Si è svolta oggi a Reggio Emilia, in occasione dell’anniversario della strage avvenuta nella città emiliana il 7 luglio 1960, una giornata in onore dei martiri antifascisti.
In quell’occasione, a seguito della nascita del governo Tambroni, un monocolore della Democrazia Cristiana sostenuto dal determinante appoggio esterno del Movimento Sociale Italiano, e della convocazione per il precedente 30 giugno del congresso del MSI a Genova, la CGIL locale proclamò lo sciopero cittadino. Durante le proteste, pacifiche, la polizia e i carabinieri caricarono i manifestanti e iniziarono ad esplodere colpi d’arma da fuoco che uccisero 5 operai: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli; tutti i morti erano militanti del PCI ed alcuni di loro (gli ultimi tre) erano stati partigiani durante la Resistenza. Negli stessi giorni vi furono altre vittime in Sicilia (Palermo, Catania e Licata) e scontri in tutto il territorio italiano, in quella che fu una vera e propria sollevazione antifascista su scala nazionale.
A 59 anni di distanza, il Partito Comunista ha convocato un corteo cittadino che, partendo alle 9:30 da Piazza Tricolore, si è snodato attraverso le vie di Reggio Emilia, terminando a Piazza Martiri del 7 Luglio attorno alle ore 11.
In piazza si sono succeduti diversi interventi, ha preso la parola anche Marco Rizzo, segretario generale del PC, ribadendo il significato dei valori antifascisti: «Siamo in piazza non solo per ricordare i nostri caduti, ma per affermare con forza che il nostro non è “antifascismo da passerella”, ma impegno costante nelle lotte dei lavoratori e della classe operaia, nelle periferie e nei luoghi del conflitto sociale. Esattamente il contrario del PD e della sinistra borghese, che esalta il pericolo fascista per fini elettorali, promuovendo di fatto mediaticamente i fascisti e lo stesso Salvini che si nutre di questa propaganda.»
La commemorazione è proseguita nel pomeriggio presso il Centro Sociale Foscato con una conferenza sulla Resistenza dopo la Liberazione e sul ruolo dei comunisti ieri e oggi.
Ha aperto il dibattito Ettore Farioli, unico figlio di Lauro: «A chi, come me, perde un padre all’età di due anni crolla il mondo addosso. Ho conosciuto mio padre solo attraverso una fotografia, ma ho avuto la fortuna di avere una famiglia che mi ha cresciuto all’insegna dei valori dell’antifascismo. Spero che i giovani di oggi possano avere le mie stesse opportunità di ricevere questi insegnamenti. L’iniziativa di oggi e i giovani presenti mi fanno credere che questo sia possibile e che il futuro sia nelle nostre mani.»
Successivamente è intervenuto Riccardo Pelli, segretario cittadino del Fronte della Gioventù Comunista:
«Alcuni dei martiri del 7 luglio erano dei giovani come noi che avevano intrapreso il percorso della militanza. È giusto che chi è giovane provi a cambiare questa società con l’impegno politico in prima persona. Nelle scuole non si parla della vicenda del 7 luglio 1960, e noi del FGC vogliamo portare i nostri coetanei a conoscenza di quei fatti e di come le contraddizioni di quegli anni esistano anche oggi. Ispirandoci anche a dei giovani come Lauro Farioli e Ovidio Franchi lotteremo per ricostruire uno strumento che ci permetta davvero di cambiare questo mondo: il Partito Comunista.»
Dall’intervenuto di Alessandro Fontanesi, membro del Comitato Provinciale ANPI di Reggio Emilia: «Le vittime di quel 7 luglio sono cadute per difendere i valori della Resistenza dall’abisso dell’autoritarismo e del fascismo. Vediamo come oggi la democrazia è “sequestrata” dal capitalismo finanziario e da organismi privi di alcuna legittimazione, subordinata ai mercati che governano al posto delle istituzioni. Non avendo più la possibilità di incidere sulla realtà, la politica non esiste più, esiste solo la semplice attuazione del pensiero unico dominante. Proprio per questo si vede molto chiaramente oggi come l’antifascismo non possa essere slegato dall’anticapitalismo. L’antifascismo è inoltre rispetto della verità storica e va quindi sgomberato dal revisionismo, ricordando il sacrificio decisivo dei comunisti nel 1960. Il processo che seguì la strage ebbe degli esiti farseschi. Sta a noi pretendere che a 59 anni di distanza i responsabili dei crimini commessi a Reggio Emilia siano accertati come colpevoli.»
