De Gasperi e Togliatti le due parabole politiche a confronto

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De Gasperi e Togliatti le due parabole politiche a confronto

Le due ricorrenze che cadono molto vicine – il 70° anniversario della morte di De Gasperi e il 60° della morte di Togliatti – sono l’occasione per fare brevi riflessioni su quel tornante storico che va dal 1943 al 1964.

Il primo oggi viene osannato, mentre del secondo si ricordano solo le cose che non sono andate bene all’imperialismo.

Guardiamo le loro biografie e valutiamo.

Alcide De Gasperi (3 aprile 1881 – 19 agosto 1954)

De Gasperi il 16 novembre 1922 votò la fiducia al primo Governo Mussolini. Ma nell’aprile 1923 i ministri del Partito Popolare ne uscirono su impulso del loro segretario Sturzo.

Arrestato con l’accusa di espatrio clandestino, il tribunale riconobbe il motivo politico e il 28 maggio 1927 condannò De Gasperi a quattro anni di reclusione, poi ridotti alla metà con ricorso in Cassazione.

Trascorse il periodo della Resistenza ben al riparo presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. In questo periodo De Gasperi scrisse articoli regolari. In particolare giustificò l’annessione dell’Austria al Reich criticando il “processo di scristianizzazione” e nel 1937 appoggiò le posizioni della Chiesa favorevoli al nazismo in opposizione ai comunisti tedeschi.

Il documento “Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana“, redatto da De Gasperi il 19 marzo 1943, è considerato l’atto di fondazione ufficiale del nuovo partito.

De Gasperi affrontò con il “cappello in mano” le trattative di pace con le nazioni vincitrici, che porteranno alla firma del Trattato di Parigi fra l’Italia e le potenze alleate

«Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me […]» (Alcide De Gasperi, Parigi 1946)

Nel gennaio 1947 ebbe luogo la celebre missione di De Gasperi negli Stati Uniti, nel corso della quale l’Italia ottenne un prestito di 100 milioni di dollari. Ciò portò all’esclusione dei partiti di sinistra dal governo e l’inizio di un nuovo governo monocolore.

Nel 1948 fu varato il Piano Marshall che segnò la fine definitiva della sovranità italiana e la sottomissione al polo atlantico.

Le elezioni del 18 aprile del 1948 videro lo scontro tra la DC e il Fronte popolare, composto da socialisti e comunisti, dando alla DC il 48 % dei consensi. Sono ben note – e anche oggi confessate (https://t.me/ilpartitocomunista_ufficiale/167) – interferenze degli USA nella campagna elettorale. A ciò va aggiunto il diretto impegno in favore della DC da parte della Chiesa cattolica.

Il 12 marzo 1949, nonostante il dissenso della sinistra DC, il Parlamento italiano approvò l’adesione al Patto atlantico.

Non si può negare che iniziò una stagione di progresso per l’Italia, pagata a caro prezzo dai sacrifici della classe operaia, che aveva allora le paghe più basse. Questa politica fu necessaria al capitalismo italiano per due ragioni- La prima era dovuta al forte impatto propagandistico che i sistemi socialisti avevano sugli strati popolari italiani. La seconda alla bassa capitalizzazione dell’economia italiana che aveva bisogno di un forte sostegno e investimenti pubblici per costruire la nazione. A questo ci si riferisce quando si parla negli anni cinquanta e sessanta del “boom economico” e del “miracolo italiano”.

Alle elezioni politiche del 1953, tenute con la nuova legge elettorale, nota come “legge truffa” (che oggi potrebbe essere portata a esempio di equilibrio democratico, a paragone delle “porcate” fatte successivamente), i partiti centristi “apparentati” (DC-PLI-PSDI-PRI) non riuscirono a far scattare il premio di maggioranza. Ottennero comunque una risicata maggioranza in Parlamento sulla quale contava De Gasperi per la necessaria fiducia. Riuscì peraltro a formare soltanto un monocolore DC. Quando si presentò alla Camera dei deputati il Governo De Gasperi VIII fu battuto e, nell’agosto 1953, il Presidente del Consiglio fu costretto a rassegnare le dimissioni.

