Giusi Greta Di Cristina, 40 anni, siciliana, da cinque anni a Torino, insegnante di inglese e project designer per programmi comunitari, candidata sindaco del Partito Comunista e la Lista Civica Torino Città Futura, se dovesse conquistare Palazzo Civico userà il termine “sindaco” e non “sindaca” come ha fatto Appendino.
Lei per ora è l’unica donna che aspira a occupare la poltrona da sindaca a Torino. La questione di genere esiste in politica?
“La questione di genere esiste sì. Non è un problema che un partito politico può porsi oppure no. E’ una questione che va affrontata: ancora oggi la donna, come in passato, viene messa di fronte a delle scelte. Scelte che magari l’uomo non ha l’obbligo di porsi. Nel mio partito non ho mai avuto difficoltà come donna e non mi sono mai sentita discriminata o messa in un angolo. In altri ambienti, invece, ho avuto difficoltà”.
In quali ambienti?
“In quello lavorativo. Ad esempio: io faccio la progettista, oltre che l’insegnante in una scuola primaria. Per essere considerata mi è capitato di dover fare le cose meglio degli uomini per avere un riconoscimento uguale a loro. E poi, avendo 40 anni, ancora giovane per qualcuno, sconto un doppio gap: non solo donna, ma donna e pure giovane”.
Il suo partito l’ha voluta come candidata sindaco. L’ha scelta perché donna?
“Credo che la decisione sia maturata sulla base di elementi politici, professionali e di competenze.Sono convinta che scelte, in generale, debbano essere fatte sulla base delle competenze. Il genere è un elemento in più. Forse l’essere donna dà una maggiore visione su quella che è la complessità della società oggi”
Come può una donna sindaco incidere nel rimuovere elementi che possano sfavorire le torinesi?
“Vi sono ancora troppi elementi della società in cui i problemi a cui va incontro una donna sono molti. Un esempio fra tutti, classicissimo: perché si deve scegliere tra poter lavorare e ed essere una madre? Sembra assurdo, ma è così. Se una donna è anche madre viene considerata come un soggetto che non può dare il cento per cento. Le politiche sociali non sono a favore del genere femminile. Si parla tanto di questo tipo di problematiche di genere, ma se poi le rivoluzioni si fermano a voler aggiungere la “a” quando si parla di un incarico a una donna… Io preferirei parlare di più di aiuti alle madri, di asili gratuiti, di orari lunghi, di servizi di prossimità, di baby parking, di sostegno alle donne lavoratrici”.
Quindi lei preferirebbe farsi chiamare sindaco e non sindaca?
“Ci può scommettere. Io sui manifesti ho scritto candidata sindaco. Non ho questo amore per le trasformazioni lessicali, lo dico da laureata in lingue, so bene che la lingua si trasforma ed è pervasa dai cambiamenti culturali e sociali delle diverse epoche. Ecco, ma che la questione di genere si fermi al cambio di una vocale mi sembra molto limitativo”.
La sindaca Appendino come ha governato, secondo una donna?
“Non ho visto tutti questi grossi miglioramenti per le tante donne che lavorano. Insegno a Torino da cinque anni, ho conosciuto molte mamme torinesi ed emigrate che hanno difficoltà a coniugare le attività, da madre a da lavoratrice. La donna deve avere il diritto di poter scegliere il suo lavoro ed essere libera di farlo, non deve essere costretta, ad esempio, a lavorare per portare avanti la propria famiglia. Ho visto mamme che non avevano i soldi per pagare le rette dei centri per i loro figli. Questo non deve accadere”.
Il Covid ha peggiorato la situazione?
“E’ stato lo squarcio del velo di Maia. Sono emerse nella loro drammaticità tutte le problematiche socioeconomiche. E’ incredibile dover pensare che un bisogno educativo, specie per l’età dell’infanzia, sia un lusso”.
I punti cardine del suo programma?
“Internazionalizzazione e lavoro. Torino deve tornare a essere la capitale del lavoro. E il Comune deve essere attore e protagonista delle scelte economiche. Non può essere solo il privato a decidere. Il pubblico deve tornare a dare direttive, altrimenti il danno sociale ed economico fra poco sarà incalcolabile. E poi le periferie. Chiunque ne parla, senza ormai avere idea di cosa parla”.
Perchè?
“Io cammino moltissimo, non ho la macchina, sono una del popolo, uso solo i mezzi pubblici. Ho girato Torino in lungo e in largo. La periferia si è allargata”.
Torino è ormai la periferia?
“C’è un centro elitario, sempre più piccolo. Tutto il resto è diventato periferia”.
Quando è arrivata a Torino qual è stato l’impatto?
“Già prima ero innamorata di Torino. L’impatto è stato positivo da un punto di vista emotivo. Mi ha molto intristito, però, vedere il grado di povertà della città. E’ impressionante. Vai in via Roma o in via Sacchi, giri l’angolo, e vedi cosi tanta gente per strada. Mi ha sconvolto”.
Lei ha figli?
“No, ho due gatti, ma un figlio è in programma. E di sicuro sarà un figlio che nascerà a Torino”.