I dati diffusi dal Ministero del Lavoro ennesima tegola sulla testa del governo Renzi e sulle prospettive tanto sbandierate del Jobs Act. Nel secondo trimestre del 2016 sono aumentati i licenziamenti del 7,4% rispetto al periodo corrispondente del 2015. Si tratta complessivamente di circa 221 mila licenziamenti in più, che hanno portato ad una perdita di circa 163 mila posti di lavoro a tempo indeterminato. Un dato che va ad aggiungersi alla già precaria condizione del lavoro in Italia con la disoccupazione stabilmente al di sopra del 12% nei dati ufficiali.
Ad aggravare la portata, i numeri forniti dal ministero parlano di un calo delle richieste di cessazione da parte dei lavoratori, ossia dei licenziamenti volontari. Diminuiscono le dimissioni (293.814, -23,9%) e i pensionamenti (13.924 , -41,4%). In calo per le donne prepensionamenti (-47%), e pensionamenti (-64,9%).
In aumento solo i contratti di apprendistato che segnano un +26,2%. Dato questo su cui si concentrano i commenti favorevoli del ministero che attribuisce questo risultato a Garanzia Giovani – il discusso programma governativo rivolto ai giovani disoccupati – parlando di «rafforzamento dell’ingresso nel mercato del lavoro da parte dei giovani».
Il Jobs Act lungi dal rappresentare un volano per la ripresa dell’occupazione, ha consentito più flessibilità anche nei contratti a tempo indeterminato. Non ha portato ad un serio incremento dell’occupazione, e non ha abbattuto forme precarie di lavoro. Una ulteriore testimonianza di come i provvedimenti legislativi che vengono emanati sotto la bandiera della crescita e della ripresa, sono in realtà strumenti per la contrazione dei diritti e dei salari dei lavoratori e l’aumento della produttività, unica condizione che può effettivamente generare margini di ripresa per i profitti capitalistici nel breve medio periodo.
Anche il dato della crescita dell’apprendistato dimostra come si utilizzi sempre di più questo strumento non per l’ingresso nel lavoro, ma come mezzo per ottenere manodopera a basso costo e dequalificata, e come strumento di competizione tra vecchi e nuovi lavoratori. Sarà inoltre interessante vedere se il dato sarà confermato nei prossimi mesi, o abbia raggiunto un picco proprio in occasione dei mesi estivi, dove strutturalmente tende ad aumentare il lavoro stagionale e l’apprendistato rappresenta una forma usata – forse sarebbe meglio dire largamente “abusata” – nel settore turistico, alberghiero e della ristorazione.