“Nella fantasia popolare, mostro favoloso (protagonista di tante fiabe per l’infanzia) vorace di carne umana e spece di bambini, rappresentato come un gigante dalla testa grossa, la bocca enorme, la barba e i capelli ispidi e arruffati.” (Treccani)
“L’orco del folclore è correlato a quello della mitologia germanica; in generale un essere descritto come più simile a una bestia o a un demone (per esempio gli orchi di Piers Anthony), e talvolta a quella dell’orco della mitologia (gli orchi di J. R. R. Tolkien)” (Wikipedia).
Non sfugge il senso di disumanizzazione che tale appellativo induce verso il suo destinatario. L’orco non è un umano, anche se può assumerne vagamente le sembianze. È un essere pericolosissimo che incarna il massimo della malvagità che si può immaginare: l’antropofagia. In particolare essa è rivolta verso i bambini, che per tutti gli esseri umani comportano un duplice senso di protezione: individuale, perché i più indifesi, e sociale, perché i continuatori della nostra collettività, intesa in senso stretto come comunità e in senso lato come società.
Esseri coi quali non c’è da discutere, ma che si devono sterminare senza stare a pensare se noi abbiamo ragione o torto. E ciò induce ancora altri due risultati. Il primo annulla ogni inibizione su chi abbia cominciato prima la guerra; anzi, se abbiamo cominciato noi, abbiamo fatto bene. Il secondo annulla ogni pietà e commiserazione nel loro sterminio: non sto ammazzando un altro essere umano che imbraccia il fucile come me, che è occasionalmente il mio nemico.
Il razzismo dei paesi colonizzatori era ideologicamente fondato sui presupposti dell’irredimibilità dei popoli colonizzati, ma non si arrivava a questo livello di necessità di sterminio per ovvi motivi. I popoli colonizzati non dovevano essere sostituiti ma sfruttati. La reductio ad orcum fu invece perseguita nella devastante Conquista del West, dove i nativi americani dovevano fare posto ai coloni e la manodopera, che non poteva essere costituita dai quei popoli ribelli che preferivano lasciarsi morire piuttosto che diventare schiavi, fu sostituita dai neri africani.
Venendo al secolo scorso, non è un caso che questo appellativo era usato e strabusato nella propaganda nazista al momento dell’aggressione all’Unione Sovietica. Ciò rendeva i soldati tedeschi certi di combattere per una causa non solo giusta per il proprio popolo, ma di impersonare tutta la civiltà umana contro il subumano (Untermenschen). Lo sterminio dei popoli slavi era quindi ideologicamente sostenuto da questa spinta emotiva e “culturale”.
Tacciare qualcuno di essere un orco, mette quindi fine alla possibilità di pensare di fare, né oggi né mai, la pace. È una lotta per la vita e per la morte che può concludersi solo con la totale soccombenza di uno dei due eserciti, anzi di uno dei due popoli.
Il fatto che le autorità ucraine usino questo termine per designare i Russi, se fino a un certo punto poteva essere attribuito a un eccesso di astio nei confronti di un esercito nemico, oggi si rivela in tutta la sua devastante e premeditata portata ideologica. Solo chi vuole chiudere la porta definitivamente a ogni possibilità presente e futura di fare la pace, e precludere la fine del conflitto e una soluzione che non sia l’improbabile disfatta su tutto il fronte dell’avversario, può intraprendere questa strada. È più che ovvio che ciò è del tutto contrario agli interessi degli attori coinvolti in modo inversamente proporzionale alla loro distanza dal conflitto.
In primis, il popolo ucraino in tutte le sue componenti ha tutto da perdere dalla prosecuzione della guerra, non solo per le devastazioni materiali e umane che essa comporta, ma perché lascerà un Paese che non potrà più pensare di ricostruire una comunanza nazionale schiacciando uno dei gruppi etnici più consistenti che lo compone, come quello russo.
Secondo, il popolo russo, che si trova a dovere pagare un tributo di sangue e materiale che, col trascorrere del tempo e l’intensificarsi dei combattimenti, sarà sempre più elevato.
Terzo, tutti i rimanenti popoli europei. Questi già stanno pagando in termini politici ed economici una guerra in cui non hanno alcun interesse, fatte salve alcune ristrette minoranze costituite dai monopoli che si avvantaggiano dalla guerra. Come abbiamo fatto notare [1], persino i lavoratori del ristretto settore bellico non trovano alcun vantaggio dalla guerra, anzi sono sottoposti a ulteriori “razionalizzazioni”, contrariamente a quanto dice la propaganda bellicista. I più ampi settori produttivi saranno iugulati da prezzi dell’energia proveniente da oltreatlantico, con conseguente loro distruzione a favore dei monopoli USA e GB, in quanto il commercio con il vasto resto del mondo verrà interdetto dalle minacciate “sanzioni collaterali”. Per ultimo, la totalità dei consumatori penalizzati dai prezzi dell’energia e dall’aumento dei beni di prima necessità. Quanto all’esito politico di questa guerra agli orchi, sarà un irrigidimento della dipendenza verso la NATO e il suo padrone statunitense, che ha già messo fine a ogni possibilità di presenza autonoma europea e a ogni velleità che potesse presentare l’Unione Europea come un soggetto politico degno di questo nome. Per la principale potenza economica del mondo non è un gran bel risultato. La possibilità della degenerazione in una guerra nucleare non vogliamo neanche prenderla in considerazione.
Quarto, i popoli extra NATO saranno soddisfatti se almeno non dovessero rimetterci in questa contesa. Essi hanno la necessità di potere svilupparsi e commerciare sulla base di parità di condizioni. Forse questi eventi potrebbero spingere la maggior parte di essi, ancora diretti da attori politici e non da marionette dell’alta finanza, a fare fronte comune e autonomizzarsi sempre di più dalla sudditanza al dollaro (vedi [2] e [3]), ma certamente le resistenze a questi passaggi saranno pesantissime.
