di Alessandro Mustillo
Le immagini che da giorni vengono da Cuba potranno non piacere ai signori benpensanti. Sono un pugno nello stomaco per tutti gli analisi della domenica che avevano teorizzato il crollo imminente. Un brutto risveglio per i tanti che erano già pronti – da Washington alla Florida, passando per le cancellerie europee, e per le sedi delle grandi multinazionali – a brindare alla fine della Rivoluzione. Il popolo cubano si è stretto attorno al suo Comandante. Composto, dignitoso e imponente, da giorni in fila per prendere un ultimo omaggio commosso all’uomo che guidò la Rivoluzione, che seppe condurre Cuba nel difficile periodo della crisi e della controrivoluzione nei paesi socialisti dell’est Europa. L’uomo che affrontò apertamente l’imperialismo e che difese la dignità e la grandezza rivoluzionaria del popolo di Cuba.
I cubani sono da anni abituati, che ne dicano i media occidentali, al più grande dibattito, alla critica degli errori e dei limiti del loro sistema. Al netto di ogni considerazione che si possa fare sulle riforme attuate da Raul, è indubbio che il nuovo piano approvato dal Partito Comunista è stato il frutto di una discussione vera, sincera e partecipata, che ha visto tutto il popolo cubano, tutte le organizzazioni di massa dei lavoratori, della gioventù, i comitati cittadini e di quartiere esprimere le proprie posizioni, tenere assemblee, proporre emendamenti. A Cuba risuonano slogan come «perfezionare e portare avanti il socialismo» non «abbassare la bandiera e battere in ritirata». E il popolo cubano, abituato alla più franca sincerità e al più elevato dibattito – perché a Cuba, chiunque abbia messo piede sull’isola se è esincero può affermarlo, c’è questo e non certo repressione e mancanza di libertà – ha tutta l’intenzione di migliorare il proprio sistema economico, di conquistare nuove e più avanzate posizioni di progresso, ma nessuna intenzione di rinnegare gli ideali della Rivoluzione e il suo carattere socialista.
Cuba è ancora oggi in una condizione difficile. I dirigenti del PCC sanno bene che in realtà il “periodo especial” (espressione con la quale Fidel Castro e il Partito definirono il periodo apertosi dopo il crollo dell’URSS n.d.r.) non può dirsi completamente archiviato. Certo Cuba non è nella condizione in cui si svegliò un giorno del 1991, in cui ammainata la bandiera rossa sul Cremlino, vide diminuire in poche ore i suoi scambi commerciali con il mondo esterno di oltre il 90%, ivi compreso l’approvvigionamento energetico. I processi progressisti in America Latina, ed in particolare in Venezuela, hanno sensibilmente migliorato la condizione di Cuba, hanno consentito un approvvigionamento energetico maggiore, persino l’allacciamento alla connessione internet, che a Cuba non è “vietata dal regime” come dicono a casa nostra, ma è rallentata anch’essa dalle misure del blocco economico. Ma i processi in America Latina non sono stabilizzati, anzi. Ed è proprio questo il punto più complesso, che fa considerare la fase del “periodo especial” non completamente archiviata. E’ qui che si apriranno le vere sfide per Cuba nei prossimi mesi e anni, in cui il popolo cubano e il PCC come suo Partito guida, ed erede di Fidel, dovrà saper districarsi in una condizione difficile, tra vecchi nemici e nuovi falsi amici (vedasi il ruolo del Vaticano).
In questi anni il processo di distensione con gli Stati Uniti ha portato alla riapertura delle rispettive ambasciate. Un riconoscimento diplomatico nulla di più. Perché il blocco economico è ancora pienamente in vigore. La ragione principale per la quale le trattative si sono arenate è in una clausola che l’amministrazione Obama aveva posto. Gli americani proponevano come prima tappa la fine del blocco per il settore privato cubano – introdotto in particolare con le misure dell’ultimo piano – ma non per quello statale. I cubani hanno rifiutato. L’intenzione americana era chiara: far leva sul settore privato per rovesciare il sistema socialista dell’isola, inserendosi nelle contraddizioni esistenti. L’impatto del Blocco economico è devastante. Esso infatti non colpisce come si potrebbe pensare solamente gli scambi tra Cuba e USA, impedendo passaggi diretti. Gli USA utilizzano tutto il loro peso economico e politico per impedire anche forme di triangolazioni, con particolare attenzione al ruolo delle banche in ogni parte del mondo, a cui viene imposto di bloccare i pagamenti verso Cuba, paralizzando di fatto gli scambi commerciali.
In questa condizione drammatica il popolo cubano ha avuto accesso all’istruzione, alla sanità, ciascuno ha avuto una casa e i mezzi di sussistenza necessari, il lavoro, l’accesso alla cultura, allo sport. La Rivoluzione socialista ha assicurato per citare un’espressione famosa, il pane e le rose al suo popolo: la sussistenza necessaria e un sistema di cultura, pratica sportiva, attività ricreative che ha pochi eguali nel mondo. E il popolo cubano ne è consapevole, e sa che a Fidel Castro si deve una parte importante di tutto ciò.
Per giorni i media nostrani hanno mostrato le piazze festanti della Florida. I cosiddetti dissidenti, che altro non sono che i discendenti dei vecchi capitalisti, della corte di potere che a Cuba dominava il paese, o di quanti vivevano felici delle briciole di quel sistema parassitario. Sono la mafia statunitense-cubana che traffica di contrabbando con l’isola, che da sempre è la longa manus dell’imperialismo per rovesciare Cuba. Sono la delinquenza comune, elevata al rango di dissenso politico, perché così fa comodo. I tg hanno provato a far passare quell’immagine, come atteggiamento popolare per la morte di Fidel. Ma alla fine non hanno potuto ignorare del tutto la verità. Il popolo cubano resiste. Il popolo cubano commosso e silenzioso tributa l’ultimo onore al suo comandante. E’ un popolo di insegnanti, di medici, di agricoltori, di lavoratori, di studenti che sanno di dovere alla Rivoluzione la propria dignità di popolo, di donne e uomini, consapevoli del mondo che li circonda, artefici in prima persona di un destino che non hanno relegato nelle mani delle grandi multinazionali. Perché la storia ha insegnato che nessuna libertà è possibile nel capitalismo, se non la libertà di morire di fame, e vivere per consumare e produrre, per desiderare beni che non hanno alcuna necessità sociale, se non quella di soddisfare la sete di profitto del capitale. Quanto stride l’immagine del Black Friday in Usa e nei paesi europei, Italia compresa, delle masse di persone in attesa dell’apertura dei centri commerciali, con la fila composta, dignitosa e addolorata del popolo cubano.