Ferrari (Fmlu-Cub): «L’accordo dei metalmeccanici è un regalo ai padroni».

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Ferrari (Fmlu-Cub): «L’accordo dei metalmeccanici è un regalo ai padroni».

Pochi giorni fa è stato siglato il nuovo contratto nazionale dei metalmeccanici, per il triennio 2016-2 019. L’accordo è stato firmato da Federmeccanica e dai sindacati confederali, Fiom-Cgil compresa. Giudizio positivo è stato espresso dalla Fiom di Landini e dalla Cgil nazionale, alimentando alcuni malumori e domande ulteriori sul ruolo effettivo della Fiom. L’accordo sarà sottoposto al giudizio dei lavoratori attraverso un referendum. Come redazione di Riscossa abbiamo quindi deciso di inaugurare oggi una serie di interviste a sindacalisti e operai, per avere le loro impressioni sull’accordo, e contribuire al dibattito Iniziamo dall’intervista ad Antonio Ferrari, segretario della Fmlu-Cub, organizzazione contraria all’accordo siglato pochi giorni fa e che in questi mesi si è opposta tenacemente all’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio.

Ferrari, per iniziare quale è nel complesso il giudizio della Fmlu-Cub sull’accordo sottoscritto dalle organizzazioni confederali e da Federmeccanica?

Al di là della sceneggiatura che si sta costruendo intorno a questo contratto, è un accordo assolutamente vantaggioso per tutte le organizzazioni che lo hanno sottoscritto, tranne che per i lavoratori, perché è l’ennesimo accordo fatto sulla loro pelle, è l’ennesimo accordo che serve ai padroni. Dico questo perché con il nuovo contratto ci saranno vantaggi evidenti per le aziende, ma anche per i sindacati firmatari. Gli aumenti che sono previsti, e che per giunta sono in larga parte solo eventuali, non finiranno nelle tasche dei lavoratori ma saranno erogati sotto forma di benefit, foraggiando fondi di previdenza, di assistenza sanitaria, gestiti da imprese e sindacati. È un accordo che è pienamente in linea con quel nuovo modello di relazioni industriali lanciato da Cgli, Cisl e Uil e che ha le stesse caratteristiche di quello che è voluto da Federmeccanica E’ poi un accordo che si inserisce pienamente nel solco dell’accordo del 10 gennaio 2014, che costringerà le Rsu a fare il lavoro sporco su flessibilità e produttività aziendale, e sancisce in modo più chiaro quanto fatto dall’accordo del giugno 2011, con la possibilità di introdurre accordi aziendali peggiorativi in deroga al contratto collettivo nazionale. Sull’accordo del 10 gennaio il contratto prevede la nomina delle commissioni disciplinari per le sanzioni da applicare ai lavoratori e alle RSU che non rispettino le clausole, e che ad esempio decidano di scioperare o protestare quando non possono, con sei membri nominati dagli industriali e sei dai sindacati firmatari.

Anche il governo si è detto entusiasta dell’accordo, mettendo in luce un aumento di 92,7 euro al mese per i lavoratori. Qualche maligno ha ipotizzato che si tratti dell’ennesimo spot, anche in vista del referendum. Numeri alla mano è così oppure c’è realmente un innalzamento salariale?

Partiamo proprio dati alla mano, per quello che è scritto nel contratto. Nel 2016 non c’è niente. Nel 2017 ci sono di certo 80 euro come una tantum omnicomprensivi e 100 euro annuali come benefit. Se si fanno le proporzioni parliamo di poco più di 6 euro al mese nel primo caso e 8,83 nell’altro. Quindi nel 2017 l’aumento vero mensile è di poco più di 14 euro. Dopo di che, ed è qui che sta il trucco, il contratto introduce degli aumenti eventuali nel caso in cui l’inflazione raggiunga determinati aumenti annuali, rispetto al mese di giugno dell’anno precedente. Nel 2017 si prevede un aumento di 9 euro, in caso di incremento dell’inflazione dello 0.5%, aumento tra l’altro previsto solo per il 5° livello, quando la stragrande maggioranza degli operai è del 3° o del 4°. Nel 2019 l’aumento scatta nel caso in cui l’inflazione salga dell’1,2%. Ma se l’inflazione non sale non c’è nessun aumento aggiuntivo. E tutti sanno che siamo in un periodo in cui l’inflazione non sta salendo. E lo dicono anche fonti ufficiali. Tanto per dirne una, il Ministero ha emesso un decreto, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 23 novembre, in cui si stabilisce che i fondi pensionistici del 2017 non verranno rivalutati, perché l’inflazione è negativa (-0,1%). Poi questi aumenti eventuali assorbono aumenti fissi che già ci sono, quindi anche se si verificassero tutte le condizioni, sarebbe un incremento davvero minimo. Infine, come dicevo prima, la maggior parte dei cosiddetti aumenti viene erogato in forma di benefit, con dei voucher. Non sono soldi che vanno direttamente ai lavoratori, che possono decidere come spenderli. Si tratta di soldi che saranno gestiti da Confindustria e sindacati attraverso fondi privati, che oltretutto sono misure che spingono alla privatizzazione dei servizi sociali: previdenza, sanità.

Nei commenti all’accordo si assimilato questo accordo al “modello tedesco” della cogestione da parte del sindacato delle imprese. E’ un giudizio appropriato?