A seguire è intervenuto Enrico Guerrieri, segretario del PC di Reggio Emilia, che ha denunciato l’operazione ideologica portata avanti dal centro-sinistra e dalle istituzioni sulla strage: «È necessario riprendere in mano la nostra storia, la storia del movimento operaio e del PCI, e difenderla da un pericoloso revisionismo che mira ad annebbiare i fatti e le dinamiche di allora per riproporli oggi depotenziati, condivisi da “destra a sinistra”. Anche oggi, come sempre negli ultimi anni, abbiamo sentito parlare di caduti “della città”, di semplici cittadini, di quello che, nella narrazione istituzionale, sembra essere stato un tragico e immotivato “incidente” democratico. Una destrutturazione della realtà politica e sociale di quegli anni in cui, come per magia, scompaiono termini come “comunismo” e “partigiani”. Soltanto chi oggi vuole nascondere quelle stesse contraddizioni di allora ha bisogno di nascondere i fatti.»
Ha preso quindi la parola Massimo Recchioni, storico e membro del Comitato Centrale del PC:
«In tutto il mondo, laddove non c’è stato un radicale cambio di sistema non si sono mai fatti davvero i conti con il fascismo, perché il fascismo è sempre servito al sistema capitalistico. I fatti del 7 luglio 1960 vanno contestualizzati in un clima di anticomunismo che si protraeva dalla guerra, nel corso della quale gli Alleati operavamo più o meno esplicitamente come se il vero nemico in prospettiva fossero i comunisti, e non i fascisti. A seguito del conflitto si ebbe perfino la persecuzione dei partigiani nei luoghi di lavoro, in quanto in quegli anni spesso l’antifascismo coincideva con le rivendicazioni del movimento operaio, con molti lavoratori che erano ex partigiani. Lo stato “democratico” italiano si macchiava quindi del tradimento della Resistenza e dimostrava come ogni stato borghese era sempre pronto a tornare alla violenza aperta ogniqualvolta lo ritenesse utile. La memoria di questi avvenimenti è ancora parte della nostra ricerca di un futuro migliore, in cui le classi subalterne siano padrone del loro destino e di quello della società. Proprio la capacità di conservare questa memoria ci offre la possibilità di progettare il futuro del mondo.»
È infine intervenuto a chiusura della giornata di commemorazione Marco Rizzo, il quale ha posto dei punti fondamentali riguardo l’analisi di un eventuale pericolo fascista:
«Oggi il capitalismo globalizzato in Europa non ha bisogno delle forme classiche del fascismo, l’ultima possibilità storica fu respinta in Spagna nel 1981 con il tentato golpe respinto dal Re che, a nome della borghesia, scelse con nettezza la democrazia borghese. Formula di governo quest’ultima che non prefigura alcun cambio sostanziale, prova ne è il golpe in Cile conclusosi con l’uccisione del presidente Allende. In sostanza il fascismo viene usato dalla borghesia quando quest’ultima ritiene di non esser più in grado di respingere il pericolo della rivoluzione socialista. Il fascismo è quindi organico alle logiche del capitalismo e rappresenta una gestione maggiormente autoritaria che i padroni attuano temporaneamente, quando necessario, per mantenere il proprio dominio. Mai come oggi essere antifascisti significa essere anticapitalisti.»
L’evento si è chiuso con l’omaggio da parte di Rizzo ai martiri e con un ringraziamento ai molti intervenuti, a partire dal figlio del martire Farioli.