di Benedetta Sabene
Nel più totale silenzio dei media, il 25 febbraio hanno sfilato a Roma oltre 5000 lavoratori e lavoratrici della TIM provenienti da tutta Italia.
Mentre i manager dell’azienda vengono strapagati per portare avanti le più scellerate politiche di privatizzazione, le condizioni dei lavoratori peggiorano sempre di più, nel generale e complice mutismo della politica e del governo. La volontà di introdurre i controlli a distanza, di ridurre le ferie insieme con la possibilità di affidare in appalto il lavoro ed esternalizzarlo non sono altro che un attacco senza precedenti ai diritti più basilari della classe lavoratrice, avallato e agevolato sia dalle normative europee che dal Jobs Act, del quale si vogliono mettere in pratica le clausole più vessatorie.
La politica aziendale promossa dall’amministratore delegato Cattaneo maschera dietro la lotta contro gli sprechi la volontà di risparmiare sulla pelle di migliaia di lavoratori che non si sono visti pagati i premi di produzione, che si vedono imposta una totale e rigida programmazione addirittura dei permessi ad ore, oltre che la riprogrammazione dei buoni pasto per i part-time (secondo la folle equazione: meno lavori-meno mangi) e il blocco degli scatti di anzianità. Nonostante la situazione stia diventando sempre più insostenibile, il futuro dell’azienda non sembra presupporre nessuna sorta di miglioramento della condizione dei suoi lavoratori, anzi: il rischio di esuberi e di trasferimenti territoriali rimane alto, per far fronte alla volontà di profitto e di privatizzazione che i dirigenti vogliono portare avanti fino in fondo.
Come se ciò non bastasse, l’ulteriore beffa è stata l’elezione di Cattaneo a miglior manager dell’anno 2016, secondo il consueto annuale sondaggio effettuato dal giornale di business “Milano Finanza”: il massacro sociale ai danni dei lavoratori viene promosso come modello di efficienza, modello che purtroppo sta venendo adottato e applicato ormai ovunque. Lo abbiamo visto con i lavoratori di Almaviva, scesi sabato in piazza al fianco degli operatori della TIM, dove in più di 1600 sono stati sacrificati in nome della delocalizzazione; lo stiamo vedendo con Alitalia, dove sulla stessa lunghezza d’onda dell’amministratore delegato della TIM Cattaneo, la dirigenza punta alla riduzione dell’organico, al congelamento degli stipendi e all’eliminazione degli scatti di anzianità giustificandoli come unica modalità di risparmio e di rilancio dell’efficienza dell’azienda.
I diritti dei lavoratori, anche i più elementari come quelli legati ai permessi e ai pasti, non sono altro che un inutile spreco di risorse in un’economia capitalistica globalizzata che impone come unico scopo la massimizzazione del profitto. A livello nazionale ed europeo continua a rimanere fermo il sostegno a politiche volte a favorire le grandi imprese e i grandi monopoli industriali a scapito di settori della società sempre più deboli e vessati.
Il vergognoso e assordante silenzio delle istituzioni, insieme a quello delle testate giornalistiche cartacee e televisive, di fronte alle migliaia di lavoratori e lavoratrici scesi in piazza sabato non deve stupire: le loro rivendicazioni non verranno mai prese in considerazione da chi non fa altro che avallare anno dopo anno la distruzione dei diritti sociali e lo smantellamento di ogni forma di tutela sul lavoro.
Questo non fa altro che ricordarci di quanto sia necessaria e fondamentale in questo momento storico l’organizzazione di tutte le forze lavoratrici in ogni luogo di lavoro e la costruzione di un sindacato di classe: all’attacco aperto delle grandi industrie e dei padroni, non possiamo fare altro che reagire organizzando il contrattacco.