COMMENTI AI QUESITI REFERENDARI SULLA GIUSTIZIA

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COMMENTI AI QUESITI REFERENDARI SULLA GIUSTIZIA

L’istituto referendario è stato completamente svuotato del suo potenziale democratico.

Già in origine ci sono due falle colossali che lo minano. La prima riguarda le materie sottoponibili a referendum, dalle quali vengono escluse quelle che riguardano aspetti fiscali e i trattati internazionali, che poi sono le materie su sui si giocano i veri destini di una nazione. La seconda, il filtro della Corte Costituzionale che deve giudicare ammissibili i quesiti e che lascia ampio margine di discrezionalità alla Corte, che infatti è stata ogni volta bersagliata dalle accuse di “partigianeria” – se non di acquiescenza ai voleri della politica ufficiale – da parte dei sostenitori dei quesiti bocciati.

Nonostante tutto ciò, il referendum, sebbene solo di carattere abrogativo, avrebbe potuto essere uno strumento di espressione forte della volontà popolare, ma è stato ulteriormente annichilito da due fattori convergenti.

Il primo, il quorum, in un era in cui la disaffezione al voto è così alta, rende praticamente impossibile far sì che i referendum possano raggiungere la validità. Pertanto lo schieramento per il NO ha l’indubbio vantaggio di poter indicare – apertamente o latentemente – l’astensione come escamotage per ottenere lo stesso risultato. In pratica, un partito che non può o non vuole assumere apertamente una posizione negativa può semplicemente alzare il piede dall’acceleratore della sua macchina propagandistica per ottenere lo stesso risultato senza lacerazioni interne e perdita di immagine esterna. Questo fatto fa sì che i proponenti spesso portano allo sbaraglio dei quesiti pur sapendo che poi naufragheranno sul quorum. Ora, questa azione è pienamente legittima e forse pure talvolta utile per agitare questioni che altrimenti resterebbero nel cassetto del Parlamento, ma contribuisce a svuotare del significato originario l’istituto referendario.

Il secondo, molto più grave, discende dal fatto che in ogni caso l’esito del referendum, anche quando fosse superato il quorum e approvato dai cittadini, viene disatteso con estrema faccia tosta dalla politica ufficiale, quando quell’esito non è conforme alla volontà di chi esercita il vero potere in questo Paese, che non è certo il Parlamento. L’esempio del referendum sull’acqua pubblica e sul nucleare su tutti. Ne hanno fatto carta straccia di quella straordinaria vittoria che ha segnato uno dei momenti più alti – e forse l’ultimo – della battaglia popolare contro le privatizzazioni.

Dopo questa doverosa premessa, andiamo ai quesiti che verranno sottoposti il 12 giugno.

Lasciamo stare per un attimo il legittimo pregiudizio sui proponenti. Tale pregiudizio non sarebbe stato minore se fosse stato proposto dal blocco opposto dei partiti di governo o che appoggiano dall’esterno surrettiziamente il governo. Entriamo nel merito.

Si parla di giustizia. E questi referendum dovrebbero andare nella direzione di migliorarne l’efficienza ed eliminare i guasti. Riteniamo, lo diciamo in prima sintesi, che non pare che vada in questa direzione, ma forse esattamente opposta.

Qual è il male della giustizia italiana? In una parola possiamo dire con uno slogan: “forte coi deboli e debole coi forti”. Le carceri traboccano di poveri cristi e chi si è macchiato di colpe gravissime continua a fare i suoi begli affari. Non solo nella politica, che è quello su cui gli avversari si accaniscono per avvantaggiarsi in una corsa allo stesso gioco di accucciarsi più vicino al vero padrone. Ma soprattutto nell’economia, dove i potentati trascinati in giudizio e condannati continuano a imperversare come se nulla fosse. Non è qualunquismo: è la pura verità, che temiamo a esemplificare con casi non ancora arrivati a giudizio finale per evitarci querele per noi pericolose.

