Nell’ambito della collaborazione tra Lariscossa.info e cumpanis.net pubblichiamo l’anticipazione di questo articolo del Direttore Fosco Giannini
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Lo scorso 27 gennaio Striscia la Notizia (Canale 5, ore 20.30) manda in onda, in relazione all’elezione del Presidente della Repubblica, un’intervista/incontro del famigerato Enrico Lucci con il segretario generale del Partito Comunista, Marco Rizzo, e il cantante e chitarrista Mariano Apicella.
Lucci rappresenta il distillato estremo della protervia, della volgarità, del populismo becero al servizio cinico dell’“audience” televisiva. La sua ferocia sembra non risparmiare nessuno, anche se con strumenti anche molto meno raffinati di quelli della semiotica di Umberto Eco o dello strutturalismo di Ferdinand de Saussure si può agevolmente stabilire come Lucci sia oggi uno dei più tipici rappresentanti della mistificazione mediatica: un qualunquista alla Guglielmo Giannini legato mani e piedi alla cavezza del potere.
Veniamo al punto: anche nella puntata di Striscia la notizia del 27 gennaio ultimo scorso la violenta, e per molti versi lugubre “verve” di Lucci – la cui “mission” è quella di distruggere chi gli capita di fronte – si riversa totalmente contro Marco Rizzo. Il quale si difende, ma “naturalmente” non può uscire totalmente indenne da quel ring mediatico entro il quale Antonio Ricci, il talento mefistofelico di Mediaset, ha liberato Lucci. Un risultato però Rizzo lo consegue: risulta simpatico, semplicemente umano, sa stare al gioco.
Ciò che colpisce, alla fine del match, non è tanto la vittoria (forse solo apparente, come vedremo più avanti) del padrone di casa, ma è la ferocia con la quale alcuni comunisti/e, attaccano violentemente Rizzo (su Facebook, ove notoriamente allignano i leoni da tastiera) per “la figura” fatta con Lucci ed Apicella.
Già quest’accusa contro il segretario del PC pone alcune questioni:
– perché si arriva a formulare l’accusa di una “figuraccia”? Ha forse svenduto i propri principi e i propri valori comunisti sull’altare di Lucci? Non ci sembra proprio. Li ha, anzi, difesi. Tra gli odierni accusatori comunisti del Rizzo di Striscia la notizia vi sono (chi scrive li conosce, ne conosce il nome) coloro che non ebbero nulla da dire, e ancora hanno troppo poco da dire, sull’intervista che Enrico Berlinguer, il 15 giugno del 1976, concesse a Giampaolo Pansa, per il Corriere della Sera, quando l’allora segretario del PCI affermò di preferire l’ombrello della NATO, accelerando, con tale affermazione, quel gigantesco processo di “mutazione genetica” del PCI che sfociò poi nel Congresso di autoliquidazione del più grande partito comunista al mondo non al potere. Quella di Berlinguer non fu certo, e oggettivamente, una buona figura, fu anzi una abiura. Ma non ricevette e non riceve tuttora la reazione violenta che Rizzo ha ricevuto da alcuni compagni/e per la sua presenza a Striscia la notizia. Perché?
– Rizzo avrebbe fatto una “figuraccia” perché è stato al gioco, al gioco della smitizzazione del personaggio che sempre ricerca e impone Lucci? Sì, Rizzo è stato a quel gioco. Al gioco della smitizzazione di se stesso. Ma ciò è davvero un peccato cardinale per un dirigente comunista? O i comunisti dovrebbero invece apprezzare, di Rizzo, la rinuncia ad ogni “titanismo”, ad ogni “superomismo” (quel “superomismo” che caratterizza anche attuali dirigenti comunisti italiani, tanto più pieni di sé quanto più sono sconosciuti alle masse) per mostrarsi semplicemente com’è, come un uomo è, come un uomo che visibilmente proviene dal popolo e, magari, del popolo ha pregi e difetti, ma, certo, non se la tira, non ha nessuna puzza sotto il naso, nessuna inclinazione elitaria?
Certo è legittima l’opinione secondo la quale Rizzo poteva anche non andarci, in quella tagliola. Un’opinione che ha una sua cittadinanza. Ma tra questa posizione e il veleno sparso contro di lui da alcuni compagni c’è una bella differenza! Una domanda tira l’altra: si è comunisti, in questo Paese, solo se non si milita nel PC?
Certo, potremmo ricordare che in tutta la fase che ha preceduto l’incontro con Lucci, il segretario del Partito Comunista ha raggiunto un grande consenso popolare, attraverso le reti televisive nazionali, per il ruolo centrale svolto nella formulazione della proposta del giudice costituzionale Paolo Maddalena a Presidente della Repubblica (gli altri partiti comunisti dov’erano?). Un ruolo e un vasto consenso mediatico e popolare, questo conquistato dal segretario del PC nella fase dell’elezione del Presidente della Repubblica, che forse può aver dato fastidio a qualcuno e spinto ad alcune “vendette”?
