Il Coccodrillo Rosso
Da anni ormai mi domando se uno dei nostri più grandi peccati come cittadini membri di una civiltà più o meno giusta, sia quello di non aver ascoltato. O per entrare nello specifico, se sia quello di non aver ascoltato determinate voci, forti nelle loro affermazioni e boicottate dalla maggior parte dell’opinione pubblica. Se con la guerra tra Russia e Ucraina sentiamo riecheggiare dall’oltretomba la voce del compianto Giulietto Chiesa, appositamente screditato per la sua russofilia mentre risultava uno dei più validi giornalisti nostrani, sento anche altre voci dal passato che ci avevano avvertito sull’Unione Europea. Molte di queste voci non si erano espresse sulla pericolosità del lobbismo, vero antagonista di basso profilo della trentennale e ingiusta storia Europea. Forse non ne avevano la capacità tecnica per comprendere i meccanismi che legavano a braccetto nel loro gioco sporco e classista Istituzioni europee e Lobby. O forse avevano sottovalutato il processo di collaborazione tra queste due entità che guidavano fieramente e incessantemente, dietro le quinte dei palazzi di Bruxelles, le democrazie nazionali. Dall’aldilà, riecheggia anche la voce di Bettino Craxi, personaggio che incontreremo più avanti nella nostra lettura. Il socialista più controverso della storia Italiana (il quale nome spessissimo innesca vivaci discussioni da ogni posizione politica) ci aveva avvertito, forse troppo tardi e forse da troppo lontano; da Hammamet. “Si presenta l’Europa come una sorta di Paradiso terrestre. L’Europa per noi, nella migliore delle ipotesi sarà un limbo e nella peggiore delle ipotesi sarà un inferno”. Lo Statista riproponeva almeno la “rinegoziazione dei parametri di Maastrcht”. Ma la Storia ci insegna che con l’Unione Europea e i suoi soldatini tecnocratici non si tratta. I “battipugnisti” delle Lega e gruppi affini ce lo hanno dimostrato. Perfino una voce come Enrico Montesano (più volte affine a movimenti politici diametralmente opposti tra loro) ci avvertì nella sua breve esperienza da Eurodeputato: “Non vedo un’Europa dei popoli ma dei burocrati”.
Abbiamo perciò preferito ascoltare le voci più acclamate. Quelle che dipingevano l’Unione Europea come un paradiso di legalità e prosperità economica. Come un tripudio di giustizia sociale ed economica. Le stesse voci che descrivevano Bruxelles come una città dove ognuno può ottenere ciò che vuole impegnandosi; e che questa favoletta fosse un modello esportabile in tutto il continente. In ogni suo angolo dalle metropoli più moderne alle zone più rurali; dal sud mediterraneo alle coste britanniche e quelle del Mare del Nord, Bruxelles e le sue istituzioni promotrici del mercato incontrollato e del globalismo più inarrestabile avrebbero creato una società giusta e competitiva. Ricca e tollerante; affarista e umana. In data odierna sappiamo che non è stato così e probabilmente nulla del progetto europeo ha mai avuto intenzioni del genere nella sua conclamata equità. La competitività ha distrutto la giustizia sociale, la ricchezza di pochi ha sopraffatto la tolleranza e tutto ciò che è affarista ha prevalso con appagamento su ciò che è umano.
