La strage sulla rampa del cavalcavia Venpa di Mestre era solo questione di tempo. Quella rampa, risalente agli anni ’50 del secolo scorso, costruita in concomitanza con il progetto per la creazione del grande polo chimico di Marghera, era – per l’epoca – sicuramente di grande e innovativo impatto urbanistico. Le dimensioni erano state progettate per durare moltissimi anni, ma non certo per oltre 70 anni senza che si mettessero in atto le opportune modifiche. Tale rampa, già di per sé anomala per la presenza (caso forse unico nel suo genere sulle strade italiane), esattamente a metà del suo percorso, di un semaforo che funge da spartitraffico tra chi va in tangenziale (sempre con il verde per 24h/24h) e chi – viceversa – si dirige verso Marghera, presentava da anni elementi di grave precarietà.
La rampa principale, alla sua sinistra, prevede l’innesto (questo il motivo del suo semaforo) di una seconda rampa che arriva direttamente da Corso del Popolo in Mestre e che consente agli automezzi, non solo di andare a Marghera, ma anche di immettersi nel tratto principale che porta verso la tangenziale, collocandosi però rigorosamente nella corsia di sorpasso, considerato che la corsia di marcia della rampa principale, come ricordato prima, ha sempre la via libera.
Questa anomalia è rimasta vergognosamente tale anche con il traffico del 2023 e con le dimensioni dei mezzi di trasporto pubblico che non sono certamente quelli degli anni ’50 del secolo scorso.
Nel 2017, una larga parte del parapetto era stata oggetto di un transennamento per un cedimento della ringhiera e della struttura in cemento sulla quale era posata, come documentato da un articolo pubblicato il 21 agosto dello stesso anno su Venezia Today.
Il 25 aprile del 2021, come risulta da un altro articolo comparso su Il Gazzettino, vengono denunciati dagli automobilisti evidenti situazioni di pericoloso cedimento. L’intera struttura, ovvero il manto stradale, il guard-rail di protezione, i parapetti di contenimento, sono abbandonati all’incuria più totale. Ecco un estratto, tra virgolette, di quanto affermato all’epoca dall’assessore Renato Boraso della giunta Brugnaro (tutt’ora sindaco di Venezia):
“Noi controlliamo l’intera opera, anche se in realtà solo un pezzo è del Comune, mentre il resto è di competenza dell’Anas e di Cav, Concessioni autostradali venete. È un manufatto risalente a vari periodi del Novecento ed è diventato sempre più strategico per la viabilità cittadina… e il degrado nelle parti meno in vista è evidente”.
Si prevedono addirittura 15 milioni di stanziamento per il suo rifacimento, ma sul dato più urgente, immediato, sul quale si registrano solo parole (“…il degrado nelle parti meno in vista è evidente…”) non si va al di là dell’immobilismo più assoluto.
Il 3 ottobre 2023 arriva la strage: un pullman con 36 persone a bordo precipita dal viadotto senza trovare il benché minimo supporto dalle protezioni, come appare evidente da un articolo e video ricavabili da Il Gazzettino, pubblicato il giorno dopo la tragedia (4 ottobre) e confermato dai quotidiani La Nuova Venezia e Open, il 5 ottobre.
Le fiamme ed il rogo, sprigionate dal pullman elettrico così caro ai “climatisti”, dopo l’impatto al suolo completano l’opera, esattamente come in un film dell’orrore. 21 morti, 15 feriti (di cui 5 in gravi condizioni), questo il tragico epilogo.
Si sprecheranno le parole di cordoglio, non mancheranno le passerelle dei ministri e dei sottosegretari, la trita retorica del sindaco Brugnaro avrà un potente megafono, i talk-show televisivi che parleranno del nulla, abbonderanno sui nostri teleschermi, ecc…
Così, mentre i nostri telespettatori si sono appassionati nel giugno scorso, per settimane, dietro agli elicotteri e alle navi votati alla ricerca di 4 miliardari ed un pilota, all’interno di un “esclusivissimo sommergibile” dispersi nelle acque dell’oceano Atlantico, che null’altro avevano da fare, se non andare alla ricerca del relitto del Titanic, oggi la vita di 21 umili campeggiatori di un modestissimo camping nei sobborghi di Mestre è stata falciata dal più totale dei menefreghismi.
Mentre la mobilitazione dei tele-idioti si dipinge di green le persone semplici continuano a morire in bianco e nero.
A questa perfetta analisi tecnica di Paolo Mencarelli aggiungiamo un dato politico: si trovano i soldi per la guerra ma non per sistemare le infrastrutture essenziali per la società. L’ennesimo fallimento del governo Meloni e della gestione borghese nel suo complesso.
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