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I comunisti e la politica delle acque (*)

di Francesco Spedicato (* estratto dall’intervento
del 25 febbraio a Carovigno, 
Puglia, sul tema delle acque e dell’agricoltura) 

La gestione della risorsa idrica ad uso irriguo

Alla base dell’esistenza umana vi è l’acqua e la sua gestione risulta determinante per il futuro del genere umano: questo dovrebbe essere tenuto presente a partire dai modelli di sviluppo sino alle abitudini sociali dominanti, ad esempio quelle alimentari. Siamo in presenza di uno stato di forte stress idrico e il processo di desertificazione avanza. L’Unione Europea ha recepito[1] tale sviluppo oggettivo ma, al fine di ottimizzare l’uso idrico, resta nel solco neoliberista della mercificazione dell’esistente e ricorre a meccanismi di mercato come la tariffazione della risorsa idrica. Dal 6° Censimento Generale dell’Agricoltura[2] emergono dati interessanti a proposito del ricorso all’irrigazione nel settore agricolo.

In questa sede, oltre ad esaminare l’uso delle risorse idriche nel comparto primario, porremo l’accento sulla configurazione delle forme di approvvigionamento dell’acqua irrigua e sul consumo della stessa.

L’Italia risulta essere il secondo stato europeo per superficie irrigata dopo la Spagna. Le principali tipologie di fonti di approvvigionamento sono: a) acque sotterranee all’interno o nelle vicinanze dell’azienda; b) acque superficiali all’interno dell’azienda (bacini naturali ed artificiali); c) acque superficiali al di fuori dell’azienda (laghi, fiumi o corsi d’acqua); d) acquedotto, consorzio di irrigazione e bonifica.

Dalla raccolta dati ISTAT emerge un rapporto inverso tra la disponibilità d’acqua e la sua utilizzazione più o meno ponderata; infatti, con circa 3500 m3 per ettaro irrigato la fonte sotterranea è utilizzata in modo più prudente rispetto alle fonti d’acqua superficiali, che raggiungono valori di circa 5000 m3 per ettaro. Lungo il territorio nazionale anche l’efficienza delle diverse tecniche irrigue[3] segue la disponibilità d’acqua: nel Nord abbiamo un’efficienza molto bassa dei modi irrigui causata anche dalle diffuse coltivazioni di riso e mais che alterano pesantemente la media; di contro, in Italia centrale e nel Mezzogiorno, dove si regista l’uso più intenso di acqua proveniente da fonte sotterranea, sono presenti sistemi di irrigazione a maggiore efficienza che permettono l’utilizzo più oculato della preziosa risorsa [Tavola 2.35]. In particolare nelle regioni di Puglia e Basilicata spicca la microirrigazione mediante la quale si raggiungono valori vicini al 50% del totale regionale [Tavola 3.26].

L’impiego dei volumi d’acqua nel settore agricolo è il seguente: Nord-Ovest (59,1%) e Nord-Est (13,9%), il Sud (13,5%), le Isole (8,9%) e il Centro (4,5%). Le regioni che utilizzano i maggiori quantitativi di acqua sono: Lombardia (42,3%), Piemonte (16,6%), Emilia-Romagna (6,8%), Sicilia (6,2%), Puglia (5,9%) e Veneto (5,5%). Per le restanti regioni l’utilizzo del volume irriguo nazionale è inferiore al 5% [Tavola 3.21].[4]

Nelle aziende agricole italiane l’acqua irrigua proviene per il 63% da acquedotti e consorzi di irrigazione e bonifica, il 17,9% dell’acqua proviene dalla falda, il totale delle acque superficiali si attesta al 15,7%. L’approvvigionamento da acque sotterranee è superiore nelle imprese con un’esigua dimensione irrigua: nelle aziende con superficie irrigata inferiore all’ettaro il 38,3% dell’acqua proviene da pozzo e questo dato diminuisce con l’aumentare delle dimensioni fino ad arrivare ad un 8,5% nelle aziende con 50 o più ettari irrigati. Il ricorso ad acqua proveniente da acquedotti e consorzi di irrigazione e bonifica aumenta con l’aumentare della dimensione irrigua delle aziende.[5]

L’approvvigionamento per tipologia di fonte differisce notevolmente a livello regionale rispetto ai dati medi nazionali. Nelle aziende del Nord-ovest il 74,7% dell’acqua deriva da acquedotto, consorzi di irrigazione e bonifica. Nelle regioni del Centro e del Sud le aziende agricole utilizzano principalmente l’acqua che proviene da fonti sotterranee rispettivamente per il 46,3% e il 47,8%. I valori di alcune regioni si discostano dai valori medi, in particolare in Molise e Basilicata e l’approvvigionamento da acquedotti e consorzi di irrigazione e bonifica supera l’80% dei volumi irrigui complessivamente utilizzati. Nelle Isole prevale il ricorso ad acque distribuite da consorzi di irrigazione e bonifica il quale si attesta al 55%.