Ma è giusto concentrarsi nuovamente su quello che abbiamo affrontato tempo orsono; ed è impossibile non esporre degli aggiornamenti. Panzeri dallo scorso gennaio ha deciso di diventare un collaboratore di Giustizia firmando un contratto con le autorità del Belgio per una riduzione della pena; Kailī e Tarabella rimangono in carcere probabilmente per lungo tempo, soprattutto se Panzeri rivelerà maggiori informazioni sullo scandalo. E mentre quest’ultimo è destinato a pagare una multa di 80.000 euro e ad un sequestro di un altro milione di Euro, il deputato europeo del PD Andrea Cozzolino, che si era precedentemente dichiarato estraneo ai fatti, è attualmente in carcere nella sua Napoli, arrestato dalla Guardia di Finanza dopo che la procura federale belga ha emanato un mandato di arresto europeo. Cozzolino, a mio personalissimo avviso, è stato molto sottovalutato nell’intera inchiesta. Secondo il giudice Michel Claise (uno dei pochissimi eroi di questa storia) ideatore e promotore delle indagini sui soldi del Qatargate e dell’organizzazione di corruzione che la sostiene, Cozzolino ha avuto un ruolo importantissimo (spiegato nel mio precedente articolo che vi invito a leggere). A capo della delegazione per i Paesi del Maghreb, sembra che i soldi arrivati dal Marocco siano passati sotto la sua giurisdizione. Pare addirittura che ci sia stato qualche incontro in Polonia tra l’ambasciatore marocchino a Varsavia e Cozzolino stesso. Attualmente Cozzolino combatte contro l’estradizione mentre il PD lo ha sospeso e la presidente Roberta Metsola ha revocato l’immunità parlamentare al piddino partenopeo e Tarabella ad inizio mese. Tralasciando questo becero contentino legale da parte le parlamento europeo (come per dimostrare un barlume di legalità e giustizia), non possiamo che dare un’occhiata al “belloccio del palazzo” (così eletto dalle Deputate e funzionarie del Parlamento) Francesco Giorgi. L’assistente del gruppo S&D era colui che di tutto il Qatargate si occupava del settore delle ONG che, a quanto pare da un’intercettazione nei suoi confronti, “servono a far girare i soldi”. Con questa emblematica e simbolica frase sulla sinistra antisocialista, immigrazionista, europeista e amante del globalismo pieno di capitali, Giorgi e il suo compare di ONG Figà Talamanca rimarranno nel carcere di Saint Gilles ancora per un po’.
Avendovi aggiornati su come procedono le indagini, è ora di dare un ulteriore sguardo allo scheletro sociale ed economico che Bruxelles ha sempre promosso e che ha naturalmente portato ad un prevedibilissimo scandalo al quale abbiamo assistito. Nel precedente articolo abbiamo trattato come la società e la politica di Bruxelles e delle istituzioni vanno ad influenzarsi l’un l’altra. Se abbiamo analizzato la patologia o il prodotto inconscio di questo sistema politica degenerato, è ora di dare un’occhiata ai promotori e coloro che hanno avuto un incredibile interesse nel protrarre la maggior parte del funzionamento dei perni della struttura europea che si sono poi rivelati fattori della recente corruzione: lobbys, ONG in relazione con molti dei politici. Lungi da me affermare che tutti i politici hanno accettato laute somme di denaro come i citati loschi figuri legati allo scandalo. Dei politici europei (delle istituzioni o meno) ho più volte contestato la loro etica ideologica e professionale nonché la loro più totale sottomissione (se non adulazione) del sistema europeo con le sue ingiustizie economiche; quello che voglio analizzare è come i politici si sono più volte relazionati alle lobby negli ambienti politici delle istituzioni. Ai deputati, gli assistenti, i tirocinanti e i membri delle commissioni con i loro apparati di lavoro rimprovero l’accettazione del sistema politico europeo per il proprio tornaconto personale. Questa relazione tra più attori politici ha incrementato nei decenni a venire tutto ciò che c’è di sbagliato nella politica dell’Unione. Per dirla come direbbe Gustave Le Bon, a questi attori politici rimprovero il fatto per il quale “Scusare il male, significa moltiplicarlo”.
Per comprendere realmente come questi agenti operano tra loro, dobbiamo in primis capire che sono promotori di direttive ed interessi economici, ma in parti differenti nei processi e con influenza differita. Ma la prima cosa che dobbiamo realmente fare è liberarci di presupposti e costrutti concettuali e comunicativi. Il primo è il termine “lobby” che, nonostante abbia un suono così professionale e neutrale, in italiano si chiama “gruppo di pressione” ed è tale sotto ogni aspetto. Un gruppo di pressione agisce per un interesse ed è disposto a tutto pur di portarlo a termine. Riguardo a ciò, i gruppi di interesse amano fare le vittime lamentandosi come in Italia non sono considerati professionisti; in effetti (e per fortuna) in Italia non c’è una regolamentazione chiara sui gruppi di pressione, dato che in 75 anni di Repubblica, oltre 65 progetti legislativi sono stati presentati senza essere approvati. Secondo questi adepti e messaggeri di manovre economiche, il loro lavoro è denigrato in madre patria e la loro libertà viene costantemente limitata mentre a Bruxelles hanno trovato la loro terra promessa; probabilmente delle ragioni ci saranno ed è giusto elencarle. Bruxelles è la seconda città al mondo per il numero di gruppi di pressione dopo Washington (e questa la dice lunga su come il modello liberal atlantista intenda la politica) e una ragione c’è ed è anche ben strutturata; ma ci arriveremo dopo. In questo clima, abbiamo l’impressione che i gruppi di pressione abbiano un certo potere limitato ed un’etica nel loro lavoro e nel non interferire troppo con le politiche pubbliche; ma se abbiamo assistito ad uno scandalo di tali proporzioni evidentemente non è così. I lobbisti sono predatori instancabili in una città dove una politica caotica e in cerca di status sociale ha degli attori che non vedono l’ora di farsi sbranare. I lobbisti hanno pochissimi limiti e un ottimo fiuto per il loro affari, rispecchiando la sete per il lucro e la tecnocrazia affarista tipica della società europeista; perennemente in cerca di proliferazione di capitali e finti miti di progresso da imporre. Come squali che sentono l’odore del sangue ad distanza, i gruppi di pressione sanno chi e come influenzare senza fare errori e nel tempismo giusto.
