Il secondo turno delle elezioni presidenziali brasiliane ha confermato la vittoria del candidato di estrema destra del Partito Social-Liberale (PSL), alleanza Brasile Sopra Tutto – Dio Sopra Tutti, Jair Bolsonaro, con il 55.13% (57.797.446 voti), rispetto al 44.87% (47.440.859 voti) ricevuti dal candidato socialdemocratico del Partito dei Lavoratori (PT), alleanza Il Popolo di nuovo felice, Fernando Haddad. L’affluenza alle urne è stata del 78.7%, in leggero calo rispetto al primo turno.
Ex capitano dell’esercito e nostalgico della dittatura militare, Bolsonaro, amico di Washington e Israele, si è presentato con il profilo di “uomo forte” in grado di riportare “ordine e pulizia” nel paese per risollevarlo, divenendo presidente (entrerà in carica dal 1° gennaio 2019) con l’ampio sostegno della borghesia, di potenti gruppi monopolistici e al contempo manipolando l’insoddisfazione popolare per le precedenti gestioni borghesi della socialdemocrazia del PT con i governi di Lula e Roussef (2002-2016), sfruttando in particolare l’ondata di indignazione per gli “scandali della corruzione” che, al di là dei fatti in sé, è stato utilizzato come veicolo per una ricomposizione violenta del sistema politico nel quadro di una crisi economica che ha esacerbato le contraddizioni dell’economia capitalista.
Dopo gli anni di gestione “progressista” del capitalismo brasiliano con una rapida crescita capitalista che ha beneficiato i monopoli brasiliani e rilanciato la posizione del Brasile a livello internazionale, accompagnata da misure sociali che hanno ridotto la povertà estrema (che rimane comunque alta), sono infatti arrivati gli anni in cui si sono manifestate in modo implacabile le leggi economiche capitalistiche e le contraddizioni del sistema, con la stagnazione e la recessione che hanno esaurito i margini della formula politica di espansione della spesa pubblica e del compromesso interclassista fino ad erodere contestualmente il consenso sociale cresciuto in un clima illusorio e di false aspettative. Con la rimozione di Dilma Roussef, attraverso il cosiddetto “golpe bianco” guidato da Temer (anch’esso condannato per corruzione), precedentemente alleato del PT stesso, la borghesia brasiliana ha avviato un nuovo corso per una gestione più stabile in grado di far avanzare un programma aggressivo di ristrutturazione capitalistica.
La campagna elettorale di Bolsonaro si è contraddistinta dalla spregiudicatezza e aggressività, minacce e grida anticomuniste quali “estinzione delle bande rosse” e “imprigionamento ed esilio”, attacchi al Venezuela e Cuba. Subito dopo la vittoria ha affermato «cambierà il destino del Brasile. Non possiamo continuare a decadere con il socialismo, il comunismo, il populismo di sinistra», continuando nell’inganno di presentare in questo modo i precedenti governi socialdemocratici e la gestione capitalista che nulla ha a che fare con il socialismo, riuscendo con la retorica nazionalista ad assimilare i settori popolari alla coda dei piani della borghesia brasiliana per avviare un processo di riforme reazionarie, antipopolari e antidemocratiche.
Nel comunicato diffuso dopo l’annuncio dei risultati del secondo turno, il Partito Comunista Brasiliano (che non ha sostenuto gli ultimi governi del PT) ha evidenziato che «la società brasiliana si trova di fronte ad un nuovo momento della dominazione capitalista nel nostro paese. Il ciclo di conciliazione di classe è stato sconfitto, e una nuova fase politica brasiliana ha inizio da adesso». «Il governo di Bolsonaro – prosegue – sarà un governo fondato sulla congiunzione di forze reazionarie, tra cui importanti settori delle forze armate, un Congresso più conservatore di quello attuale e un sistema Giudiziario controllato», e porterà «ulteriori attacchi alla legislazione del lavoro, alla previdenza pubblica, alla sovranità nazionale e ai diritti democratici».
