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Crisi pandemica e povertà. Un ricatto sempre più al ribasso

di Sabrina Cristallo

 

Quando Grillo tuonava che il lavoro è un concetto superato e che la rivoluzione si fa oziando, non intendeva dire che il progresso tecnologico sarebbe oggi capace di liberare parte del nostro tempo dalle catene del lavoro mediante una generale riduzione della giornata lavorativa a pari salario.

Il concetto di “lavoro superato” del 5 Stelle va inteso come retribuzione superata, diritti superati, contratti di lavoro superati.

La condizione del “vivere per lavorare” diventa qualcosa di imputabile al lavoratore stesso e non al sistema capitalistico fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Insomma, chi sfrutta è uno che ce l’ha fatta; chi è sfruttato, un miserabile.

Secondo Grillo è il salario la nostra croce e, quindi, dovremmo liberarcene in cambio di una porzione di welfare che ci viene concessa per sopravvivere e che, nello specifico del caso, si traduce nel reddito di cittadinanza.

Ma il reddito di cittadinanza non è una misura di sostegno universale poiché implica un monte ore di lavoro gratuito.

Non da ultimo infatti, con l’emergenza pandemica, abbiamo assistito anche ad una spinta da parte di esponenti politici che ha condotto il settore agricolo ad aprire al reclutamento di manodopera dal bacino di assegnatari del reddito. Eliminato il salario, dunque, resta in ogni caso la fatica che ora assume un connotato compensativo.

Niente di più criminale, forse.

Rinunciare alla retribuzione significa abdicare alla propria dignità. Significa cedere definitivamente sul valore della forza-lavoro e consegnare nelle mani della borghesia l’unico strumento di cui può avvalersi la classe lavoratrice per esercitare pressione e rivendicare un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

La percezione che iniettano è spaventosa: il beneficiario di quelle poche centinaia d’euro contrae un debito nei confronti della società, così, la possibilità di mangiare più o meno due volte al giorno, diventa qualcosa che deve essere giustificato, qualcosa da restituire e quindi subentra il lavoro gratuito forzato che, connotato come “socialmente utile”, diventa accettabile.

Il bene comune, soggetto da decenni alla dequalificazione tanto quanto tutto ciò che è pubblico, è diventato uno dei settori più in voga dove inserire questa dinamica. Non è un caso se alcuni settori di pubblico impiego sono stati negli anni sostituiti per larga parte dall’attività di volontariato gratuito, richiamando la cittadinanza e l’individuo al senso civico e addirittura spacciando per integrazione l’utilizzo di richiedenti asilo e rifugiati per attività di pubblica utilità e cura delle città o delle spiagge, facendo passare il messaggio che questi ultimi siano addirittura in difetto nei nostri confronti per esser qui allocati, sebbene l’Italia partecipi attivamente alle guerre imperialiste che provocano i milioni di profughi.

E cosa c’è di meglio di una crisi sociale per intensificare il ricatto al ribasso?

Sembrava impossibile trovare una formula peggiore del lavoro gratuito, compensativo di una carta caricata con qualche centinaia d’euro, nonché allargare lo sfruttamento ad altri soggetti tra i più deboli e invece queste misure offrono il precedente per fare sempre di più. Ma la sindaca di Roma, Virginia Raggi, è riuscita nell’impresa, istituendo il lavoro “socialmente utile” a punti, gratuito e a cottimo, per avere in cambio il pane e altri generi di prima necessità.

La mancanza di soldi per assumere e per la formazione è la scusante che va per la maggiore, ma quegli stessi impieghi per la cura e la bonifica delle aree urbane per i quali ci dicono che non sia possibile creare posti di lavoro, possono benissimo essere svolti gratuitamente per un tozzo di pane e del latte in polvere, come se i poveri dovessero anche fare ammenda per se stessi e per i propri figli della condizione che vivono, oggi più di prima.

Come insegna Marx, la povertà non è incidentale ma risiede nei meccanismi che governano il mercato del lavoro. Se un povero deve svolgere del lavoro gratuito per ripagare il pasto a lui concesso per sopravvivere, quanto dovrebbe restituirci allora la classe borghese per tutto quello di cui ci ha derubato?

A quanto ammonta il nostro credito?

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