema degli appalti, infine la delocalizzazione di imprese e settori produttivi in paesi con minore costo del lavoro, creando una concorrenza al ribasso tra i livelli salariali a tutto vantaggio delle imprese. Il risultato è stato un enorme trasferimento di ricchezza dal settore pubblico, e dalle tasche dei lavoratori, ai privati. I monopoli statali sono stati abbattuti, si sono create diverse aziende che operavano in un apparente regime di concorrenza, e oggi sulla base della stessa concorrenza si ricreano veri e propri monopoli, con una non trascurabile differenza: detenuti da soggetti privati. Non si tratta di politiche “fallimentari” ma di una sistematica redistribuzione al rovescio delle ricchezze, dai lavoratori ai grandi capitalisti. Se poi aggiungiamo che anche le società pubbliche, le amministrazioni ricorrono ad appalti esterni verso le società che garantiscono il massimo ribasso, sulla pelle dei lavoratori, per stare nelle strette maglie di un patto di stabilità che serve solo a regalare finanziamenti alle banche per il tramite degli interessi sul debito pubblico, il risultato è questo.
La stessa Almaviva ha per anni beneficiato, e continua a beneficiare di questa condizione. Con spregiudicatezza aziendale ha ottenuto un supporto pubblico non indifferente negli anni, con incentivi e ammortizzatori, e provveduto contemporaneamente ad abbattere il costo del lavoro attraverso il ricorso a contratti di solidarietà, frutto del ricatto verso i lavoratori e della complicità dei sindacati collaborazionisti. Ha chiuso e riaperto sedi a seconda di incentivi locali, cassa integrazione e altri contributi, utilizzando trattative sulla pelle dei lavoratori come arma di ricatto per ottenere forme di sostegno pubblico. Lo scorso marzo, in piena trattativa per i licenziamenti, la CUB denunciava che mentre al MISE si discutevano i licenziamenti di Roma, Napoli e Palermo nelle altre sedi, come Milano e Catania e Rende «i lavoratori hanno scoperto che l’azienda si sta preparando ad assumere dei lavoratori in contratto di somministrazione! Infatti, risulta che già si stanno predisponendo corsi di formazione e l’annuncio delle assunzioni è presente tra le offerte di lavoro proposte dalla Adecco per svolgere attività inbound per il 187 di TIM. L’annuncio dell’agenzia di lavoro interinale prevede, infatti, l’assunzione, con contratto di somministrazione, a partire dal 4 aprile 2016. Il tutto avviene in un’azienda che ha buona parte dei lavoratori in contratto di solidarietà da quasi 3 anni. E questo per un’attività come il 187 per conto di una società come Telecom, dove tanti lavoratori e soprattutto quelli del 187, stanno pure in contratto di solidarietà!» Se a questo si aggiunge la richiesta di trasferimenti forzati da Palermo a Rende, ossia dalla Sicilia alla Calabria, si comprende come l’operazione di Almaviva sia una grande ristrutturazione aziendale, per scaricare i lavoratori a più alto costo salariale beneficiando di forme contrattuali ancora peggiori, e situazioni locali che consentano maggiori margini di profitto. Commentando la situazione il Corriere della Sera scrive senza mezzi termini che il problema di Almaviva è «un costo del lavoro piuttosto alto perché gravato dagli scatti di anzianità dei centralinisti»
E’ evidente che ogni politica di compromesso al ribasso non porterà a nulla, se non all’accettazione passiva delle politiche padronali. La colpa ovviamente non è dei lavoratori, che stretti tra la perdita del lavoro con tutto ciò che comporta oggi, magari dopo anni di precariato e con una disoccupazione galoppante, sono disposti a cedere in cambio di portare a casa un salario sempre più misero. La colpa è delle forze sindacali collaborazioniste, di CGIL, CISL, UIL, UGL che in questi anni, hanno illuso i lavoratori portando a casa quei compromessi a ribasso, senza comprendere e far comprendere che ogni passo ceduto andava dritto nella direzione voluta dall’azienda. Che non si trattava di sacrifici temporanei ma di perdere tutto accettando passo dopo passo quello che sarebbe risultato inaccettabile se prospettato nella sua reale portata. Almaviva ha continuato a guadagnare sulla loro pelle, fino a scaricarli. Non è un caso che l’interesse per il nuovo contratto sulle telecomunicazioni sia così alto da parte delle associazioni padronali. Modificare il Contratto Collettivo Nazionale è la premessa per ottenere condizioni ancora peggiorative per i lavoratori a livello aziendale. La vicenda Almaviva è infine una enorme responsabilità dei governi che si sono succeduti, che hanno accettato ogni ricatto padronale, riuscendo solo a sovvenzionare con fondi pubblici, finendo per socializzare le perdite lasciando i profitti in mano privata. Almaviva e ciò che più in generale accade nelle telecomunicazioni, dimostrano la necessità del rafforzamento del sindacalismo di classe, della lotta contro quei compromessi al ribasso che portano solo alla sconfitta dei lavoratori. Non è solo una questione aziendale, e sindacale. Almaviva è una battaglia politica, perché i lavoratori potranno avere un futuro privo di ricatti, di sfruttamento, di precarietà esistenziale, solo quando ci libereremo del ricatto dell’Unione Europea e della sua politica filo-padronale, di governi asserviti agli interessi delle grandi imprese, di un sistema che fa dei lavoratori una merce sulla cui pelle guadagnano i padroni.