Già si vedono i primi atti in Pakistan, dove il premier Imran Khan è stato destituito dal suo incarico lo scorso 9 aprile dopo un voto di sfiducia del parlamento. Ciò è conseguenza di un allontanamento sempre più netto del Pakistan dagli Stati Uniti. Khan, dopo tanti anni, è stato in grado di sedersi al tavolo di trattative con lo storico nemico costituito dall’India, ha intavolato rapporti economici e strategici sempre più forti con la Cina e la Russia, incontrando il presidente russo Vladimir Putin proprio nel giorno dell’inizio delle operazioni in Ucraina. Le politiche espansive di Khan, come il taglio drastico dei prezzi del petrolio, hanno garantito il consenso dei suoi sostenitori ma ha portato il Paese ad accumulare un enorme debito pubblico. Conseguentemente il Fondo Monetario Internazionale ha negato il pacchetto di salvataggio di 6 miliardi di dollari, strangolando così il Paese. Khan ha denunciato di essere vittima di una subdola cospirazione straniera per mettere in discussione la sovranità pachistana. Egli ha partecipato alla gigantesca manifestazione di Islamabad e ha condiviso un video della folla su Twitter, commentando: «Mai si è vista nella nostra storia una tale folla così spontanea e numerosa, uscire in strada per rifiutare il governo importato guidato da traditori (locali) e sostenuto dagli Stati Uniti».
Questo è solo un esempio delle minacce che l’imperialismo americano è in grado di mettere in atto, giocando col fuoco in una regione in cui si fronteggiano due potenze nucleari sempre sull’orlo del conflitto.
Quinto, restano i due Paesi guida di questa forsennata corsa verso il disastro totale, gli USA e la Gran Bretagna, spalleggiati dagli altri due più fedeli alleati rimasti dentro quello che era chiamato il Five Eyes, Canada e Australia, dopo che la Nuova Zelanda si è prudentemente sfilata da questa corsa verso il baratro. Essi sono geograficamente distanti, tanto da poter far concepire agli odierni Dottor Stranamore di poter avviare una guerra nucleare senza conseguenze definitive per il proprio territorio. “Combatteremo contro la Russia fino all’ultimo ucraino e, se serve, fino all’ultimo europeo”. Naturalmente i popoli di questi paesi sono del tutto incolpevoli rispetto a questi progetti e mai ci permetteremmo di riversare su di loro gli epiteti che i loro dirigenti riservano oggi ai Russi.
Invece l’orchizzazione del popolo russo è in avanzato stato di realizzazione. Gli artisti sono chiamati ad abiurare il proprio paese, cosa neanche richiesta ai tedeschi dopo il nazismo, si cambiano i nomi ai dipinti, si bandiscono dalle accademie cime della letteratura internazionale come Dostoevskij. Non sono solo i soldati russi, gli orchi, sono tutti i Russi, di oggi, di ieri e quindi anche di domani.
Leggiamo da L’Avvenire (“Quotidiano di ispirazione cattolica”, recita la testata) del 13 aprile:
«Mentre il Papa torna a implorare la pace, non va giù agli ucraini la decisione che nella Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo due donne – una ucraina e una russa – portino la croce insieme. Non piace all’ambasciatore presso la Santa Sede Andriy Yurash, in carica dallo scorso dicembre, che lo fa sapere con un tweet. E soprattutto all’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk, che con un duro comunicato definisce “questa idea inopportuna e ambigua che non tiene conto del contesto di aggressione militare russa contro l’Ucraina”.»
Naturalmente il gesto del papa non è consono con la manovra per orchizzare tutto il popolo russo. Non è ammissibile che si attui un gesto di riconciliazione, senza che questo implichi null’altro che questo, non un atto politico, ma di riconoscimento reciproco come esseri umani.
Che questa politica la persegua il rappresentante del governo ucraino, come l’ambasciatore, costituisce la prova provata che gli atti di quel governo vanno in senso opposto alla ricerca di una trattativa, che quindi è chiaro che era stata intavolata “in favore di telecamera”. Quanto ciò sia conforme agli interessi del popolo ucraino tutto, abbiamo già detto.
Che questa politica la persegua il capo della chiesa (appartenente al gruppo degli Uniati), la cui sede è stata a Leopoli fino al 2005 e che rappresenta la terza tra le comunità religiose in Ucraina (dopo la Chiesa ortodossa ucraina – Patriarcato di Mosca e i Protestanti) (dati Limes, febbraio 2022), è di particolare e ulteriore gravità. Nelle dispute dottrinali ci guardiamo bene dall’entrare. Tuttavia un totale schiacciamento di queste istituzioni politiche e religiose agli interessi della NATO e, per suo tramite, degli Stati Uniti, è più che evidente.
Tutto ciò cosa comporterà per il futuro del popolo ucraino?
Quando si avvelenano i pozzi della riconciliazione, resta solo la faida tra le etnie che non avrà mai fine, se non dopo infiniti lutti per le generazioni future.
Trasformare un conflitto regionale in un conflitto etnico epocale (come si fece in Jugoslavia) e poi da questo innescare la miccia per una guerra continentale è una cosa che va fermata a tutti i costi.
Non si tratta più di vedere solo chi ha ragione o torto.
A ragione o a torto viviamo tutti nello stesso continente. Almeno al di qua dell’Atlantico.
[1] https://www.lariscossa.info/guerra-profitti-le-multinazionali-crisi-occupazionale-lavoratori/
[2] https://www.lariscossa.info/8536-2/
[3] https://www.lariscossa.info/le-basi-economiche-dellaggressivita-degli-stati-uniti/