Tuttavia, la questione della presenza di Rizzo a Striscia la notizia (enfatizzata dai suoi detrattori seriali) non è certo una “questione in sé”, ma rimanda al problema molto più serio, per i comunisti e per il movimento operaio complessivo, dell’organizzazione del consenso di massa attraverso il terreno dei “media” (consideriamo che questa trasmissione è solitamente seguita da 7/8 milioni di persone a sera, difficilmente raggiungibili in altro modo).
Una questione così grande, così problematica, questa dell’utilizzo dei “media” per il consenso di massa, e così tanto trascurata e rimossa da alcuni gruppi dirigenti e partiti comunisti da essere, ora, per molti militanti e “quadri” comunisti, persino sconosciuta e, come, questione sconosciuta, facilmente demonizzabile. Anche se, come asseriva la grande scrittrice cinese Han Suyin, “non si dovrebbe mai condannare ciò che non si comprende”. E, ancora Han Suyin, per chi vuol capire: “non dovrebbe esserci posto, per i moralisti, in una galleria d’arte”. Mentre invece diversi “moralisti”, probabilmente digiuni di ogni concezione relativa all’esigenza rivoluzionaria dell’organizzazione del consenso attraverso i “media” borghesi, hanno intempestivamente fucilato Marco Rizzo.
Il punto è, dunque, il seguente: già da tempo la borghesia ha compreso, e a fondo, l’importanza della costruzione del consenso di massa attraverso i “media”, l’importanza della costruzione di un senso comune di massa subordinato al capitale attraverso televisioni e giornali. Mentre, su questo terreno, particolarmente arretrato è il movimento comunista che certo non possiede, oggi in Italia, i mezzi materiali per affrontare il conflitto mediatico con la borghesia, ma non ha nemmeno sviluppato un pensiero, una teoria, e dunque nemmeno una prassi minima, per tentare di avviare una lotta mediatica, di consegnare alla lotta di classe lo strumento della lotta mediatica, di puntare all’organizzazione del consenso di massa attraverso dei propri “media” o, in questa fase così difficile per il movimento operaio e comunista italiano, di conquistare una propria presenza sui “media” borghesi. È del tutto evidente che la ricerca dell’organizzazione del consenso di massa attraverso i “media” non scalfisce in alcun modo la centralità della ricerca di tale consenso attraverso la lotta di classe e il radicamento territoriale e sociale. Ma è chiaro che la lotta mediatica rafforza ed amplifica l’opzione primaria della lotta e del radicamento.
L’attuale movimento comunista italiano non ha sviluppato una ricerca politico-teorica, e una prassi, all’altezza del problema relativo alla coniugazione delle due opzioni attraverso le quali organizzare il consenso di massa: radicamento e “media”. La debolezza politica, pratica e teorica su questo punto ha invece spinto buona parte del movimento comunista italiano odierno su posizioni rinunciatarie, idealiste, nell’essenza elitarie, posizioni che giungono persino ad osteggiare la ricerca del consenso attraverso la lotta mediatica, posizioni che tuttavia nascondono, attraverso l’elitarismo idealista, la mancanza di un pensiero politico forte relativo alle condizioni oggettive nelle quali si sviluppa la lotta di classe nella contemporaneità. Da qui, da tale deficit politico-teorico, proviene, probabilmente, l’astio di alcuni comunisti “idealisti” (e cioè oggettivamente antimaterialisti) nei confronti della lotta che conducono il PC e Marco Rizzo sul nuovo fronte di classe, quello mediatico.
Noi dobbiamo onestamente riconoscere che il Partito Comunista e il suo segretario sono gli unici, oggi in Italia, a tentare di “occupare” gli spazi mediatici del nemico di classe, al fine di dar voce alla classe, alla classe operaia complessiva. Questa, condotta dal PC, è una guerra e come in ogni guerra, certo, si possono compiere errori. Ma rimane il fatto che il PC è l’unica forza comunista a tentare di condurla, oggi, questa guerra.
Su questo punto, molte cattiverie si sono sentite, da parte di alcuni stessi comunisti. Tra le altre, le più ricorrenti: “Rizzo arriva ai ‘media’ borghesi perché è venduto ad essi”, oppure: “Rizzo arriva ai ‘media’ borghesi perché essi vogliono farne una caricatura del comunismo”.
