di Enzo Pellegrin
Il recente decreto Minniti sulla sicurezza urbana (cfr. decreto legge 14 del 2017 – Gazzetta Ufficiale) ha suscitato una levata di scudi nei più diversi ambienti progressisti, in particolare perché aderente ad un’idea di sicurezza che “considera la marginalità sociale presente nello spazio pubblico come elemento deturpatore del decoro, della quiete pubblica e finanche della moralità.” (Contro i due decreti del Governo in materia di immigrazione e di sicurezza, Antigone e CILD )
Pur condividendo lo spregio nei confronti di un’agenda securitaria che considera l’emergenza del Paese quella di provvedere ad un’armamentario di sanzioni amministrative nei confronti dei soggetti vulnerabili e svantaggiati che popolano lo spazio urbano, in completa continuità con le grida del vecchio decreto Maroni che promuovevano la figura del sindaco-sceriffo, già ho avuto modo di commentare come la preoccupazione umanitaria per clochard, venditori ambulanti di borse contraffatte (altra priorità sociale…) ed altre figure simbolo della vulgata di regime sulla marginalità, sia una prospettiva nobile e pienamente condivisibile, ma insufficiente.
Il decreto Minniti fonda un’architettura legislativa che consente poteri enormi ad autorità amministrative come il Sindaco o il Prefetto, norme che incidono sulla libertà fondamentale di circolazione, ed indirettamente, diciamo noi, anche sulla libertà di manifestazione del pensiero e sulle libertà politiche.
Con la scusa della sicurezza urbana “integrata”, si prevedono ad esempio poteri ampi di interdizione nei confronti delle occupazioni arbitrarie di immobili, oppure nei confronti di “turbative” dell’uso di spazi pubblici.
L’articolo 5 del decreto prevede la possibilità per prefetti e sindaci di concludere patti di attuazione della sicurezza urbana, con l’obiettivo, tra gli altri, di «promozione del rispetto della legalita’, anche mediante mirate iniziative di dissuasione di ogni forma di condotta illecita, comprese l’occupazione arbitraria di immobili e lo smercio di beni contraffatti o falsificati, nonche’ la prevenzione di altri fenomeni che comunque comportino turbativa del libero utilizzo degli spazi pubblici».
Non v’è chi non veda come una concezione del genere non solamente possa essere utilizzata contro i clochard che recano fastidio nelle stazioni alla pulizia classista del veteroborghese, ma anche ai manifestanti che abbiano deciso di occupare per protesta i locali od i binari di una stazione o magari gli scioperanti del settore logistica che abbiano programmato un picchetto nelle strutture di un Centro Agroalimentare, oppure anche solo in una pubblica strada.
Ciò sembra confermato altresì dal testo dell’art. 9 stesso decreto, il quale, sotto la rubrica “Misure a tutela del decoro (sic!) di particolari luoghi”, dispone che «Fatto salvo quanto previsto dalla vigente normativa a tutela delle aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze, chiunque ponga in essere condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione delle predette infrastrutture, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 100 a euro 300. Contestualmente alla rilevazione della condotta illecita, al trasgressore viene ordinato, nelle forme e con le modalità di cui all’articolo 10, l’allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto».
Nulla, nell’eccessiva formulazione di questa norma, vieta che la sanzione e il conseguente ordine di allontanamento non possano essere applicati anche al picchetto od alla manifestazione in stazione, in aeroporto od al deposito tramviario o marittimo. Basta un cartello di divieto o le normali norme del Codice della Strada.
