Nell’ampio spettro di difficoltà che si è costretti ad affrontare oggi nell’essere un comunista operaio, un comunista in fabbrica, ve ne sono alcune che si stagliano come più importanti, come principali, la cui presenza determina in modo decisivo il risultato e la qualità del lavoro politico all’interno della nostra classe di riferimento, la classe rivoluzionaria: il proletariato industriale. L’esperienza del lavoro quotidiano, il contatto continuo con i colleghi, le discussioni e le riflessioni individuali hanno evidenziato la centralità di uno di questi problemi: la frammentarietà della classe operaia all’interno di uno stesso stabilimento.
I fattori di divisione sono molteplici: invidia, gelosia, paura, insicurezza sono solo alcuni dei sentimenti umani che facilmente si riproducono all’interno di un sistema basato sul mero individualismo e che trova le sue radici sociali all’interno della fabbrica, la cellula del sistema di produzione capitalistico. Andando però rapidamente al nocciolo materiale della questione, appare chiaro dopo molti mesi e parecchie discussioni, che gran parte di questo astio e gran parte di questi sentimenti abbiano il pilastro fondamentale in uno dei più formidabili strumenti che ha il padronato nella conduzione della lotta di classe a proprio favore: la concorrenza tra lavoratori.
Fuori dalla fabbrica questa concorrenza sfrenata ha il suo emblema contemporaneo nell’elevato tasso di disoccupazione e nell’importazione di manodopera a basso costo dai paesi sfruttati dall’imperialismo (semplificata ad arte dai media attraverso il fenomeno dell’immigrazione). Sotto i capannoni, invece, il simbolo di questa avanzata padronale è la differenziazione contrattuale, attraverso la costruzione artificiale di due sottoclassi: gli operai a tempo indeterminato e gli operai interinali. Con percentuali variabili e varie: divisione a metà, maggioranza dell’una o dell’altra parte.
Vivendo la fabbrica quotidianamente, questa distinzione emerge in molti momenti e influisce sul tipo di rapporto con la dirigenza, sul tipo di rapporto con gli altri colleghi operai, sulla qualità e modalità di lavoro e ovviamente sulla qualità e modalità di lavoro politico e del rapporto col sindacato in generale. È evidente quindi l’importanza dell’analisi di questa condizione nella stesura del progetto di lavoro politico da svolgere e da stimolare nei compagni lavoratori.
Infatti, partendo dall’ipotesi tutt’altro che improbabile, purtroppo, dell’assenza di coscienza politica all’interno della generalità delle fabbriche, il primo passo da fare per un comunista sembrerebbe la diffusione di una mentalità di tipo sindacale, con un’agitazione e una propaganda mirate ad evidenziare l’opposizione di interesse economico tra il padronato e i lavoratori. Da quello che abbiamo detto in precedenza, ovvero dalla condizione di divisione della classe operaia interna alla fabbrica, emerge davanti all’operaio comunista un primo ostacolo: la condizione di ricatto costante, esplicito o sottinteso, che pende come una spada di Damocle sulla testa dell’interinale, anche nel caso raro in cui questo interinale “x” abbia una certa predisposizione nella lotta, un’affinità ideale, ecc. All’interno della fabbrica può non esserci un’organizzazione sindacale di riferimento e, anche nel caso in cui ci sia, i lavoratori “somministrati” tenderanno o saranno gentilmente invitati ad evitare qualunque tipo di partecipazione ad assemblee o simili, allo scopo di proteggere il proprio posto di lavoro in una situazione economica che non permette passi falsi.
Questa “timidezza” coatta indotta nell’operaio con contratto a termine, porta ad un bivio: la costruzione di una mentalità e di un embrione di cellula sindacale all’interno esclusivamente della parte a tempo indeterminato; oppure la premessa necessaria del superamento della condizione di partenza di divisione della classe, che indebolisce lo schieramento degli operai in qualsiasi dissidio con la dirigenza. E la soluzione non è immediata, né facile. Richiede un ulteriore sforzo di analisi e ulteriori esperienze individuali: diventano sempre più fondamentali, su un versante, i quadri comunisti in fabbrica. Sull’altro versante si evidenzia la necessità di un lavoro politico e organizzativo del Partito, che sostenga e proponga in tutti i modi e in ogni sede, istituzionale e non, l’abolizione di ogni forma contrattuale che tenga sotto scacco perenne la possibilità di alzare la testa nel luogo di lavoro, nell’ottica di una nuova agibilità sindacale e politica.
In mezzo a questa difficoltà di analisi, di esperienze e di lavoro politico, un elemento sembra sedimentarsi, un principio guida che dev’essere un punto di riferimento in qualunque tipo di lavoro politico in fabbrica e negli altri luoghi di lavoro: contrapporre alle strategie di divisione portate avanti dal padrone, una strategia di unità di classe, tenere a mente sempre questo riferimento principale. Combattere gli individualismi, smontare le invidie, costruire rapporti di fiducia personali e di gruppo, porre le basi per un’unità d’azione su temi che la contraddizione capitale-lavoro in fabbrica non mancherà mai di generare.
Provare a comprendere, ad analizzare non partendo dalla teoria ma partendo da un’esperienza pratica vivibile, riproducibile e vissuta concretamente, può aiutare molto alla costruzione reale del partito comunista, quel partito nato per gli operai e che oggi tanto fatica a costruire un legame stretto con il mondo del lavoro. Questi elementi sono fondamentali non in maniera superficiale o di facciata, ma strutturalmente: dal tipo di condizione reale della “società interna alla fabbrica” dipenderà il tipo di lavoro politico e il tipo di quadro necessario a quel lavoro, così come di riflesso da quelle condizioni di lavoro politico dipenderà il tipo di partito che vogliamo costruire.
*contributo di un operaio comunista