Conferenza sulla Libia, tra guerra e spartizione continuano le dispute imperialiste

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Conferenza sulla Libia, tra guerra e spartizione continuano le dispute imperialiste

All’indomani della Conferenza sulla Libia, svolta a Palermo il 12 e 13 novembre, anfitrione il governo italiano (1), si continua a sparare. Si smascherano così gli ipocriti annunci su presunti processi di “stabilizzazione e pacificazione”. Appena rientrate a Tripoli le delegazioni libiche sono state accolte da barricate e miliziani armati e subito dopo sono iniziati scontri simili a quelli avvenuti lo scorso settembre che coinvolgono le varie milizie che si contendono il controllo del territorio e posizioni di potere, legati alle varie potenze imperialiste, regionali e locali. Gli scontri, secondo diverse fonti libiche, sono figli del malcontento per come si è sviluppata proprio la Conferenza di Palermo. L’attacco sarebbe partito dalla Settima Brigata, che operante nella Tripolitania di Al Sarraj risulta legata ai Fratelli Musulmani, quindi vicina a Qatar e alla Turchia che ha subito presentato il conto dopo aver manifestato apertamente la sua insoddisfazione per gli sviluppi della Conferenza abbandonandola anticipatamente in polemica (2) per non esser stata fatta partecipe dell’incontro riservato tra Conte, Al Sarraj e Haftar.

Si tratta solo di una delle tante dispute in corso in una Libia suddivisa tra Tripolitania, con Al Sarraj capo del cosiddetto Governo di Unità Nazionale (sostenuto dall’Italia, USA, Nazione Unite, Turchia, Qatar…) e la Cirenaica con Haftar capo dell’Esercito Nazionale Libico (sostenuto da Francia, Russia, Egitto, Emirati Arabi…) nel mezzo dei quali agiscono molteplici milizie e fazioni locali, che utilizzano i “migranti” e il controllo dei pozzi come merce di scambio. Questi eventi dimostrano quanto lontane dalle realtà siano le premesse e le intenzioni annunciate nella presentazione della Conferenza “Per e con la Libia” che, così come i suoi risultati, nulla hanno a che fare con una reale “pacificazione e stabilizzazione” tantomeno a favore del popolo libico.

Forte dell’appoggio, interessato, ricevuto dal governo Trump, il governo italiano pensava di poter svolgere più agevolmente il ruolo di leader (la famosa “cabina di regia”) nell’obiettivo di delineare i piani di spartizione del bottino libico, dalle aree estrattive petrolifere, al gas alle commesse per la ricostruzione del paese dove si scontrano gli interessi strategici dei monopoli e gruppi capitalistici (italiani, francesi, statunitensi, inglesi, tedeschi, spagnoli, russi, ecc. e forze regionali e locali), in cui ognuno gioca la sua partita a discapito dei concorrenti Ma l’assenza dei “big”, in particolare da parte degli USA, è stato un segnale preciso, e il fatto che dal Vertice non sia uscita nemmeno una dichiarazione comune, per quanto solo formale e d’intenti, è emblematico di come non ci sia alcuna prospettiva comune per il futuro. Ciò riflette le controversie inter-imperialiste a vari livelli, con la disputa più forte tra Italia e Francia, per quale parte si assicurerà una maggiore quota nel continuo saccheggio della vasta ricchezza minerale della Libia a sette anni dall’intervento imperialista del 2011, che vide il rovesciamento e l’assassinio dell’ex presidente Gheddafi, condotto da 15 paesi della NATO (principalmente Francia, GB e USA) con bombardamenti che partirono proprio dalle basi in Sicilia su concessione del governo italiano (con il sostegno pressoché unanime delle forze borghesi).

Tra gli elementi che hanno impedito un qualsiasi reale accordo c’è sicuramente il disconoscimento della Conferenza da parte del capo dell’esercito di Tobruk, Haftar. Il generale ex gheddafiano, vicino per convenienza a Francia, Russia e Egitto, è giunto in Sicilia giusto il tempo per la photo-opportunity con Al Sarraj e Conte, ma non ha partecipato alla plenaria, non riconoscendo ad essa alcun ruolo e, soprattutto, facendo scoppiare il caso sulla presenza del Qatar e Turchia accusati di “sostenere e difendere gli interessi dei gruppi terroristi” (Al Qaeda).

