La controffensiva palestinese partita da Gaza sta provocando una dura reazione da parte del governo israeliano. Molti sono i “crimini di guerra” commessi dall’esercito con la stella di David. Come se una guerra di occupazione non sia un crimine in sé e abbia bisogno del bombardamento di un ospedale o qualche altra atrocità per essere “condannata” (moralisticamente, giacché i tribunali possono attivarsi solo in caso di sconfitta militare). Delitti, peraltro, che si vanno a sommare ai “crimini di pace” istituzionalizzati, normalmente ignorati se non addirittura applauditi e incentivati dalla maggioranza dei cittadini israeliani e dai governi occidentali. E che si contrappongono al “terrorismo” degli “animali-umani” palestinesi, le cui vittime meritano vendetta. A differenza dei “danni collaterali” causati dai bombardamenti democratici occidentali, su cui si stende un pietoso velo di silenzio e oblio.
Ciononostante, la naturale empatia suscitata dai civili palestinesi intrappolati all’interno della striscia di Gaza, senza luce, acqua, viveri e neanche la possibilità di scappare, sta generando una reazione alle efferatezze israeliane senza precedenti nella storia recente. Per quanto possano essere prive di una direzione consapevole, le masse popolari si stanno mobilitando, con modalità che confermano una crescente disperazione e, contemporaneamente, una crescente consapevolezza che il nemico non è più né onnipotente né invincibile. Dopo i cortei dello scorso fine settimana, martedì notte i manifestanti hanno assaltato l’ambasciata USA con bottiglie molotov. Gli scontri con la polizia sono durati fino al mattino e una parte dell’edificio è stata incendiata. Molotov sono state lanciate anche al consolato israeliano di Adana, in Turchia, mentre sassi e fuochi artificiali hanno colpito il consolato sionista ad Istanbul. Proteste anche davanti alla base militare NATO di Kurecik dove staziona un contingente statunitense. Manifestazioni si sono svolte anche in decine di altri paesi, tra l’Iraq, dove la polizia ha dovuto ricorrere alle maniere forti per bloccare i manifestanti che si dirigevano verso la “zona verde” occupata dalle truppe a stelle e strisce. Infine, dall’altro lato dell’Atlantico, un centinaio di ebrei americani è entrato a Capitol Hill, sede del parlamento statunitense già teatro degli scontri del 6 gennaio 2021. I manifestanti hanno occupato per diverse ore la sala adiacente l’emiciclo e la relativa balconata interna denunciando la barbarie israeliana e chiedendo un immediato cessate il fuoco.
E in Italia? Per sabato mattina è prevista una nuova manifestazione a Roma indetta dal Movimento degli studenti palestinesi in Italia, mentre a Milano si ripete l’appello alla partecipazione ad un corteo con ritrovo in Piazza Duca d’Aosta (ore 15.30). Occorre essere tanti e cominciare a entrare nell’ottica che per combattere la terza guerra mondiale occorre scrollarsi di dosso le tossiche abitudini che ci hanno accompagnato fino ad oggi. Come quella della condanna della violenza sempre e comunque, indipendentemente da chi la pratichi. Al contrario, persino l’Assemblea generale delle Nazioni Unite «riafferma la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dalla dominazione coloniale e straniera e dall’occupazione straniera con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata» (Risoluzione 37/43 del 3 dicembre 1982). Una lotta che per essere il meno cruenta possibile ci deve vedere in tanti e compatti contro gli Stati Uniti e i suoi alleati, che vogliono mantenere con la forza il privilegio di decidere le sorti del mondo. E se questo significa passare per “putiniani” o fiancheggiatori degli “estremisti islamici”, questa è una sfortunata conseguenza che dovremo accettare. Certamente, ciò non dovrebbe impedirci di ricordare che «la rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza» (Mao).
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