Tutti sappiamo che la professione del farmacista si conquista dopo un severo percorso di studi, è soggetta a responsabilità penale, prevede il pagamento di una quota ordine annualmente, nonché di una quota Enpaf (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Farmacisti) sempre annualmente anche nel caso di lavoro dipendente.
Tolti i farmacisti dipendenti che lavorano presso aziende e laboratori, i farmacisti dipendenti di farmacia sono circa 40.000 in Italia, una categoria invisibile, spesso confusa con quella dei farmacisti titolari.
I farmacisti dipendenti di farmacia privata hanno un contratto scaduto dal 31 gennaio del 2013 , una paga base oraria lorda di €10,40 e, come se non bastasse, sono obbligati da una anacronistica legge del 1946 a versare dei contributi, benchè in forma ridotta e per certi aspetti in modo rischioso, all’ente di categoria quale appunto l’ENPAF, a causa dell’obbligo legislativo dell’iscrizione d’ufficio all’Enpaf contestuale all’iscrizione all’albo.
Tutto questo porta ad una serie di paradossi:
– IN ENPAF ANCHE I DISOCCUPATI PAGANO IL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’ ALLA CASSA DEI FARMACISTI.
– “NORMA PERDITA BONUS DISOCCUPATI” DOPO 5 ANNI DI DISOCCUPAZIONE. Dopo 5 anni di disoccupazione e iscrizione all’albo, i farmacisti disoccupati sono costretti a cancellarsi dall’albo se permangono in stato di disoccupazione, pena il pagamento della quota a 50%, cioè circa 2.200 € all’anno.
– IL SISTEMA A QUOTA FISSA ENPAF, E RELATIVA PERDITA DELLA RIDUZIONE, PENALIZZA I FARMACISTI PRECARI . Le regole Enpaf che consentono ai farmacisti non liberi professionisti di ottenere una riduzione prevedono la presenza di precisi requisiti. La riduzione massima ottenibile, può essere richiesta se presente un contratto di lavoro dipendente o un certificato di disoccupazione, o la somma dei due requisiti, per un periodo pari a sei mesi e un giorno in un anno solare o per la metà più uno del periodo di iscrizione in caso di iscrizione parziale in un anno solare. Questa norma contorta diviene una sorta di “trappola” per i precari che alternano periodi di attività lavorativa come farmacista a periodi di inattività, o a periodi lavorativi in altri settori. La mancanza di iscrizione al centro per l’impiego in caso di inattività lavorativa o lo svolgimento di altre attività lavorative non riconosciute come professione del farmacista (stage compreso) senza la contemporanea cancellazione dall’albo, portano alla perdita della riduzione e nella possibilità di perdere quanto versato in assenza dei requisiti chiesti dall’ente all’età pensionabile.
– GARANZIE SULLA MALATTIA . E’ assurdo ed indegno per una società civile avere solo sei mesi di garanzia, dopodiché si può essere licenziati. Questo avviene perché a una persona che purtroppo subisce una malattia o un infortunio grave, e magari va in coma per un certo periodo, non vengono stornati questi periodi dal semestre oltre i quali ci sono solo altri 120 giorni di aspettativa non retribuita. L’altra beffa, sta negli arretrati che i farmacisti percepiranno una volta rinnovato il contratto. Si tratta di una cifra una tantum che di certo, non ripagherà dei danni subiti.COSA RICHIEDIAMO:
– rinnovo del contratto scaduto dal 31 gennaio 2013;
– contribuzione Enpaf facoltativa per i farmacisti dipendenti che già possiedono altra previdenza obbligatoria e per i disoccupati iscritti all’albo;
– possibilità di restituzione dei contributi previdenziali Enpaf per quei farmacisti che avendo altra previdenza obbligatoria opteranno per la cancellazione da Enpaf, nonchè di quelli silenti;
– contribuzione Enpaf legata al reddito e non più a quota fissa per i farmacisti iberi professionisti che hanno questo ente come previdenza di primo pilastro, borsisti compresi.
In conclusione quello che viene chiesto è un adeguamento dell’Enpaf che rappresenta un’anomalia nel sistema della previdenza italiana.
Fare uscire i dipendenti dall’ente, rendendolo per loro facoltativo, costituirebbe un forma di tutela per le fasce più deboli della categoria dei farmacisti.