Già i vertici a Parigi degli scorsi mesi non avevano prodotto sostanziali passi avanti. Il piano di elezioni anticipate a dicembre sembra ormai esser naufragato definitivamente, mentre rimane in essere il piano presentato dall’inviato dell’Onu Ghassan Salamè che prevede di stabilire una “Grande Assemblea” capace di guidare il paese alle elezioni politiche, al rinnovo della Costituzione ed infine alle presidenziali nella primavera del 2019 con la ricostruzione delle istituzioni politiche e un esercito regolare (con l’Italia che si propone come promotore di operazioni per la formazione dei corpi di polizia e esercito) su cui si gioca una partita molto complessa: si devono integrare le varie fazioni e milizie in campo ma, soprattutto, si deve decidere sulla leadership del paese che inciderà sull’egemonia delle potenze imperialiste direttamente coinvolte con i propri monopoli e sugli equilibri geopolitici nel quadro della competizione interimperialista regionale e globale.

La portavoce del Dipartimento di Stato degli USA, Heather Nauert, ha accolto favorevolmente le conclusioni della Conferenza e dei suoi obiettivi per condurre «elezioni, credibili, pacifiche e ben preparate.» Ha ricordato inoltre il ruolo dominante che gli Stati Uniti cercano in Libia e nella regione, sottolineando che coloro che «minano la pace, la sicurezza e la stabilità della Libia saranno ritenuti responsabili.» «Gli Stati Uniti – ha concluso – sono pronti a sostenere questo dialogo economico, in stretto coordinamento con la Missione di sostegno delle Nazioni Unite per la Libia (UNSMIL), la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale.»(3)

Come per il vertice parigino (luglio 2017), anche questo si è dimostrato esser solamente una mossa diplomatica dei rispettivi imperialismi per cercare di consolidare la propria influenza sulle parti a vantaggio degli interessi dei propri monopoli sulla pelle del popolo libico che continua a subire la guerra, sia economica che militare.

La battaglia sugli idrocarburi: gli interessi dell’imperialismo italiano (4)

Con 46.4 miliardi di barili, la Libia rappresenta il primo paese africano (38% di tutto il continente) e tra i primi dieci al mondo per riserve di petrolio (circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio), con un basso costo di produzione e basso tenore di zolfo che caratterizza in maniera unica quel greggio (che rappresenta il 60% del Pil e l’80% delle esportazioni libiche), in un territorio ancora sottosviluppato. Mentre le sue riserve di gas ammontano a 1.500 miliardi di metri cubi. Basterebbe solo questo per comprendere perché attiri l’interesse di tutti i maggiori monopoli del settore energetico. Dall’ENI, la francese Total-Fina, la britannica BP-Shell, la spagnola Repsol, l’americana Exxon, Mobil, Chevron e Occidental Petroleum, la giapponese Nippon Oil, la russa Gazprom e Rosneft, la cinese China National Petroleum Corp (Cnpc) ecc.

Anche dopo l’intervento imperialista, l’Italia conserva il suo ruolo principale nel paese, con l’ENI che vi produce circa il 20% della sua produzione di idrocarburi complessiva, possedendo circa il 70% della produzione di petrolio libico, raggiungendo lo scorso anno il suo record con 384mila barili/giorno (recuperando i livelli precedenti alla guerra, nel 2014 era di appena 80 mila barili/giorno), mentre in confronto la Total aveva una produzione di 31mila barili/giorno.

Proprio sulla competizione tra questi due colossi dell’energia si sviluppano buona parte dei conflitti per decidere il futuro della Libia, con il monopolio francese che mira ad insidiare il ruolo guida dell’ENI nei prossimi tre anni, attraverso acquisizioni, partecipazioni e nuove perforazioni, in particolare nella regione della Cirenaica di Haftar sostenuto fortemente dal governo francese. Il governo italiano, schiacciato finora sul sostegno al debole Al Sarraj, vorrebbe – in modo alquanto contradditorio – tessere rapporti anche con Haftar per estendere la rete dell’ENI in Cirenaica.

