di Giovanni Barbieri
Gli esiti del referendum consultivo per l’autonomia in Lombardia e Veneto offrono degli spunti di riflessione significativi. In questa vicenda, tutta politica, è tuttavia il Veneto che fa da forza trainante per un’eventuale processo di sviluppo del trend autonomista.
Innanzitutto, occorre fare chiarezza su un punto fondamentale: l’astensionismo. Il Partito Comunista ha fatto campagna per l’astensionismo, partendo da considerazioni che si fondano unicamente su una lettura marxista-leninista dello spaccato sociale in Lombardia e Veneto (che si possono trovare qui – link). Il fatto che altre forze politiche, nostre avversarie a sinistra, come il PD, abbiano agito alla stessa maniera, non avrebbe giustificato comunque una scelta in antitesi. Avrebbe, anzi, sottolineato la tendenza opportunista di molta politica contemporanea, a discapito degli interessi dei lavoratori di quelle due regioni. Certo, si può perdere difendendo una posizione giusta. E’ altrettanto vero che ottenere minimi risultati sostenendo una posizione sbagliata è il cancro all’origine della frammentazione del movimento comunista in Italia. Noi non lavoriamo per le briciole, ma per la sostanza.
In Veneto, la vittoria del SI con il 98,1% su un’affluenza del 57,2%, è spiegata facilmente da due circostanze: la prima, è che lo Statuto Regionale del Veneto prevede espressamente il raggiungimento del quorum per impegnare il Consiglio Regionale all’esame della richiesta espressa dal quesito referendario.
La seconda è che il Veneto, come del resto avviene nella maggior parte delle Regioni d’Italia, ha una forte vocazione identitaria sulla quale la Lega Nord ha costruito gran parte delle sue fortune politiche.
Da Comunisti, è necessario chiedersi se sia giusto, a priori, rigettare le istanze di chi rivendica l’autonomia come reazione ad una gestione fiscale oggettivamente dissennata da parte dello Stato Centrale. Ovviamente, è una rivendicazione non solo legittima, ma addirittura giusta. Diventa problematica, politicamente e socialmente, nel momento in cui non viene avanzata al di fuori degli schemi economici di una società capitalista, ma si innesta saldamente sul suo stesso binario. Noi Comunisti sposiamo integralmente lo slogan “La ricchezza a chi la produce”. Con la Rivoluzione d’Ottobre lo abbiamo anche applicato. Tuttavia, è necessario porre delle distinzioni, tra chi produce ricchezza per sè stesso, attraverso lo sfruttamento dei lavoratori, e chi quella ricchezza la produce fisicamente, non godendone. E’ quest’ultima la condizione dei lavoratori italiani e veneti, ed è per questo motivo che i Veneti, pur su una rivendicazione giusta e legittima, hanno sbagliato (di fatto, perdendo) votando SI a questo referendum promosso da quelle forze politiche: non potranno conoscere che un aggravamento delle loro condizioni materiali e sociali. Continueranno ad avere tanti petrolchimici cancerogeni di Marghera, tante contaminazioni di PFAS nelle falde idriche della bassa Valle dell’Agno, tanti casi di neoplasie nei pressi di Aviano, ancora molta disoccupazione a causa delle delocalizzazioni e forme contrattuali da schiavismo in larga parte dei settori economici che la rendono la famigerata ‘locomotiva’ del Nord-Est. I Veneti, come i Lombardi e come, in generale, gli Italiani, non hanno il controllo della politica che li governa. Dal volto amico, quella politica è in realtà al servizio dei poteri economici che non può scontentare, che si vanno via via accentrando a livelli sempre più alti, e contro i quali non esistono formalismi legali di sorta a cui appigliarsi. Quei poteri economici sono, come è ampiamente desumibile dalla realtà dei fatti, nemici dei lavoratori e amici della politica che li asseconda.
Il nostro compito è, quindi, quello di offrire un’alternativa politica autentica a questi lavoratori. Dimostrare loro che il miglioramento delle condizioni di vita materiali non dipende da un Referendum proclamato da un avversario dal volto amico, ma dalla loro capacità di organizzarsi per gestire il potere politico a loro vantaggio e a detrimento dei loro sfruttatori: si tratta della costruzione del Partito Comunista.
Rimaniamo, quindi, ben convinti della bontà della nostra posizione sull’astensione. Guardiamo con compassione a chi, con posizioni massimaliste e vagamente radical-chic, risponde prontamente ad ogni richiamo elettorale come l’oca al fischietto del cacciatore. Il diritto di voto liberale, per un Comunista, si tramuta in dovere civico in due sole circostanze: per favorire l’ingresso del Partito Comunista nelle Istituzioni liberali che intende rovesciare e per favorire le consultazioni promosse e sostenute dal Partito Comunista.
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