L’annoso problema, presente soprattutto al meridione, della posizione dei Lavoratori Socialmente Utili e dei Lavoratori di Pubblica Utilità ha portato negli anni scorsi a numerose mobilitazioni come le occupazioni del porto di Villa San Giovanni e degli imbarchi della “Caronte”, della stazione di Villa, dell’autostrada, dello svincolo autostradale di Cosenza Nord e a Lamezia e di tutti i diversi blocchi che ci sono stati. Questo, mentre i sindacati confederali cercavano di anestetizzare gli animi. Il Partito Comunista ha da sempre riconosciuto la vicenda di questi lavoratori come uno dei più grotteschi esempi di Stato creatore non di solidarismo e occupazione stabile ben pianificata ma di precarietà dettata dalle assurde regole di bilancio degli enti locali. È utile ripercorrere brevemente la storia di questi “lavoratori in nero statali”, che trovano solo adesso una minima stabilità lavorativa.
Gli LSU erano progetti ministeriali nati circa venticinque anni fa, previsti per persone con difficoltà economiche, programmati inizialmente per un paio d’anni. Veniva stanziato un fondo ministeriale di 50 milioni, dal 2006 storicizzato di fatto “a vita”, ossia rinnovato annualmente, ma tenendo sempre, ovviamente, sulle spine i beneficiari. Nel sud Italia questi progetti sono andati avanti nel tempo oltre il limite previsto e sono stati affiancati a progetti regionali, come gli LPU in Calabria e gli ASU in Campania. Tutti con le stesse caratteristiche: 500 euro al mese, 18 ore alla settimana di lavoro, senza contributi o altro, istituiti come un sussidio. Nel 2015, avvenne una contrattualizzazione con contratto da amministrazione pubblica da parte della Regione Calabria a favore degli LSU, che utilizzando fondi propri e l’escamotage di usufruire della parte del fondo teoricamente destinato anche alle altre regioni era riuscita a mettere a regime i precari con 26 ore di lavoro a settimana. Con il governo gialloverde il Ministero del Lavoro rivide questa ripartizione “non legittima” dei fondi.
Con il nuovo emendamento si trasforma la funzione dei 50 milioni iniziali per servire alla contrattualizzazione a tempo indeterminato e, oltre a istituire le deroghe ai vincoli assunzionali necessarie per assumere legalmente i lavoratori, si è preso atto che per garantire la “storicizzazione” (termine, ricordiamo, non giuridico) di tutti i 7000 lavoratori precari del sud Italia mancavano 9 milioni di euro da aggiungere a quelli ministeriali e regionali già presenti. La stabilizzazione, si badi, è a 18 ore, poiché le somme sono sempre quelle, solo che come detto la Regione Calabria con fondi suoi e usando fondi che non erano indirizzati alla nostra regione aveva aumentato il numero di ore. Un’ultima precisazione: per i lavoratori di categorie A e B, ossia le figure che hanno accesso al posto con la scuola dell’obbligo e per cui non c’è obbligo di concorso pubblico, venendo assunti con semplice delibera di giunta mettendone la spesa a bilancio, l’assunzione avviene tramite una graduatoria ministeriale e regionale. Per i lavoratori di categoria C e D, figure che hanno accesso esclusivamente con titoli superiori alla scuola dell’obbligo, di natura dirigenziale, è obbligatorio il concorso pubblico e non è sufficiente una prova di idoneità, che è riservata alle prime due categorie.
Il Partito Comunista – Calabria, che ha continuamente appoggiato la giusta lotta di questi lavoratori trattati in maniera umiliante dalle istituzioni, ha diramato il seguente comunicato:
«Il Partito Comunista, fin dal primo momento, si è schierato dalla parte dei lavoratori ex LSU-LPU Calabresi nella lotta per il diritto alla garanzia del posto di lavoro a tempo indeterminato. In questo momento migliaia di lavoratori stanno festeggiando e guardano con ottimismo al futuro per via di tale stabilizzazione, annunciata dal senatore Auddino e dal deputato Tucci, entrambi del Movimento 5 Stelle. Incitiamo, tuttavia, i lavoratori a restare in guardia e a mobilitarsi fino all’avvenuta stabilizzazione dell’ultimo LSU o LPU, per le quali entrano in gioco ora i Comuni (le quali amministrazioni potrebbero rinunciare ad assumere, per antipatie o altro, i precari), e rigettando la proposta di contratti a 18 ore poiché dopo 25 anni di assoluta precarietà è inaccettabile ritrovarsi con un misero salario di 650 euro al mese! Non dobbiamo più farci prendere in giro, vogliamo lavoro a salario pieno! Rimarchiamo che qualsiasi miglioramento contrattuale non è un successo su cui possono mettere il cappello le forze di governo come il Movimento 5 Stelle, non è un segno di benevolenza. Riteniamo che sia stata la lotta dei lavoratori, con i suoi scioperi, i blocchi stradali e ferroviari, a cui abbiamo fieramente partecipato, ad aver costretto il governo a garantire il diritto alla sicurezza del posto di lavoro per migliaia di precari. Invitiamo gli ex LSU-LPU a continuare la lotta fino alla stabilizzazione completa di tutti con salari dignitosi, nessuno escluso, organizzandosi in maniera indipendente dai sindacati confederali e corporativi, protagonisti di una costante attività di pompieraggio della lotta, collaborazionisti di uno Stato borghese che preferisce regalare miliardi a banche e grandi imprese ma non trova i soldi per i suoi dipendenti! La vicenda degli ex LSU-LPU dimostra quanto lo Stato si comporti come i peggiori padroni privati, tenendo sulle spine per decenni migliaia di lavoratori in modo da renderli ricattabili e preda delle più cupe logiche clientelari. Tuttavia, la lezione che impariamo da questa vertenza è quanto potente può essere l’unità, il protagonismo e la combattività dei lavoratori, dunque crediamo che in tutta la Calabria si debba seguire l’esempio degli ex LSU-LPU, a partire dalle agitazioni degli operatori sanitari, dell’igiene ambientale e di tutte le altre vertenze sul territorio regionale.
Che nascano 10, 100, mille di queste lotte, in modo da rovesciare la dittatura del capitale finanziario e costruire uno Stato che sia al servizio della classe lavoratrice e degli strati popolari».