Una competizione che oltre al petrolio si estende naturalmente anche al gas, che l’ENI trasporta direttamente in Italia tramite il gasdotto “Greenstream” che giunge sulle coste siciliane al terminale di Gela. L’Eni possiede inoltre il monopolio estrattivo nell’area della Tripolitania e del Fezzan, dove sorge il più grande giacimento di gas off shore a Bahr Essalam, a 120km a nord ovest di Tripoli che insieme al campo di Wafa consente un impressionate incremento di produzione, passando da circa 1 miliardo di metri cubi del 2009, agli oltre 6 miliardi di oggi ed essendo anche il principale fornitore di gas al mercato locale, raddoppiato negli ultimi quattro anni, con 20 milioni di metri cubi al giorno destinati interamente ad alimentare le centrali elettriche del paese.

La questione Libia non può esser estraniata, naturalmente, dal resto del continente africano e dall’area del Mediterraneo, dove numerose sono le missioni, militari e non solo, italiane.

Ad esempio, l’Italia è il terzo paese per IDE (Investimenti Diretti Esteri) in Africa, con la presenza dell’ENI in 16 paesi africani con oltre 8 miliardi di investimenti, essendo quindi uno dei principali player energetici del continente dal quale arriva nel nostro paese circa il 50% della produzione di petrolio e gas. Ma non solo, per fare un altro esempio la Salini Impregilo realizza il 16% del suo fatturato in Africa. Tutto ciò si appoggia su una presenza militare sempre più numerosa, in ambito bilaterale, UE e NATO, con missioni in Libia, Niger, Tunisia, Mali, Somalia, Rep. Centrafricana, Gibuti ecc., con una spesa di 118 milioni di euro in nove mesi destinata agli interventi e missioni in Africa, che rappresenta il 15% dei costi di tutte le missioni di guerra mondiali. I 1.234 militari impegnati in Africa costituiscono quasi il 20% delle missioni fuori dai confini italiani (5). A essi si sommano diverse centinaia di milioni di euro sotto forma di aiuti umanitari e cooperazione internazionale, umanitari solo di facciata, che in realtà sono forme di corruzione e influenza sui gruppi di potere locali, da legare agli interessi dei propri monopoli, e che non arrivano mai alle popolazioni locali (se non in minima parte). Caratteristiche sono le missioni proprio in Libia (400 militari italiani, più di 130 mezzi terresti, navali e aerei, per un costo di 35milioni di euro da inizio anno fino a settembre) e, quella più recente, in Niger (inizialmente 120 soldati fino ad arrivare ai 470, più di 130 mezzi terresti e due aerei, per un costo di 30 milioni circa annui) con la quale cerca di penetrare nell’area del Sahel dove si concentrano le presenze di diversi contingenti militari (solo la Francia ha 4.000 soldati, forte presenza anche di USA, Germania, Gran Bretagna ecc.), in un paese poverissimo ma ricco di risorse come l’Uranio fondamentale per i monopoli francesi.

Alle missioni di terra si sommano quelle marittime (Sophia e Sea Guardian per citare le più note) che si estendono in tutto il mediterraneo, coinvolgendo direttamente anche la NATO, sotto il falso pretesto della sicurezza, lotta al terrorismo e controllo dei flussi migratori (6) che, come per le missioni a terra, diviene la giustificazione per interventi che rispondono in realtà esclusivamente agli interessi dei monopoli e agli obiettivi strategici delle borghesie nella competizione inter-imperialista in continuità con le politiche antipopolari e repressive imposte nei propri paesi.

La mobilitazione contro il summit imperialista sulla Libia

Il Vertice è stato accompagnato da una mobilitazione delle realtà antimperialiste siciliane che, nonostante debolezze e limiti, hanno mostrato la loro vitalità con una serie di iniziative, eventi e cortei in continuazione con le azioni contro la presenza delle basi USA e NATO, e del MUOS, che trasformano la Sicilia in una piattaforma strategica per le guerre e interventi imperialisti in tutta l’ampia regione del Mediterraneo, Nord Africa e Medio Oriente.