Se parliamo di regole da rispettare, ci sarebbe un cosiddetto “Registro per la trasparenza” con 12.400 iscritti provenienti dal mondo lobbista dei quali metà definiti “interni” mentre circa tremila sono legati al mondo delle ONG. I lobbisti li si vede sgattaiolare all’interno delle istituzioni con una facilità inspiegabile e una rapidità felina: magari in Parlamento per influenzare decisioni attività di “policy making”, per dirla con quell’inglese strascicato e ingannevole che fa molto tecnico e imparziale. O anche nella Commissione, dove sembra in realtà che abbiano un più facile accesso e una maggiore risonanza ma maggiori regole da rispettare. Secondo l’accademica finlandese Emilia Korkea-aho “gli alti funzionari della Commissione tengono diari delle riunioni in cui registrano gli incontri con i lobbisti” mentre “gli eurodeputati si sono generalmente opposti alla registrazione delle loro riunioni invocando l’idea di libertà di mandato”. Nel Parlamento si aggirano nei corridori dei gruppi politici, passando tra una scala mobile che collega un edificio all’altro e camminando con distinta fretta sulla moquette del terzo piano dell’edificio “Paul Henri Spaak” (crocevia per tutti gli uffici dei gruppi parlamentari) in perenne ricerca di politici da approcciare, come polli da spennare, dirottando decisioni politiche a loro vantaggio e tornaconto. Ed è proprio il Parlamento ad essere l’anello debole: il professore di diritto dell’Unione Europea Alberto Alemanno reputa che il sistema dei gruppi di pressione nel Parlamento abbia “molte scappatoie” poiché il mastodontico edificio di Bruxelles “è l’unica istituzione che non ha praticamente regole imposte ai propri rappresentanti e un’applicazione molto debole di tali regole etiche”. Anche la professoressa Maria Cristina Marchetti ammette che ci sono delle differenze di lobbying tra Parlamento e Commissione dove “Il lobbying sulla Commissione ha infatti un carattere ‘tecnico’, quello sul Parlamento un carattere ‘politico’, capace di far emergere un più ampio interesse generale della tematica in questione”. Nel dettaglio, i trattati Europei descrivono i gruppi d’interessi come mediatori tra le istituzioni e la società civile, ma in realtà vengono intesi come gli unici in grado di mediare tra le due parti.
Questo concetto è riduttivo se non errato. L’articolo numero undici del trattato sull’Unione Europea afferma che “le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile”; ma come abbiamo visto in precedenza e dedotto dallo scandalo di dicembre non è affatto così. I gruppi di interesse non promuovono la società civile e i suoi cambiamenti, ma influenzano unicamente la politica continentale per i propri interessi, e se mai promuovessero cambiamenti sociali sono tutti a vantaggio della società di mercato. Non sono promotori di cambi della società, ma unicamente di andamenti economici promossi da pochi, che tramite le politiche dell’Unione vengono poi imposti a tutti; o meglio, se sono cambiamenti sociali, sono prima provenienti da élite e (infine) che mai discutono i rapporti di forza tra detentori di capitali e classi che subiscono tali rapporti di potere. Insomma, i gruppi di interessi promuovono le loro necessità economiche e le impongono alla maggior parte della popolazione e tristemente non dobbiamo nemmeno scomodare Panzeri, Giorgi e la Kailī.
Lo scorso luglio, file trapelati hanno confermato come Emmanuelle Macron abbia facilitato e incoraggiato l’azienda Uber nel mercato francese urtando pesantemente i tassisti francesi e il loro lavoro, dichiarando poi fieramente che lo “farebbe di nuovo domani”. Se scaviamo invece nel passato e nella tragedia, possiamo tirare in ballo cosa la Shell fece in Nigeria con la tribù degli Ogoni, influenzando senza pietà il governo dello stato africano creando disastri ambientali, umani e oltraggiando la vita di innocenti e dissidenti come Ken SaroWiwa.
