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ARTIGIANATO. LA GUERRA TRA ULTIMI E PENULTIMI

Uno studio di Confartigianato diffuso il 6 maggio denuncia le cifre di un fenomeno che è in atto da tempo, ma che l’attuale situazione economica economica – pandemia prima, crisi ucraina dopo –rischia di aggravare. L’inflazione – i costi di energia, materie prime e beni di prima necessità – va alle stelle e il potere d’acquisto delle famiglie si abbassa.

L’Istat ha diffuso i dati sulle vendite al dettaglio relativi al mese di marzo, registrando un calo dello 0,5% in valore e dello 0,6% in volume rispetto a febbraio. A livello tendenziale la crescita è ancora massiccia in termini di valore (+5,6%) soprattutto per i beni non alimentari, ma più ridotta in volume.

In questa situazione si inserisce il fenomeno dell’abusivismo, che viene additato come una delle cause della crisi del settore. Nello studio si rileva che sono «710mila le micro-aziende più esposte alla concorrenza sleale fatta da un milione di operatori abusivi, che sono il 14% dei soggetti che svolgono attività indipendente. In dieci anni sono cresciuti dello 0,6%».

Edilizia, parrucchieri, meccanici, impiantistica, idraulici e sarti, tassisti, giardinieri, traslocatori.

Il presidente di Confartigianato, Marco Granelli, ha chiesto “tolleranza zero” per «un fenomeno che sottrae lavoro e reddito ai piccoli imprenditori e risorse finanziarie allo Stato, oltre a minacciare la sicurezza e la salute dei consumatori.»

Ma siamo sicuri che questa sia la strada giusta?

In un mondo ideale non c’è dubbio che il rispetto delle regole favorisce l’artigiano che fa un lavoro corretto ed è giusto pagare per esso il giusto compenso. È anche vero che l’abusivismo nasconde sempre forme di sfruttamento particolarmente odiose verso i dipendenti e anche verso gli stessi operatori e le proprie famiglie.

Le tasse – sempre in un mondo ideale – contribuiscono a elevare il benessere della collettività, a redistribuire il reddito verso le fasce più basse, a finanziare gli strumenti che lo Stato deve esercitare per sua precipua funzione: istruzione, sanità, giustizia, difesa, pubblica amministrazione, sicurezza, direzione dell’economia, ecc.

Ma la realtà del nostro Paese è questa? Certo che no!

Istruzione e sanità vengono progressivamente privatizzate e le tasse servono a finanziare istituzioni private che fanno sempre più lauti profitti. La pubblica amministrazione è progressivamente svuotata delle sue capacità di controllo e di indirizzo a causa della carenza di organico in quantità e qualità, cosa che favorisce l’arrembaggio alle commesse pubbliche di soggetti che danno scandalo ogni giorno. La giustizia è sempre più la giustizia di chi se la può permettere: forte coi deboli e debole coi forti; le carceri traboccano di poveri cristi e i grossi pescecani la fanno franca. La difesa è sempre più offesa dei popoli oppressi con missioni che di pace non hanno nulla, ma che nascondono la subordinazione ad alleanze internazionali per le quali non abbiamo alcun interesse, come la NATO. La sicurezza garantisce sempre meno il cittadino comune, invece i lavoratori si trovano ogni giorno la macchina repressiva dello Stato rivolta contro le loro legittime proteste. In ultimo, il compito programmatorio dello Stato non c’è più da tempo: si favoriscono i soliti potentati raccontando la storiella che poi questi profitti defluiranno verso il basso.

Ancora più grave. Le tasse sono diventate antiprogressive: chi più ha, meno paga. Lo scandalo delle multinazionali internazionali che non pagano le tasse in Italia è intollerabile.

Poi viene raccontata anche la favola che una grande catena produttiva “crea” lavoro. È palesemente falso! Una grande concentrazione di distribuzione di panini, per esempio, assorbe una decina dipendenti e distrugge centinaia di piccoli produttori e quindi anche le loro economie e con esse anche il moltiplicatore di reddito che esso costituisce. Badiamo bene: una famiglia che fa e vende panini mette in moto anche una piccola economia col reddito che ricava; una grande catena assorbe solo profitto (che poi manda all’estero), paga poche tasse in Italia e distribuisce salari irrisori rispetto al plusvalore estratto. Quindi si impoverisce il redito complessivo della Nazione, non si incrementa col lavoro.

La soluzione che propone Confartigianato va nella direzione di risolvere questi problemi basilari? Crediamo di no.

L’abusivismo certo non è la soluzione, ma spesso è il rifugio di tanti lavoratori, precipitati nella crisi più nera, che cercano di arrabattarsi come meglio possono. Tanti di loro sarebbero felicissimi di poter lavorare in serenità secondo le regole e a prezzi remunerativi. È la spietata concorrenza senza quartiere, che favorisce solo il grande capitale, a regnare. Pensiamo infatti che l’abbattimento dei costi di queste prestazioni rende più accettabili anche i bassi salari dei lavoratori dipendenti. Se puoi trovare la badante o l’idraulico a prezzi stracciati, allora riesci ad arrivare a fine mese anche col tuo misero stipendio. È il cane che si morde la coda.

Il problema non si può risolvere dalla coda, dal risultato finale, ma va affrontato alla radice. Più alti salari per i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, più occupazione, meno tasse sul lavoro e più tasse sui profitti, più controlli sulla sicurezza del lavoro e lotta all’evasione ed elusione fiscale – quella vera – delle grandi società che schermano i profitti o che li portano nei paradisi fiscali.

Solo allora si potrà e si dovrà chiedere anche ai piccoli di fare il loro dovere e rispettare le regole, quando l’abusivismo non sarà più una triste piaga della società che la società stessa ha creato, ma solo una intollerabile furbizia di pochi che dovrà essere repressa con “tolleranza zero”.

Fino a quel momento, la guerra tra i penultimi e gli ultimi la vinceranno sempre i primi.

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