Alla vigilia del Summit imperialista sulla Libia, domenica 11 novembre, si è tenuto un incontro antimperialista e internazionalista organizzato dalla fed. siciliana del Partito Comunista con interventi principali del KKE, del JVP Sri Lanka e del compagno Alberto Lombardo dell’Ufficio politico del Partito Comunista (Italia), e altre realtà, nel quale si sono sviluppati proficui scambi di informazioni, analisi ed esperienze per rafforzare la lotta dei popoli e dei lavoratori contro l’imperialismo che genera sfruttamento e guerre per spartirsi il mondo per i profitti e interessi dei monopoli. Presentando gli sviluppi in Libia e le rivalità interimperialiste per il controllo delle risorse minerarie libiche, sono stati evidenziati gli interessi dell’imperialismo italiano sulla sua ex colonia, in particolare dell’ENI, ponendo particolare rilevanza sul fatto che nel dibattito politico in Italia quasi nessuno denuncia l’imperialismo italiano e le manovre dei governi borghesi italiani per sostenere progetti a servizio dei monopoli italiani.

Petros Kipouropoulos, a nome del Partito Comunista di Grecia (KKE), ha informato su tutti gli sviluppi in Medio Oriente, nei Balcani e sugli sviluppi della situazione greco-turca, e sulle azioni dei comunisti greci contro la guerra, le basi americane e della Nato, il coinvolgimento del paese negli interventi imperialisti e il lavoro all’interno dell’esercito. Inoltre, ha fatto riferimento a tutti i movimenti e le iniziative del governo SYRIZA-ANEL che hanno trasformato il paese in un portabandiera degli interessi imperialisti e alla luce della sua posizione geostrategica, come per la Sicilia, in un trampolino di lancio per guerre e interventi che portano al contempo pericoli per il paese e il popolo.

Evidenziando, inoltre, la partecipazione alla Conferenza libica da parte di Tsipras, si è ricordato che SYRIZA, quando era all’opposizione e in attesa della presidenza del governo, reclamava la chiusura di tutte le basi straniere e l’uscita della Grecia nella NATO. In sostanza, SYRIZA ha fatto commercio sulla speranza utilizzando alcuni slogan anti-imperialisti. Ciò porta a trarre immediate conclusioni da ciò che SYRIZA sta facendo oggi e in tutti gli ultimi quattro anni di governo a proposito della situazione in Italia.

«I lavoratori in Italia, i militanti, coloro che si sentono di sinistra e progressisti, – ha affermato – devono pensare a quello che hanno detto negli anni una serie di partiti e organizzazioni opportuniste che hanno sostenuto SYRIZA e hanno avvelenato il popolo italiano con la logica del male minore e della prospettiva di un cosiddetto “governo di sinistra” in Grecia che poteva cambiare l’UE nel suo insieme. Vediamo ora cosa sta succedendo sia in Grecia che nell’UE nel suo complesso e si assumano le loro responsabilità per le illusioni che hanno seminato in tutti questi anni. Anche il popolo italiano ha la sua grande esperienza con questo tipo di governi e quello che hanno fatto, per cui può trarre le sue conclusioni e voltar loro le spalle passando a lottare con il PC per organizzare la lotta e aprire la strada a cambiamenti radicali».