L’analisi a livello di singola fonte di approvvigionamento mostra che l’acqua proveniente da fonti sotterranee all’interno delle aziende ha il suo valore più alto in Puglia (19,8%); questo dato è confermato dalla numerosa presenza di pozzi presenti nel territorio pugliese [Tavola 3.25].[6]

Un elemento di novità è aggiunto dalla Direttiva Quadro sulle Acque[7] con la quale si istituisce un rinnovato piano di azione comunitaria in materia idrica mirante a migliorare l’utilizzo sostenibile dei bacini idrografici. Tra gli obiettivi che si prefigge il Legislatore europeo, vi è la salvaguardia delle acque (superficiali e sotterranee) e la gestione delle risorse idriche sulla base di “distretti idrografici” indipendentemente dai confini amministrativi. Lo Stato italiano è suddiviso così in otto distretti idrografici:

Distretto delle Alpi orientali 39.385 Km2
Distretto Padano 71.057 Km2
Distretto dell’Appennino settentrionale 39.000 Km2
Distretto Serchio 1.600 Km2
Distretto dell’Appennino centrale 35.800 Km2

Distretto dell’Appennino meridionale

68.200 Km2
Distretto della Sardegna 24.000 Km2
Distretto della Sicilia 26.000 Km2 

Dalle rilevazioni censuali emergono essenzialmente due aspetti: a) il Mezzogiorno agricolo è tendenzialmente attento alla gestione irrigua della risorsa idrica; b) per le imprese agricole le acque sotterranee sono la principale fonte di approvvigionamento.

Al fine della pianificazione di politiche di sviluppo per il Mezzogiorno, il Legislatore dovrà tenere conto di questa realtà legata alla produzione nel settore primario, determinante per il fabbisogno alimentare nazionale. Inoltre, dalla stima intercensuaria emerge che rispetto al 2000 c’è stata una flessione negativa del 25,6% del numero di imprese agricole meridionali e un aumento generale delle dimensioni aziendali,[8] ovvero una tendenza alla concentrazione della proprietà, e che il Sud (Isole escluse) continua a possedere il 42,6% delle attività agricole dell’intero territorio nazionale.

Ben sappiamo che l’indipendenza politica di uno Stato ha origine anche dalla capacità di programmare lo sviluppo economico in rapporto al contesto ambientale. Nel nostro caso è necessario conoscere modalità, quantità e finalità di drenaggio dell’acqua dalle falde acquifere e monitorare i livelli e la qualità della falda, per progettare soluzioni idonee ad alleggerire la pressione che grava sulla risorsa a causa dei prelievi destinati perlopiù alla pratica dell’irrigazione. Insomma, l’uso strategico della risorsa idrica pone due questioni organiche tra loro circa la questione ambientale e il lavoro.

Per quanto concerne il sistema ambiente col passare degli anni la situazione che si delinea assume sostanza cronica. Ad incombere sull’intera area mediterranea vi è il processo di desertificazione. Tra le cause di natura antropica annoveriamo: l’erosione del suolo, il disboscamento, il rifiuto delle colture “autoctone” e di pratiche agricole sostenibili, l’abbandono dei campi e la cattiva gestione delle risorse idriche. Questi fattori pongono in essere le condizioni affinché tale spettro possa avanzare e concretizzarsi sempre di più. Ad oggi alcune porzioni nelle regioni meridionali sono già interessate dal processo ma studi del CNR affermano che il rischio desertificazione interesserà progressivamente zone sempre maggiori della Penisola.[9] Esiste, perciò, il rischio tangibile che anche sulla sponda nord del Mediterraneo si replichi la catena di eventi e processi sociali che oggi interessano estese zone adiacenti ai deserti. Terreni sterili ormai incapaci di produrre anche solo per la sussistenza, accrescimento dell’insicurezza alimentare, esplosione della crisi occupazionale e sociale, malattie, conflitti, aumento esponenziale dei flussi migratori verso le regioni che offrono ancora migliori condizioni ambientali.

Per quanto concerne la questione lavorativa, in Italia le classi popolari sono afflitte dalla precarietà che si aggrava ulteriormente per la gioventù meridionale. La disoccupazione giovanile nel Paese si aggira attorno al 40% e nel Meridione la situazione peggiora radicalmente sino a sfiorare il 60% per Calabria e Puglia.

Il quadro complessivo impone lungimiranza. Urge, pertanto, un piano generale di gestione pubblica e popolare che consideri la risorsa idrica in funzione strategica, capace nel breve-medio periodo di rilanciare il lavoro e la produzione nel settore primario e, in tempi più prolungati, di ridurre il rischio di desertificazione. Non è più possibile lasciar gestire l’acqua, come l’intera economia, secondo logiche capitalistiche. Il capitale basa la sua esistenza sulla corsa alla massimizzazione dei profitti nel minor lasso di tempo ed è incapace, per sua natura, di progredire verso uno sviluppo che sia al contempo sostenibile e sociale. Occorre, in sostanza, superare il capitalismo per il socialismo.


[1] Si veda: il Piano per la salvaguardia della risorse idriche europee, COM(2012) 673.11; e il Regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013 , sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che abroga il regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio.

[2] ISTAT, 2010, 6° Censimento Generale dell’Agricoltura, Utilizzo della risorsa idrica a fini irrigui in agricoltura.

[3] Tecniche irrigue: scorrimento superficiale ed infiltrazione laterale, sommersione, aspersione (a pioggia), microirrigazione, altri sistemi.

[4] ISTAT, 2010, cfr pp. 21-22.

[5] Ibidem, cfr pp. 33-34.

[6] Ibidem, cfr pp. 35-36.

[7] Direttiva 2000/60/CE.

[8] Dai censimenti ISTAT emerge che sul piano nazionale, in un decennio, il numero delle aziende agricole italiane è diminuito del 32,4%, passando da 2.396.274 (nel 2000) a 1.620.884 (nel 2010).

[9] Mauro Centritto, direttore CNR, afferma che «in Sicilia le aree che potrebbero essere interessate da desertificazione sono addirittura il 70%, in Puglia il 57%, nel Molise il 58%, in Basilicata il 55%, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%».

 

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