Hanno avuto inizio lunedì scorso, 21 agosto, le manovre dell’esercitazione militare congiunta su larga scala tra gli Stati Uniti e la Corea del Sud denominata “Ulchi-Freedom Guardian” che si realizza annualmente dal 1976 e che rappresenta la più grande simulazione di comando e controllo computerizzata del mondo. Lo svolgimento di quest’anno si inserisce nell’escalation della tensione tra gli USA e la Corea del Nord che non si può di certo isolare dagli antagonismi inter-imperialisti in tutta la regione dell’Asia e del Pacifico tra i monopoli statunitensi e i centri rivali come la Cina e la Russia.
Anche se le esercitazioni sono giustificate esclusivamente come difensive, è evidente che si tratti invece di prove di guerra d’invasione del territorio della Corea del Nord. Non sono passati molti giorni da quando infatti la leadership americana ha parlato apertamente di “opzione militare” per una “soluzione” nella penisola coreana o della decisione del Giappone di sviluppare il sistema di missili terresti “Aegis Ashore” sotto il pretesto di “affrontare la minaccia nordcoreana” che si somma, tra le altre, all’installazione del THAAD in Corea del Sud, incrementando la militarizzazione della regione.
Washington e Seul pertanto non rinunciano, come richiesto da più parti, all’ennesima provocazione e prova di forza con queste esercitazioni che si concluderanno il 31 agosto e coinvolgono 50.000 militari sudcoreani e 17.500 militari statunitensi, ridotti di circa 7.500 unità rispetto allo scorso anno. Una riduzione che può esser letta da un lato come parte dei complessi processi tra alleati con la “raccomandazione” americana a Seul e Tokio di assumersi più “responsabilità” – come confermerebbero le dichiarazioni del segretario della Difesa USA, Mettis, sulla necessità di enfatizzare l’integrazione nelle operazioni con Seul – ma dall’altro potrebbe anche esser un mossa nel teatro diplomatico.
«Le esercitazioni hanno l’obiettivo di migliorare il livello di cooperazione militare, proteggere la regione e mantenere la stabilità nella penisola coreana», secondo il Pentagono. Il presidente fantoccio della Corea del Sud ha sostenuto che le esercitazioni sono conseguenza delle “sfide” causate da Pyongyang con i test balistici nucleari, sottolineando che la situazione nella penisola è ora più seria che mai, ma aggiungendo ipocritamente che il suo governo farà «ogni sforzo per evitare la possibilità di una guerra, sulla base della forte alleanza Corea del Sud-USA e la cooperazione con la comunità internazionale».
Da Pyongyang sono stati diffusi comunicati dissuasivi che denunciano apertamente il carattere aggressivo delle manovre militari in corso e le preoccupazioni per gli scenari che possono derivare. Sul giornale del CC del Partito del Lavoro di Corea, “Rodong Sinmun” le esercitazioni vengono infatti qualificate come «benzina sul fuoco» avvertendo che «peggioreranno la situazione», rappresentando la «manifestazione più evidente dell’ostilità contro di noi» e manifestando infine la preoccupazione che «nessuno può garantire che le manovre non si trasformeranno in combattimenti reali». Il portavoce della Missione Panmunjom dell’Esercito Popolare coreano ha denunciato che si tratta di «uno scenario di guerra aggressivo per colpire preventivamente la RPDC». «Gli Stati Uniti saranno ritenuti responsabili per le conseguenze catastrofiche derivanti da tali sconsiderate manovre aggressive, in quanto avranno scelto lo scontro militare con la RPDC», ha concluso relazionandosi all’arrivo in Corea del Sud dei «capi di alto livello delle forze dell’aggressore imperialista statunitense» che potrebbero esser «direttamente incaricati di attaccare preventivamente la RPDC e della guerra di aggressione con l’occasione dell’attuale esercitazione militare congiunta». Nuove schermaglie che alzano ancora una volta la tensione a causa delle manovre statunitensi.
In continuità con le forti proteste popolari contro l’installazione del THAAD, centinaia di attivisti hanno protestato sotto l’ambasciata USA a Seul anche contro l’esercitazione “Ulchi-Freedom Guardian” alla quale partecipano anche soldati di altri sette paesi: Australia, Canada, Regno Unito, Nuova Zelanda, Olanda, Danimarca e Colombia, insieme a 480.000 funzionari pubblici sudcoreani, forze di polizia, forze paramilitari e personale di imprese private.