*di Salvatore Vicario
Un duro conflitto attraversa i porti spagnoli da alcune settimane. Gli scaricatori di porto, i lavoratori addetti al carico e scarico della merce dalle navi nei porti, sono in agitazione contro l’imposizione di un nuovo sistema di organizzazione lavorativa dei porti che deriva dal decreto per la liberalizzazione del settore da parte dell’UE a favore delle grandi multinazionali del trasporto marittimo delle merci. Si tratta dell’ultimo capitolo di una lunga disputa che prosegue dal 2014 quando una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGE) dava ragione a Bruxelles aprendo una procedura di infrazione contro la Spagna per non aver ancora adempiuto alle norme comunitarie sulla liberalizzazione nei porti di interesse generale (art.49 del Trattato sul Funzionamento dell’UE). Una situazione che non si vive solo in Spagna ma che si è vissuta e si sta vivendo in diversi paesi europei dove si va progressivamente ad imporre negli ultimi due decenni una decisa tendenza alla liberalizzazione e privatizzazione. Regno Unito e Olanda – cui porto di Rotterdam è il più grande d’Europa – sono stati tra i primi ad aprire volontariamente al mercato, mentre la maggioranza lo ha fatto a seguito delle pressioni di Bruxelles come nel caso italiano.
Il nostro paese ha avviato un cambio di legislazione già agli inizi degli anni ‘90, come conseguenza di una sentenza della Corte dell’UE che ruppe il precedente regime di gestione pubblica dell’autorità portuale. Un decennio dopo ha avuto inizio questo processo di liberalizzazione che è stato accelerato dal governo Renzi che ha portato allo smantellamento di tutele, di sicurezza (e non solo quella dei lavoratori) al crollo dei salari, alla perdita di posti di lavoro in un processo di riorganizzazione dei porti volta alla privatizzazione, a vantaggio dei grandi colossi capitalistici, nazionali ed internazionali, sottraendo la forza contrattuale e organizzativa ai lavoratori, alla classe proletaria nel suo insieme.
Malta, le repubblica baltiche e i paesi dell’Est hanno adempiuto alla richiesta dell’UE per potervi aderire. Di recente è toccato al Portogallo che ha aperto i suoi porti al mercato su diktat della Troika nell’ambito del cosiddetto “salvataggio finanziario”. Lo stesso sta avvenendo in Grecia dove sono stati i monopoli cinesi ad accaparrarsi la torta. Il Belgio sta modificando attualmente le sue leggi a seguito dell’apertura di un procedimento di infrazione da parte della Commissione Europea. Germania, Cipro, Svezia e Norvegia (che non fa parte dell’Ue ma è membro dello Spazio Economico Europeo) sono gli unici paesi che ancora non hanno cambiato le loro norme, grazie anche alla forte pressione dei sindacati del settore.
6.150 sono gli operai coinvolti in questa lotta nei porti spagnoli che stanno difendendo il loro posto di lavoro e diritti respingendo l’assalto del capitale nazionale e internazionale che vuole dare un colpo mortale aprendolo alla privatizzazione, all’ingresso nel settore delle Imprese di Lavoro Temporaneo (ETT – agenzie interinali) e la deregolamentazione dei salari che comporta l’applicazione da parte del governo spagnolo del decreto dell’UE e la liberalizzazione. La legge che il nuovo ministro dello sviluppo, Íñigo de la Serna, ha negoziato con la Commissione Europea va proprio nella direzione imposta da quest’ultima cancellando i diritti che il collettivo degli scaricatori di porto ha conquistato e conservato in decenni di lotta alle sue spalle. Con la giustificazione dell’adattamento a linee guida, normative, e decreti d’urgenza vengono annichiliti i diritti degli stivatori spagnoli, la residuale forza delle cooperative di lavoro col fine di consentire alle multinazionali di poter assumere e licenziare chi e quando vogliono, con l’utilizzo del sistema della chiamata a poche ore dall’inizio del turno, con il minimo di garanzie e il massimo di flessibilità, eliminando ogni resistenza e estinguendo le piccole e medie imprese di stivaggio, con gravi ripercussioni sulle condizioni di vita e di lavoro dei portuali. Situazione molto simile a quella nel nostro paese.
«I lavoratori dello stivaggio rifiutano assolutamente e energicamente il decreto legge reale approvato nel Consiglio dei Ministri, una norma autoritaria e abusiva che non solo va molto al di là di quello che chiede l’Europa nella sentenza del CGE ma che, inoltre, non risponde alla difesa degli interessi dei cittadini spagnoli ma a quella delle grandi imprese, molte di esse multinazionali» ha espresso in un comunicato il Coordinamento Statale dei Lavoratori del Mare (CETM – sindacato maggioritario nel settore) che prosegue precisando come la norma porterà solo «la destabilizzazione di una delle industrie più prospere del paese, un fortino nel quale sviluppano il loro lavoro alcuni dei pochi collettivi che mantengono condizioni di lavoro decenti ». I lavoratori dello stivaggio sono infatti considerati dall’opinione pubblica spagnola come dei “privilegiati” in quando “godono” di uno schema di contrattazione particolare sia dal punto di vista economico che dei diritti, tutele e garanzie. In tal modo si cerca di impedire la solidarietà del resto dei lavoratori portuali e della classe operaia verso questa lotta, facilitando le manovre dei capitalisti nello scardinare questo settore attraverso l’Unione Europea nell’attacco complessivo alla classe lavoratrice facendo passare il messaggio che anche loro devono subire ciò che subiscono già tutti gli altri: precarietà, compressione dei salari, licenziamenti.