Nel suo intervento, Alberto Lombardo, per il Partito Comunista, ha messo in luce il ruolo imperialista dell’Italia che si presenta in ascesa nella piramide internazionale, la cui partecipazione agli agglomerati imperialistici come l’UE e la NATO corrisponde agli interessi attuali della borghesia italiana per compartecipare alla spartizione della torta e schiacciare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nel proprio paese. Inoltre ha analizzato la relazione tra le ragioni economiche e la loro proiezione militare internazionale la cui base è il capitalismo monopolistico che caratterizza l’imperialismo. Gli Stati e i governi fungono da comitato d’affari dei monopoli e apparato militare di aggressione e saccheggio per i profitti delle multinazionali. Di conseguenza bisogna rompere con il sistema capitalistico a partire dal proprio paese, senza schierarsi alla coda di questo o quel settore della borghesia. Infine si è analizzato come i sistemi militari dislocati nella regione servono al controllo del territorio e di un crocevia fondamentale come quello del mediterraneo per la NATO che non è assolutamente fonte e garanzia di pace, come spesso si dice. Al contrario, in realtà si è perso il conto di quante guerre siano state fatte dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, così come la quantità di armi prodotte è in costante crescita e diffusione con l’Italia tra i principali produttori.

Concludendo ha affermato che «l’imperialismo divide e mette i popoli gli uni contro gli altri, è stato così più di cento anni fa e lo è ancora oggi, l’internazionalismo proletario unisce perché l’interesse dei proletari italiani, libici, greci, turchi, tedeschi ecc. è uguale: vivere in una società di liberi e uguali senza sfruttamento, mentre il capitalismo genera conflitti e sofferenze».

Preparare tempestivamente l’opposizione alla guerra

L’incontro ha posto l’attenzione sulla necessità della preparazione tempestiva sul tema dell’opposizione alla guerra da portare in maniera coerente all’interno del movimento operaio affinché non sia ancora una volta trasformato in carne da macello per gli interessi delle rispettive borghesie, che stanno preparando questo terreno con perversi meccanismi fino alla diffusione del veleno del nazionalismo e razzismo. Allo sviluppo delle lotte contro le basi militari e la guerra, bisogna collegare la lotta generale contro la propria borghesia, per ribaltare il sistema capitalistico e la rottura delle alleanze imperialiste come UE e NATO, unico modo in cui i popoli possono esser protagonisti del proprio destino e sviluppo in prosperità, pace e armonia tra di loro.

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  1. Hanno partecipato (oltre l’Italia), governi o delegazioni di: Algeria, Austria, Canada, Ciad, Cina, Congo, Repubblica Ceca, Egitto (con il presidente Al Sisi), Etiopia, Francia (con il ministro degli Esteri Le Drien), Germania (con il sottosegretario agli esteri Ennen), Grecia (con il premier Tsipras con delega ministero estero), Giordania, Malta, Marocco, Paesi Bassi, Niger, Polonia, Qatar, Russia (con il premier Medvedev), Arabia Saudita, Spagna, Sudan, Svezia, Svizzera, Tunisia, Turchia (con il vice presidente Otkay), Emirati Arabi, Regno Unito, Usa (con il consigliere speciale del dipartimento di Stato per il Medioriente, David Satterfield), l’UE (con l’Alto rappresentante Mogherini) e il rappresentante ONU in Libia Salamé.
  2. Da notare come il ministro della difesa turco, Akar, nei giorni precedenti alla Conferenza sulla Libia abbia incontrato funzionari libici per “denunciare” come la Grecia starebbe usurpando parte importante dell’area marittima libica. Il ritiro del funzionario turco dalla Conferenza avviene quindi anche sullo sfondo dell’intensa attività dei monopoli energetici nel Mediterraneo orientale tra Grecia, Cipro, Egitto e Israele.
  3. https://www.state.gov/r/pa/prs/ps/2018/11/287344.htm
  4. Tratto dalla relazione introduttiva all’incontro “Contro il summit imperialista sulla Libia”
  5. https://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2018/11/la-nostra-africa-missioni-italiane-e.html
  6. La distruzione delle economie di sostentamento di interi popoli è causa dell’emigrazione forzata, trasformando milioni di persone in migranti, il mediterraneo in una gigantesca fossa comune e la Libia stessa in un enorme lager. Sulla “gestione” dei “flussi migratori”, si gioca una ulteriore competizione sulla ripartizione e le quote, aprendo e chiudendo i rubinetti in base alle esigenze dei capitalisti, e al contempo viene utilizzato come mantello per creare l’ambiente ideale a giustificare nuovi interventi e missioni, come sta facendo il governo M5S-Lega.

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