La triste verità è che troppo spesso, quando si contesta il lavoro dei gruppi di pressione, la stampa spesso progressista e di sinistra colma di classismo e demofobia, etichetta queste critiche come “teorie del complotto” o banali espressioni populiste, ma non è così. I gruppi di pressione sanno perfettamente come influenzare istituzioni, governi e politici privi di morale e ben disposti. E questo è un dato di fatto da prima del dicembre 2022. La ciliegina sulla torta risulta essere anche il ruolo del fenomeno detto “revolving doors” che conferma ciò precedentemente esposto. È un fenomeno tramite il quale dei rappresentanti di compagnie private e lobby con forti interessi vanno poi a ricoprire cariche pubbliche influenti; e l’Europa ne è piena: Günther Oettinger è definito “mr. revolving door” ma non può invidiare nulla ai nostrani Mario Draghi, Mario Monti o il portoghese José Barroso. Questi individui, tramite la loro indiscutibile ma maligna competenza, riescono così ad influenzare politiche continentali andando così ad imporre gli interessi come mantra politici impregnato con parole come “cambiamento”, “progresso”, “necessità”, “futuro” e “sfide”.
Ed è qui svelato il trucco e la strategia del Liberalismo Europeista, delle Lobby e della Tangentopoli blu. Il fatto di avere un gioco fin troppo facile e un’influenza immensa in una città che conta fin troppo in un continente in rovina e sottomesso ad una classe dirigente fieramente schiava di questi promotori di interessi. Se il diritto comunitario prevale su quello degli Stati e il diritto comunitario è fin troppo influenzabile dai gruppi di pressione, l’intero continente è nelle loro mani. Non c’è democrazia, non c’è giustizia sociale, non c’è uguaglianza tra cittadini né tantomeno tra stati membri. La società europea si riconferma così estremamente classista, premiando chi detiene capitali e sottomettendo a queste dinamiche ogni cittadino.
La differenza è perciò simbolica di come la politica in Europa è intesa per due motivi. Il primo, è che se un cittadino qualunque vuole proporre una legge o un cambiamento dovrà radunarsi con altri cittadini che si trovano nella medesima situazione; poi dovrà raccogliere delle firme che magari con moltissima fortuna potrebbero diventare un progetto di legge da approvare. Un gruppo di pressione invece scegliere un rappresentante che dovrà semplicemente entrare in un’istituzione Europea, entrare nell’ufficio di un deputato o un alto rappresentante, presentarsi con la sua impeccabile professionalità e influenzare un processo decisionale e infine venir retribuito per il suo operato. Il secondo motivo è che le Lobby e le ONG non hanno bisogno di processi democratici o voti popolari, anzi li scavalcano e portano avanti con egoismo i loro obiettivi. Non c’è un processo elettorale o di voto per questi attori politici mentre per il cittadino comune sì. ONG e Lobby se ne infischiano dell’elettorato e si pongono al di sopra di esso con arroganza e convinzione di essere gli unici interpreti della politica.
Non è già abbastanza ingiusto non poter votare per la Commissione (l’organo più influente in Europa), ma non si può nemmeno controllare chi la influenza con vanto e cupidigia.
Ed è giunta l’ora di lasciarvi con riflessioni che spiegano benissimo la Tangentopoli blu: Che differenza c’è tra corruzione e gruppi di pressione? che differenza c’è tra una “mazzetta” che finiva nelle tasche di un deputato della prima repubblica e un colloquio lobbista che avviene in un moderno ufficio di Bruxelles? Che differenza c’è tra Bettino Craxi con la sua tangentopoli e Ursula Von der Leyen e i gruppi di pressione? Se intendiamo l’atto in sé per sé; nessuna. Se intendiamo la natura di dirottare politiche verso una direzione su basi di promesse; nessuna. Ma nel dettaglio la Tangentopoli blu è così tecnica, al passo con i tempi, plutocratica ed elitaria che non è una Tangentopoli. È un latrocinio professionalizzato che avviene dopo decenni di inculcazione affarista e progressista che può avvenire alla luce del sole, almeno che non si nascondono ingenti capitali provenienti dal mondo arabo.
La tangentopoli italiana era più goffa e nascosta e ci ha portato ad odiare il nostro paese, la nostra gente, la nostra eredità storica e l’unica politica sulla quale le classi subalterne avevano potere decisionale (la nostra) mentre da trent’anni idolatriamo e accettiamo una politica che ci detesta e ci affama alla luce del sole. Quella europea.