Quando le nefandezze travalicano il confine della moralità giunge il tempo di rispondere. Noi crediamo che il PC e il suo segretario siano arrivati ai “media” borghesi per aver compreso, ben prima di altri, l’importanza della lotta mediatica nel conflitto di classe contemporaneo e abbiano, primo: spostato energie significative nella ricerca di relazioni politiche con i “media”; secondo: messo a fuoco una fruttuosa linea d’intervento, un vero e proprio stile di lavoro generale a livello mediatico; terzo: messo a disposizione del partito la forte popolarizzazione mediatica al fine di dinamizzare lo stesso partito e dotarlo di quella forte capacità di mobilitazione su gran parte del territorio nazionale di cui oggi, infatti, gode. Organizzazione del consenso attraverso i “media” e attraverso la mobilitazione e il conseguente radicamento: un partito d’avanguardia, che si pone la questione di quale forma di lotta nella contemporaneità.
Un partito senza problemi? No: probabilmente pieno di problemi. Ma una forza d’avanguardia, che assieme alla questione mediatica si pone con forza la questione della preparazione ideologica e politica dei “quadri”. Cosa che, sappiamo, spaventa un po’, e chi lo sa perché, altri partiti comunisti.
Un partito, comunque, il PC, che rifiuta a priori quell’atteggiamento idealista ed elitario di chi nemmeno riflette sull’esigenza oggi centrale di condurre la lotta di classe anche sul terreno dei “media”, il terreno oggi più proficuo, peraltro, per l’organizzazione del consenso di massa.
Certo, a tutti i comunisti deve essere chiara la legge intrinseca ai “media” che gli studiosi dei “segni” hanno messo a fuoco: con la stessa velocità con la quale i “media” costruiscono e popolarizzano un personaggio, così possono distruggerlo e tale legge deve indurre i comunisti, mentre giustamente lottano per la conquista degli spazi mediatici, a considerare quanto questi spazi possano essere transeunti e quanto la popolarizzazione dei dirigenti comunisti deve essere messa innanzitutto a valore per il radicamento territoriale del partito.
Credo vada letto in quest’ottica, nell’ottica, cioè, della conquista di spazi di impatto di massa, di spazi con vastissima “presenza” popolare, la scelta di Rizzo e del PC di partecipare a “Striscia la notizia”, di rischiare anche l’aggressione di Lucci. Credo che la presenza del segretario del PC a Striscia la notizia, lo scorso 27 gennaio, possa e debba essere letta nel modo completamente opposto da come l’hanno letta i suoi detrattori cronici. E cioè: Rizzo sapeva il rischio che anche personalmente correva, con Lucci, tuttavia ha messo a disposizione se stesso, la sua stessa figura personale, per la popolarizzazione del partito, delle stesse idee comuniste. Qualcuno ricorda la concezione gramsciana del “nazionalpopolare”, la messa a fuoco, cioè, dei “vettori” di cultura popolare, che Benedetto Croce sdegnosamente liquidava come “bassa cultura”, attraverso i quali consegnare alle “sartine” (figura coniata da Gramsci), alle donne e agli uomini del popolo, non colti, una coscienza rivoluzionaria?
La presenza del PC a Striscia è stata giudicata, dal gruppo dirigente di questo partito, utile per far sapere a quei milioni di telespettatori appartenenti al popolo, al proletariato che seguono il ring di Lucci, che il partito comunista c’è. Che non è vero che sia scomparso. Per togliere il PC, e i comunisti tutti, dal cono d’ombra censorio ove i “media” del capitale seppelliscono ogni istanza comunista. Una strada irta di difficoltà, questa di dar luce all’opzione comunista attraverso le griglie di Lucci. Ma Rizzo lo ha fatto. Perché così fanno i rivoluzionari. Perchè per giungere al paese dove vivono i contadini, alla città dove vivono gli operai, occorre spesso attraversare le selve più impervie. Perché così non fanno i dirigenti elitari seduti sui divani.
E dobbiamo essere indotti ad un’osservazione: non è affatto detto che la volgarità, la sguaiatezza e la prepotenza di Lucci, nella serata del 27 gennaio, abbiano avuto la meglio – agli occhi di quei milioni di spettatori di estrazione popolare di Striscia – sulla pazienza e sulla resistenza alle provocazioni dimostrate da Rizzo. E che, dunque, “la figura” l’abbia fatta proprio la nave pirata di Mediaset, secondo la legge di Wilhelm Wundt dell’ eterogenesi dei fini, particolarmente adatta ad interpretare l’ormai accertata e “misteriosa” imprevedibilità del mezzo mediatico.