La forte pressione che questo collettivo di lavoratori, con una lunga tradizione di resistenza e lotta, hanno esercitato negli anni con la minaccia del blocco dei porti, e quindi delle merci, arrecando un duro colpo ai capitalisti aveva finora frenato i vari governi della borghesia spagnola dall’attacco che adesso sono intenzionati a scatenare rompendo la “pace sociale” che negli ultimi anni si era ricercata con una conciliazione tra padroni e lavoratori nel quadro dell’imposizione dell’Unione Europea. Non si è fatta attendere infatti la reazione dei sindacati che dopo un primo annuncio di sciopero per il 20 febbraio, sospeso in cambio di una settimana in più di negoziazione da parte del governo, hanno annunciato la convocazione di 9 giorni di sciopero parziale (a giorni alterni) dal prossimo 6 marzo per un danno che le imprese hanno calcolato in circa 50 milioni di euro. Il rinvio dello sciopero ha consentito al governo di prendere tempo e indebolire la risposta dei lavoratori come giustamente rilevato per tempo dal Partito Comunista dei Popoli di Spagna (PCPE) fin dall’inizio a sostegno degli “estibadores” e che in un recente comunicato allerta che «non esiste margine per la negoziazione, l’UE vuole che si impongano i suoi diktat sia come sia e chiede al governo la testa degli scaricatori di porto mentre impone una multa di 134.000 euro al giorno fino all’approvazione del decreto. Vogliono tutto, e tutte le misure e proposte che realizzano andranno in questa direzione. Il capitalismo, in questa tappa concreta, necessita di distruggere il collettivo operaio degli scaricatori di porto, per incrementare i suoi profitti a spese del lavoro. Il decreto di liberalizzazione totale dello stivaggio significa l’annichilimento di tutti i diritti lavorativi, la deregolamentazione totale mediante le ETT, la scomparsa dei contratti collettivi, e pertanto, la legge della giungla nei porti che tanto desidera il padronato e i monopoli dell’UE». Una battaglia che va oltre la difesa dei posti di lavoro – precisano i comunisti spagnoli – perché «qualsiasi accordo andrà nel senso di annichilire i lavoratori dello Stivaggio, la scomparsa dei loro diritti, un passo fondamentale per distruggere per completo il settore, sia in un anno o in tre. Abbattere il decreto imposto dall’UE. La liberalizzazione equivale alla morte dello Stivaggio. E’ per questo che questa lotta è di vita o di morte, e solo una risposta ferma e contundente potrà evitare che distruggano lo Stivaggio».
«L’Unione Europea, boia dei lavoratori,» – conclude il comunicato chiamando allo sciopero generale – «ha già conseguito di imporre la liberalizzazione totale in paesi come Belgio, Italia, Grecia, Portogallo…, dimostrando che è uno strumento al servizio dei monopoli e il grande capitale. Dobbiamo coordinare la risposta internazionale insieme ai lavoratori di Germania, Svezia, Norvegia, scaricatori che si stanno mobilitando e che affrontano lo stesso problema, paralizzando il settore con uno sciopero che colpisca fortemente il potere economico e i suoi piani».
Il significato e la portata della lotta dei lavoratori portuali spagnoli, che si sta estendendo in diversi porti del paese, allargando il fronte della protesta e ricevendo anche la solidarietà (ancora insufficiente) internazionale, va oltre la Spagna trattandosi della possibilità di dare un colpo all’ennesima tappa del processo di ristrutturazione produttiva attraverso le liberalizzazioni dell’Unione Europea che scardina ormai tutti i settori aggiornandoli alle necessità attuali dell’accumulazione dei monopoli capitalistici in ogni paese. La potenzialità della lotta operaia nei porti sta nella capacità propria di colpire fortemente gli interessi dei capitalisti estendendosi a livello internazionale in un settore dove più di una volta i lavoratori hanno dimostrato di non esser disposti a farsi asservire ai maggiori profitti delle imprese, mettendo in campo forte combattività, radicalità e coordinamento nelle lotte. Portare in Italia l’esempio di questa lotta è il compito internazionalista che ci spetta per fomentare nuovi scenari conflittuali sul fronte dei porti per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro anche nel nostro paese dove la mancanza di una adeguata reazione da parte dei sindacati ha portato ad un evidente peggioramento delle condizioni dei lavoratori come dimostrato dai porti del Sud, ai cosiddetti esuberi che mascherano i licenziamenti e alle fasulle soluzioni per il reintegro, come nel caso dei 400 lavoratori del porto di Gioia Tauro (Rc).