Quindi processi che vanno per le lunghe per chi può permetterselo pagando profumatamente battaglioni di avvocati. Difesa di ufficio per chi non può permettersi l’avvocato.

Apriamo qui una parentesi. L’onorario per gli avvocati incaricati del gratuito patrocinio è così basso e viene pagato con tale mostruoso ritardo, che scoraggia chiunque ad affrontare questa incombenza. E ciò crediamo che possa aiutare a riequilibrare le ingiustizie della Giustizia?

 

  1. Il primo quesito riguarda la legge Severino sull’incandidabilità, sospensione e decadenza dei ruoli di Amministratore (a partire dai Comuni) già per sentenza di I grado. Ora, una sentenza di I grado è già una sentenza che è passata dal vaglio degli inquirenti, del GIP e di una Corte giudicante e quindi – in un paese normale – non ci sarebbe niente di strano a rimuovere il giudicato colpevole anche prima della sentenza definitiva. Il fatto poi che molte di queste sentenze non vadano a buon fine coi successivi gradi di giudizio non contrasta col principio che sia più importante proteggere la collettività dall’essere amministrato da un farabutto, rispetto alla carriera politica di uno ingiustamente incolpato e poi risarcito. Ripetiamo, tutto ciò in un mondo ideale in cui i processi non vengono imbastiti per alterare la volontà politica popolare. In ogni caso abolire la norma fino a estenderla anche in seguito a sentenze definitive sembra davvero che smascheri il vero significato del referendum.
  2. Eliminazione della reiterazione del reato come condizione per limitare la libertà dell’indagato. Ricordiamo che gli altri due motivi sono la possibilità di inquinamento delle prove e la fuga. Ci sono reati così pericolosi socialmente per cui di questa possibilità si deve tenere conto assolutamente. Non solo ovviamente reati contro la persona, ma anche contro la società. Ma anche qui stiamo parlando di accademia. Nel concreto, un ladruncolo che ha taccheggiato un supermercato può reiterare il fatto, soprattutto se lo stato di necessità gli è aumentato, così come l’amministratore o il faccendiere che continua a distribuire incarichi e bustarelle. Vediamo che nel concreto la realtà presenta dei casi che trattare con uguaglianza porta a ingiustizie. Anche qui, discorsi astratti che meriterebbero leggi e soprattutto misure sociali e politiche ben diverse e non la divisione tra tifoserie opposte sul nulla.
  3. Separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante. Oggi sono ammessi quattro passaggi, si propone di abolirli. Il punto della giustizia tra inquirente e giudicante non è certo quello di separare le carriere, come se ciò potesse automaticamente rendere il giudicante “parte terza” rispetto all’inquirente. Il punto è il processo accusatorio di stampo americano che ha sostituito quello inquisitorio di stampo italiano. In quello inquisitorio l’inquirente aveva il compito di “cercare la verità” e non quello di svolgere la parte dell’“accusa”. Poi l’imputato naturalmente ha diritto alla sua difesa, ma non ha una controparte che è incaricato di accusarlo. Nel processo accusatorio ciò viene stravolto e le due parti, Accusa e Difesa, si fronteggiano alla pari. Quindi chi è in grado di sostenere una Difesa ben nutrita e pagata ha speranze di scamparla, altrimenti si trova tutta la macchina della giustizia contro. Come ha notato in questi giorni il giudice in pensione Scarpinato, è il ruolo inquirente della magistratura che deve dirigere le indagini fuori dal condizionamento politico che deve essere difeso ma che ormai è stato smantellato. Le indagini non possono essere dirette dalla polizia che inevitabilmente è sottoposta al controllo della politica.