«Ci troveremo di fronte – denunciano i comunisti brasiliani – ad uno Stato d’eccezione istituzionalizzato, fortemente militarizzato, con il sostegno di gruppi paramilitari fascisti e il sostegno sociale ottenuto dalla propaganda ideologica anticomunista e antidemocratica manifestata in vari settori della società. Bolsonaro, per esser eletto, ha costruito una base sociale di appoggio alle sue idee e proposte neofasciste a partire da settori dell’alta borghesia e degli strati medi. Attraverso un mafioso schema di propaganda fraudolenta finanziato da grandi imprenditori e trasmesso da gruppi ultraconservatori, guidati da pastori senza scrupoli di chiese neo-pentacostali, è riuscito a diffondere l’irrazionalità e l’odio e catturare cuori e menti di settori popolari e della classe lavoratrice. Sono riusciti a convincere che il male maggiore da combattere in Brasile fosse la corruzione del PT, come se questo partito avesse inventato la corruzione, sistemica nel capitalismo, che avveniva su grande scala anche durante i governi militari nati dal golpe del 1964, quando la censura, il terrore e la paura impedivano che fosse resa pubblica e punita».
«Il nuovo governo – avvisa il PCB che ha chiamato al voto per Haddad al secondo turno in chiave anti-Bolsonaro senza far parte della coalizione – approfondirà le misure di criminalizzazione dei movimenti sociali, dell’attivismo sociale e politico di tutte le matrici e della sinistra in particolare. Vorrà far avanzare rapidamente il processo di privatizzazioni dello Stato, la subordinazione agli interessi dell’imperialismo statunitense e la consegna delle ricchezze nazionali, come annunciato dal nuovo presidente in campagna elettorale, affermando persino che l’”Amazzonia non è nostra”. (…) Bolsonaro intende accelerare il regresso dei diritti civili, politici, sociali e lavorativi, distruggere il Sistema Unico Sanitario per favorire le grandi imprese private della sanità, privatizzare l’istruzione pubblica». In conclusione chiama ad un ampio “fronte antifascista-democratico” evidenziando che «soprattutto nelle lotte popolari e nel movimento sindacale e operaio, è necessario rafforzare in primo luogo l’unità delle organizzazioni politiche e sociali anticapitaliste e antimperialiste in tutto il Brasile, perché solo la classe lavoratrice organizzata può sconfiggere il fascismo!»
Fattore rilevante e da non sottovalutare, è la tensione tra le varie sezioni del capitale sull’orientamento internazionale del paese, parte dell’alleanza dei BRICS. Significativi a tal proposito sono i puntuali messaggi di congratulazioni giunti a Bolsonaro da Trump e Putin, in cui il primo spera che possa svolgere «un ruolo guida» nel continente americano insieme agli USA e il secondo ha espresso la convinzione che «i legami tra Russia e Brasile potranno crescere in tutte le aree e che la cooperazione costruttiva tra i due paesi all’interno delle Nazioni Unite, il gruppo G20, i BRICS e le altre piattaforme multilaterali potranno continuare nell’interesse della Russia e del Brasile». Non è ancora definito l’orientamento che assumerà il governo di Bolsonaro nelle relazioni internazionali, ma abbiamo già visto come le frizioni all’interno della classe dirigente sulle alleanze internazionali in condizioni di crisi possono portare a una situazione politica estremamente critica di scontri interborghesi nel contesto di una maggiore competizione interimperialista.
Ancora una volta la storia dimostra come la gestione socialdemocratica spesso prepara il terreno per una svolta reazionaria nel sistema politico e delle forze borghesi. Di fronte a questi pericolosi scenari che si stanno aprendo nella gestione della dittatura borghese, che tende a metter sempre più da parte il suo volto “democratico”, sarà fondamentale la solidarietà internazionalista con le lotte dei lavoratori brasiliani per i loro diritti sociali e democratici, con i comunisti e il popolo brasiliano, ma lo è altrettanto apprendere seriamente le lezioni sulla necessità di una strategia e organizzazione indipendente della classe lavoratrice e dei settori popolari che affrancandosi dai settori borghesi e dalla loro influenza, sia preparata e fortificata nella lotta tracciando la propria strada verso il socialismo.