Europeista convinto, oggi viene enumerato tra i “padri” dell’Unione Europea”. Anche questa “medaglia” gli può essere attribuita.

Palmiro Togliatti (26 marzo 1893 – 21 agosto 1964)

Completamente diversa la vita di Togliatti.

Fondatore, insieme a Gramsci, del Partito Comunista d’Italia il 21 gennaio del 1921, il 21 settembre 1923, venne arrestato e poi assolto dopo tre mesi di detenzione. Partecipò al V Congresso dell’Internazionale Comunista, nel 1924. Il 3 aprile 1925 venne arrestato ma anche questa volta, essendo intervenuta un’amnistia, il 29 luglio venne scarcerato. Subito dopo rientrò nella clandestinità.

Partecipò al Congresso di Lione del PCd’I, dove si esposero le famose Tesi di Gramsci, che fu confermato segretario generale, e Togliatti fu confermato all’Esecutivo e all’Ufficio di segreteria.

Il 10 febbraio 1926 Togliatti lasciò l’Italia per Mosca, come capo-delegazione del Partito per il VI Plenum dell’Internazionale Comunista, dove venne eletto all’Esecutivo dell’Internazionale. Sarebbe rientrato in Italia solo diciassette anni dopo.

La polemica tra Gramsci e Togliatti sulla famosa lettera, che il primo aveva scritto per il Comitato Centrale del Partito Comunista sovietico e che il secondo non inoltrò, è stata largamente sopravvalutata. Né Gramsci esprimeva sostegno alla minoranza trozkista, tutt’altro!, né il dissidio nel metodo con Togliatti ebbe mai più che un livello puramente di opportunità e di espressioni.

L’8 novembre del 1926, in violazione dell’immunità parlamentare, furono arrestati tutti i deputati comunisti, compreso Gramsci, che uscì dal carcere per il regime di sorveglianza nel 1934 per morire in clinica pochi giorni prima della fine della detenzione. Formalmente Gramsci rimaneva il segretario ma, di fatto, la guida del partito veniva affidata a Togliatti, che rimaneva membro dell’Esecutivo del Comintern.

Dal 1934 Togliatti si stabilì definitivamente a Mosca. Nel 1935 divenne uno dei massimi dirigenti dell’Internazionale Comunista; nel 1936 venne inviato come massimo rappresentate dell’Internazionale in Spagna, allo scoppio della guerra civile spagnola. Vi rimase sino al 1939, coordinando la lotta contro il franchismo, quando si rifugiò nuovamente in Unione Sovietica.

Al suo ritorno in Italia promosse la celebre “svolta di Salerno”, con la quale il PCI antepose la lotta antifascista alla deposizione della monarchia.

Ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo guidato da Alcide De Gasperi, fu Togliatti a proporre l’amnistia per tutti coloro che dopo l’8 settembre si erano macchiati di reati politici, tranne per quelli “compiuti da persone rivestite di elevate funzioni di direzione civile o politica o di comando militare, ovvero siano stati commessi fatti di strage, sevizie particolarmente efferate, omicidio o saccheggio, ovvero i delitti siano stati compiuti a scopo di lucro.” La fumosità di questa definizione, nelle mani di una magistratura mai defascistizzata, aprì le porte a veri criminali fascisti, che andarono spesso a rioccupare i posti amministrativi precedenti, mentre moltissimi partigiani furono esclusi dall’amnistia e finirono in galera o espatriati. Tra i beneficiari dell’amnistia ci furono molti casi eclatanti, quali membri molto noti delle forze della RSI. In carcere rimanevano 2 157 fascisti: 1 796 espiavano la condanna e 1 361 attendevano il processo.

Nel maggio del 1947 con il terzo governo De Gasperi, il Partito Comunista e il Partito Socialista furono estromessi. Pietro Secchia, vicesegretario e organizzatore del Partito, criticherà la scelta di non proclamare neanche uno sciopero generale in seguito a questi eventi.