Qui si apre un problema su cosa sia e chi serva la politica. In una società sana, in cui i rappresentanti politici sono davvero espressione della volontà popolare, è giusto che tutto sia subordinato alla politica: l’economia, la magistratura, l’istruzione. La garanzia del buon funzionamento deriva dal buon funzionamento della politica. Ma quando la società è in mano a un gruppo di potentati e la selezione politica si fa sulla base dell’acquiescenza a tali poteri, l’unico strumento in mano ai cittadini è quello di avere dei contrappesi, delle difese, che trovano nella Costituzione la massima espressione. Per questo la Costituzione italiana è la più bella costituzione che in regime borghese si potesse mettere in campo, perché crea dei contrappesi di difesa al cittadino. Ma perché questi contrappesi possano funzionare, i rapporti di forza dentro la società devono essere tali che l’equilibrio trovato al momento della scrittura della Carta costituzionale fossero rispettati. Ma sappiamo che così non fu e quindi la Costituzione è rimasta oggi una trincea da difendere a tutti i costi, per quanto risulti così sfigurata e disattesa, pur sapendo noi comunisti che è una battaglia di retroguardia.

Quando ora andiamo a giudicare con l’occhio marxista questi quesiti, ci ritroviamo a dover esigere i diritti della difesa del cittadino come individuo, che invece dovrebbero essere difesi dal borghese, mentre il borghese si trova a disattendere quei diritti per rivendicare ancora più impunità.

A questo ha portato la degenerazione del capitalismo nell’epoca odierna. I borghesi chiedono impunità anche se ciò dissolve il ruolo dello Stato che dovrebbe difenderli. I capitalisti chiedono più protezionismo, anche se ciò indebolisce la capacità di andare sul mercato. Mai come oggi il pensiero di Marx, secondo cui l’ideologia borghese è “falsa coscienza” e risponde solo all’interesse immediato del capitalista, si può toccare con mano.

  1. Il quarto quesito smaschera definitivamente l’ipocrisia dell’impianto di questo referendum. Che significa allargare la platea che, ai fini della carriera, deve giudicare l’operato dei giudici ad avvocati e accademici? Che garanzie avremmo noi cittadini che questi nuovi “giudici dei giudici” possano dare uno stimolo al lavoro dei magistrati? In primis la valutazione di tipo quantitativo favorirà i processi “bagatellari”, ossia quei processi in cui il giudice arriva facilmente a conclusione positiva, aumentando così le sue “statistiche”. Si perseguono i furti di luce, i taccheggi, mentre portare in giudizio una grossa impresa che ha truffato lo stato sarà scansato da tutti. Ci immaginiamo se questo andazzo fosse preso per i chirurghi? Tutti i “baroni” si prenderanno i casi elementari e non rischiosi, lasciando ai nuovi arrivati i casi lunghi e disperati. Il giudizio degli avvocati sarà libero o saranno le cordate degli studi più influenti a contare? Quanto all’imparzialità dei giudizi degli accademici qualche dubbio è legittimo. Saranno provenienti dalle solite autoproclamate università “eccellenti”, la maggior parte private e finanziate da quei potentati che non vogliono farsi giudicare, o verranno dalla provincia che soffre di più della carenza di giustizia. Ma, tornando all’ottimo intervento di Scarpinato, la giustizia si cura assicurando che tutti i processi si svolgano, eliminando o sveltendo quelli inutili e soprattutto rafforzando gli organici carentissimi. Tutto il resto è fuffa.
  2. il quinto quesito è paradossale. Mentre per la politica, coloro che sono già dentro si blindano con leggi liberticide che impongono per la presentazione delle liste, a coloro che sono fuori, regole quasi invalicabili, come firme certificate in numero spesso inarrivabile, per la presentazione delle candidature al CSM gli sbarramenti vengono abbassati. Si mettano d’accordo con loro stessi. Lo sbarramento favorisce o impedisce l’espressione della volontà popolare.

 

In conclusione, vista l’enorme contraddittorietà dei quesiti e il fatto che essi non vanno affatto nella direzione di migliorare la giustizia in Italia, essi non vanno sostenuti.

Tuttavia sappiamo bene che è oggi in atto uno scontro tra settori contrapposti su dettagli irrilevanti tra due fazioni della politica e quindi invitiamo i lavoratori a non lasciarsi intrappolare in queste dispute che non aiutano a costruire un vero fronte di opposizione popolare.

 

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