Chi scrive, sulla scorta delle critiche severe ricevute da Rizzo da alcuni compagni/e ha chiesto ad “altri” (intellettuali, operai) cosa pensassero della presenza del segretario del PC a Striscia: nessun veleno, da queste parti, nessuna demonizzazione. Perché, allora, tanta ferocia da parte di quei, pochi, compagni/e? C’è qualcosa che lega questo atteggiamento di critica brutale (perché così è stata) al rifiuto, da parte di alcuni gruppi dirigenti, alla proposta dell’unità dei comunisti, lanciata dall’Appello “Ora l’unità. Per il Partito Comunista in Italia” e fatta propria e rilanciata anche dal PC? Rizzo, in una sua recente lettera aperta, ha risposto positivamente alla richiesta di unità dei comunisti lanciata dal’Appello, dicendosi pronto al confronto e al processo unitario con gli altri partiti comunisti. Ciò ha forse irritato coloro che all’Appello non hanno invece nemmeno risposto, o risposto negativamente?
Occorre non soffermarsi sul “fatto in sé”, sulla vicenda Striscia la notizia, ma guardare lontano, avere lo sguardo lungo della rivoluzione: i grandi partiti comunisti con basi di massa, le grandi trasformazioni sociali possono prendere corpo solo a condizione che vi sia una trasformazione in positivo del senso comune di massa e questa trasformazione del senso comune di massa, oltreché sul terreno della lotta e del radicamento, può avvenire sul terreno della lotta mediatica. Da quel fronte storicamente moderno e sempre più in espansione sul piano della capacità di costruire, plasmare coscienze, che sono i “media”.
Da questo punto di vista la lotta che va ingaggiando il PC è una lotta, in Italia, nuova, dal carattere anche fortemente sperimentale e, dunque, anche suscettibile d’errori e imprevisti. Ma l’importanza di questa lotta sta nel fatto che essa è totalmente consapevole. Questa lotta, cioè, vuol essere affinata e consegnata come nuovo strumento della cassetta degli attrezzi per la trasformazione sociale. Per lo scontro di classe.
Questa lotta, seppur ancora non sufficientemente dotata, per la sua sostanziale novità, del necessario apparato politico-teorico, riveste già una grande importanza anche in virtù del fatto che essa, condotta da un soggetto contro, come il soggetto comunista, già si dispone oggettivamente a contestare i dogmi, le leggi di colui che è stato, con ogni probabilità, il più grande studioso del sistema mediatico moderno: Herbert Marshall McLuhan.
McLuhan, che nel suo capolavoro del 1976, La galassia Gutenberg, già rimarcava il ruolo decisivo dei media nella storia umana e della nuova e straordinaria influenza della stampa a caratteri mobili sulla storia della cultura occidentale, giungerà, attraverso la sua riflessione successiva (e certo anche a partire dal suo saggio forse più noto, Gli strumenti del Comunicare, del 1964) a “ratificare” filosoficamente che i “media” vanno valutati non tanto a partire dai contenuti che lanciano, ma in base alle strutture sulle quali organizzano la comunicazione. Concezione dalla quale fu tratta la famosa sintesi di McLuhan: “il medium è il messaggio”. Che vuol dire che il contenuto non esiste, esiste solo il suo veicolo strutturale. Che questo è il suo messaggio.
Oggi, di fronte allo straripante messaggio distorcente e mistificante dei “media” del potere capitalistico, non possiamo certo non tener conto del valore della sintesi di McLuhan. Ma insieme a ciò non possiamo non tener conto di quanto essa sia stata e rimanga una fotografia, una pura descrizione fenomenologica del reale che si è andato costituendosi all’interno del potere mediatico capitalistico, potere che ha voluto subordinare il contenuto alla forma. E che l’obiettivo rimane quello del ripristino di una gerarchia di valori che riconsegni al contenuto il primato che gli spetta, consapevoli, certo, del rapporto dialettico tra contenuto e forma.
Secondo McLuhan, il veicolo strutturale è il vero contenuto. Ma è proprio vero che fossero i calzini “burlington” di Bertinotti, le sue cravatte “Marinella” a farsi veicolo per la disseminazione di un pensiero anticomunista? Non è più serio e oggettivo dire, invece, che era proprio l’oltremodo debole pensiero “bertinottiano” della “multicentralità” che affossava, senza bisogno di altri veicoli strutturali, la centralità dello scontro capitale lavoro?
Era la severa ieraticità di Berlinguer il vettore strutturale attraverso il quale passava la linea di rottura del PCI col fronte comunista mondiale, o erano i contenuti reali e ampiamente argomentati delle sue posizioni antileniniste a portare il PCI fuori da quel fronte?
Sappiamo bene che la lotta che conducono oggi il PC e il suo segretario Marco Rizzo sul fronte mediatico non può concretamente avere la forza di sovvertire la gerarchia postulata da McLuhan (“è il medium il messaggio”), ma ciò che occorre riconoscere è che questa lotta va in quella direzione, seppur sperimentando con ancora poche forze. Ma è in questa sperimentazione che risiede il nocciolo della futura e vincente lotta d’avanguardia.