In realtà è il sindacato, come elemento di controllo sui lavoratori, che viene utilizzato dai padroni, in cambio degli interessi delle strutture sindacali. La cogestione significa solo discutere la quantità di risorse che vengono messe nei fondi. Per il resto nel momento in cui l’azienda dovesse fare scelte strategiche si prevede che debba informare le rappresentanze sindacali per metterle al corrente e che i sindacati possano dire la loro. E’ un modo per ridurre ulteriormente l’antagonismo, per dire, come dicono Cgil, Cisl e Uil, che i lavoratori devono essere portati all’interno della gestione e coinvolti nelle scelte strategiche per meglio rispondere alle necessità della politica aziendale. È una concezione del sindacato che serve a ridurre il conflitto e trasforma, sindacati e lavoratori in una ruota dell’ingranaggio del capitale. La collaborazione che si richiede è quella dell’aumento della flessibilità, della produttività, l’accettazione del peggioramento delle condizioni lavorative. E’ come coinvolgere il lavoratore nel processo del suo stesso sfruttamento. E’ chiaro che si tratta di qualcosa che oggi è funzionale agli interessi del sistema produttivo capitalistico.

Landini ha parlato con toni entusiastici dell’accordo e anche la Fiom lo ha sottoscritto. Emerge sempre più chiaramente che la Fiom è parte integrante della logica concertativa e arrendevole, come tutta la cgil. Si svela questo inganno?

Landini sta portando avanti la sua scalata interna alla Cgil. In passato ha preso una serie di posizioni critiche, ma poi non è mai seguito nulla di coerente. Negli ultimi tempi ha addirittura elogiato Marchionne, e messo da parte quei delegati che non avevano accettato accordi al ribasso e avevano promosso mobilitazioni e scioperi, che alla fine sono stati cacciati dalla Cgil. Landini è come tutti gli altri, immerso in questo nuovo sistema di relazioni sindacali, che non è più neanche possibile definire concertativo, perché ormai è apertamente collaborazionista con la classe padronale. La Fiom è divenuta parte di questo sistema. Ha finito per appiattirsi sulle posizioni della Fim e della Uilm, per tenersi la rappresentanza e riprendere le posizioni perdute e per non essere isolati. Addio Coalizione sociale, e rientro nei ranghi, come Cgil comanda. Stesso discorso vale per la sinistra Cgil e della Fiom stessa, che contesta l’accordo ma non farà nulla come al solito e non è dissimile da alcune organizzazioni sindacali di base che prima contestano gli accordi ma poi li firmano. Abbiamo visto cosa è successo di recente all’Ilva a Taranto dove le elezioni delle RSU tra i sindacati firmatari dell’accordo del 10 gennaio sono state salutate come fatto democratico. Solo noi non abbiamo partecipato.

Dalle fabbriche dai lavoratori in generale quale è l’impressione degli operai su questo accordo?

Come sempre c’è una differenza abissale tra le grandi fabbriche dove si riesce a fare attività di controinformazione e quelle piccole, specialmente in provincia dove Cgil, Cisl e Uil hanno il monopolio dell’attività sindacale. Dove c’è la presenza di un’organizzazione che non è nelle file di questo accorso, i lavoratori si rendono conto, capiscono cosa accade, prendono coscienza. Comprendono che si tratta di accordi a perdere e li bocciano, come è accaduto di recente con Fincantieri dove la metà degli operai ha detto no all’accordo. Questo appunto accade principalmente nelle grandi unità produttive.

Nel resto al contrario la situazione è più difficile, ed è per questo che i risultati del referendum sono scontati, che la firma dell’accordo è già l’entrata in vigore di fatto di quell’accordo. Ovunque si cerca di evitare l’azione dei sindacati non allineati. Ma i lavoratori comunque si accorgeranno presto di cosa rappresentano questi accordi. La cancellazione del diritto di opinione, degli spazi di democrazia nelle fabbriche, l’impossibilità di protestare e scioperare inizieranno a sentirsi sempre di più. Sarà proprio la consapevolezza di cosa comporterà questo nuovo contratto anzi, a far aprire a tutti gli occhi sul peso degli accordi del 10 gennaio. Gli operai più coscienti lo hanno già chiaro. Si colgono già segnali di malumore, e quando si alza la coscienza serve l’organizzazione.

Di fronte all’attuale condizione sindacale, al ruolo ormai collaborazionista di Cgil, Cisl, Uil, e anche ai limiti del sindacalismo di base, quale è la tua/vostra proposta?

E’ chiaro che oggi in Italia è necessario un sindacato di classe che sappia resistere e rilanciare la lotta. Una volta i metalmeccanici italiani erano l’avanguardia della classe lavoratrice d’Europa, oggi siamo gli ultimi, abbiamo il compito di riconquistare quelle posizioni. Cgil, Cisl, Uil non hanno nulla da offrire ai lavoratori se non il peggioramento delle loro condizioni, in cambio del guadagno per qualche sindacalista. Noi dobbiamo far percepire cosa sta avvenendo. C’è una guerra di classe vera, di cui questo accordo è parte. Questa guerra di classe è all’ordine del giorno, scatenata dai padroni, fino ad ora in modo assolutamente vincente. Costruire il sindacato di classe vuol dire non solo resistere ma avere la capacità di capovolgere questa condizione. Significa costruire un sindacato che potrà e dovrà essere anche un sindacato di massa, senza tradire la sua visione e il suo ruolo. Penso che quanto si sta realizzando tra SGB e CUB costituisca un buon punto di partenza per questo processo.

 

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