Il 14 luglio 1948 Togliatti fu colpito da tre colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata mentre usciva da Montecitorio.

L’insurrezione dei militanti comunisti si arrestò solo davanti all’ordine di Togliatti di “stare calmi” e di “non fare pazzie“.

Togliatti nel 1951 rifiutò personalmente l’offerta di Stalin di assumere la guida del Cominform, l’organizzazione dei Partiti Comunisti che aveva sostituito l’Internazionale, sciolta nel 1943.

Nel corso del 1956, dopo il XX Congresso del PCUS, Togliatti criticò il modo in cui Chruščёv condusse la critica al “culto della personalità” di Stalin. In un’intervista sulla rivista Nuovi argomenti propose in modo molto cauto e per certi versi ambiguo una revisione più profonda della storia dell’URSS, secondo cui andavano cercate nel PCUS degli anni venti le radici di squilibri manifestatisi con la pianificazione guidata da Stalin. Al tempo stesso rimase nell’alveo dei fedeli di Mosca e condannò la rivolta di Poznań e quella di Budapest nel 1956, ritenendole pericolose per la stabilità e le prospettive del socialismo. Vide però negli errori dei partiti al potere le cause delle rivolte, criticando la tesi secondo cui esse avessero matrici “esterne” al socialismo.

Togliatti morì a Yalta in seguito a un’emorragia celebrale. Di quell’ultimo soggiorno ci resta il famoso Memoriale, di cui riportiamo un brano saliente:

«Nel complesso, noi partiamo, e siamo sempre convinti che si debba partire, nella elaborazione della nostra politica, dalle posizioni del XX Congresso. Anche queste posizioni hanno però bisogno, oggi, di essere approfondite e sviluppate. Per esempio, una più profonda riflessione sul tema della possibilità di una via pacifica di accesso al socialismo, ci porta a precisare che cosa noi intendiamo per democrazia in uno Stato borghese, come si possono allargare i confini della libertà e delle istituzioni democratiche e quali siano le forme più efficaci di partecipazione delle masse operaie e lavoratrici alla vita economica e politica.

Sorge così la questione della possibilità di conquista di posizioni di potere, da parte delle classi lavoratrici, nell’ambito di uno Stato che non ha cambiato la sua natura di Stato borghese e quindi se sia possibile la lotta per una progressiva trasformazione, dall’interno, di questa natura. In paesi dove il movimento comunista sia diventato forte come da noi (e in Francia), questa è la questione di fondo che oggi sorge nella lotta politica. Ciò comporta, naturalmente, una radicalizzazione di questa lotta e da questa dipendono le ulteriori prospettive.»

(Palmiro Togliatti, Il Memoriale di Yalta, “Promemoria sulle questioni del movimento operaio internazionale e della sua unità”, Yalta, agosto 1964).

È un ripensamento? Chissà!

Togliatti, dopo Gramsci, è stato il capo indiscusso del più grande partito comunista d’occidente. Per un approfondimento sul tema politico dal 1943 al 1956 si veda https://www.lariscossa.info/dalla-svolta-salerno-alla-via-italiana-al-socialismo/. Ha correttamente avversato il Patto Atlantico, il Piano Marshall, la formazione della Comunità Europea, la controrivoluzione in Ungheria nel 1956. Si è schierato però con XX Congresso del PCUS. Ha promosso la già citata amnistia ai fascisti. Ha imposto l’introduzione dei Patti Lateranensi in Costituzione. Ha dapprima avversato il revisionismo di Tito ma poi ha ritrattato, quando lo ha fatto Khruscëv. Ha inaugurato col VI Congresso del PCI sempre nel 1956 lo smantellamento progressivo dei gruppi dirigenti proletari del Partito, iniziata con la persecuzione di Pietro Secchia nel 1955. Luci e ombre, possiamo dire.

Ma possiamo permetterci di criticarlo solo noi comunisti, fa parte della nostra storia.

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