Le sanzioni possono apparire mera questione amministrativo-pecuniaria, ma in realtà rivestono importanza cruciale, poiché l’ordine di allontanamento, contestualmente notificato al momento della rilevazione della sanzione, consente al questore, in caso di reiterazione delle condotte di turbativa, ai sensi dell’art. 10, di disporre il per un periodo non superiore a sei mesi, il «divieto di accesso ad una o più delle aree di cui all’articolo 9, espressamente specificate nel provvedimento, individuando, altresì, modalita’ applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell’atto» Qualora la persona sia stata condannata con sentenza in via definitiva o anche non definitiva ma confermata in grado di appello (in barba alla presunzione d’innocenza che vale anche in Cassazione) per reati contro la persona o il patrimonio, il divieto di accesso non è inferiore a sei mesi e può estendersi fino a due anni! In sede poi di condanna per reati contro la persona od il patrimonio commessi nei luoghi di cui sopra, la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’imposizione del divieto di accedere a luoghi od aree specificatamente individuati, con ulteriore limitazione della libertà di circolazione.
Come sopra analizzato, nulla vieta che questa norma colpisca il manifestante che ha partecipato al picchetto, impedendogli in futuro di avvicinarsi al luogo della protesta o di esercizio del diritto di sciopero.
Paradigmatico anche l’art. 11, il quale prevede l’estensione dei poteri repressivi in programmate operazioni di sgombero di immobili a mezzo della forza pubblica. In un paese in cui il problema della casa ha assunto dimensioni emergenziali, mentre proliferano immobili lasciati sfitti per speculazione ed affitti estorsivi, nulla vieta che questa norma contribuisca soprattutto ad affilare le armi contro le occupazioni popolari, in difesa dei “diritti dei proprietari degli immobili” che il decreto indica come elementi di tutela prioritaria insieme alla salute e incolumità pubblica. Un ribaltamento dei principi costituzionali, i quali indicano chiaramente all’art. 41 Cost. che è la proprietà privata che dovrebbe segnare il passo di fronte all’emergenza sociale (la casa lo è): «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Di fronte agli sgomberi chiesti dai signori delle stamberghe affittate a prezzi estorsivi ai precari della società, di fronte all’insufficienza dell’edilizia popolare, dovrebbe valere la regola dell’esproprio per le sacrosante ragioni di emergenza abitativa, non la tutela delle ragioni di rendita proprietaria di speculatori immobiliaristi.
Il lato tragicomico della vicenda riguarda l’uso del decreto legge per ragioni di necessità ed urgenza, in un paese in cui – per ammissione dello stesso Ministro – i reati sono in calo di più del dieci per cento. Il responsabile del dicastero ha però rimarcato che, anche se i reati sono in calo, la “percezione” di essi è aumentata.
La “percezione” – come già notato in altri interventi e non solo da chi scrive – è l’orecchio al ventre molle del paese, adeguatamente concimato dall’isteria securitaria di media di regime, i quali montano – chi in modo spudorato, chi in modo subliminale – campagne d’odio etnico, razziale, religioso e paura della marginalità sociale. Vi sono trasmissioni di emittenti nazionali che sono giunte a pagare membri di comunità nomadi per dire falsamente in televisione che truffavano migliaia di euro al giorno facendola franca, o sedicenti credenti nella religione islamica pagati per affermare sullo schermo odio verso i cristiani (Munafo’, La macchina dell’odio, L’Espresso, 13.5.2016 ).
Questa roba qui, la “percezione”, viene contrabbandata come una ragione di necessità ed urgenza. Tanto da legittimare un decreto-legge securitario in un paese in cui le trasgressioni alla legge diminuiscono.
Forse per necessità ed urgenza si intende l’esigenza del regime al potere di contendere il terreno elettorale ai seminatori delle campagne d’odio etnico e razziale che imperversano nelle loro provocazioni?
Come sopra detto, non è tutto qui, o non è solo questo.
Specialmente se questa rincorsa ai voti dell’isteria permette anche di emanare norme che tornino utili per silenziare o criminalizzare il conflitto sociale, utili magari in occasione delle prossime annunciate manifestazioni per l’anniversario dei Trattati di Roma.
Di certe brutture – come la criminalizzazione degli emarginati – non solo non si butta via niente, ma tornano utili anche per liberarsi della lotta dei proletari.
“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.” (Bertolt Brecht).