Nella recente campagna elettorale è stata rispolverata la proposta della flat-tax, ossia un sistema di tassazione sul reddito a quota fissa (si parla di un 15 – 20 percento), lasciando ai contribuenti meno abbienti delle soglie di esenzione decrescente. Questa proposta non è nuova, infatti è sempre stata il cavallo di battaglia della destra estrema USA e britannica (ricordiamo ai tempi di Reagan e Thatcher) e, come vedremo, è tutt’altro che a favore del popolo.
La Costituzione Italiana, per quanto fu solo un punto di compromesso tra le forze popolari e quelle reazionarie uscite dal fascismo, prevede che l’imposizione fiscale sia “progressiva”, ossia chi più ha più paghi, non solo in assoluto (il che è ovvio), ma anche in relativo, così come sono le imposte dirette, quali l’IRPEF. Invece vediamo che le imposte indirette, che paghiamo tutti allo stesso modo – IVA, Tasse comunali e regionali, accise sulla benzina – rappresentano sempre più una quota rilevante nel bilancio pubblico. Ciò, oltre a essere incostituzionale, è profondamente ingiusto e provoca non solo danni sempre crescenti all’economia generale del Paese (in media), ma favorisce la concentrazione monopolistica. Infatti è del tutto falso che, se i ricchi avranno più soldi a disposizione, faranno più investimenti a favore di tutti; in realtà gli investimenti in tempo di crisi saranno sempre di più diretti verso forme speculative se il sistema produttivo è in fase negativa, come quella nella quale si dibattono i sistemi capitalistici ormai da un decennio. Ciò è dimostrato dal “fallimento” delle recenti politiche di inondazione di moneta da parte della BCE, che in realtà sono invece a favorire la ripresa dei profitti speculativi. In realtà i super-ricchi le tasse non le hanno mai pagate, perché hanno strumenti di elusione ed evasione ben collaudati. È quindi la classe media e medio-alta – una classe che ha ancora un reddito elevato, che è afflitta da una crisi economica sempre più acuta, ma che è sempre meno rappresentata politicamente – che cerca sollievo in queste scappatoie, ha sempre più paura a evadere, ma non vuole pagare le tasse, come richiesto dai settori dominanti per gli sfarzosi programmi bellici ed eurocratici. Ammesso – e non concesso, perché non lo otterranno mai – che una tale flat-tax si dovesse attuare, dove si andrebbe a cercare di compensare la perdita fiscale conseguente? Nei forzieri delle banche e dei grandi finanzieri, o – come al solito – nelle tasche della povera gente?
Come diceva Ettore Petrolini: «Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti.»
L’interesse invece delle classi piccolo-borghesi, artigiani, piccoli commercianti, ambulanti, è quella di veder ridurre o annullate proprio le tasse più odiose che deve pagare sia chi guadagna sia chi non guadagna, che invece sono quelle che sono cresciute esponenzialmente negli ultimi anni e che hanno causato l’espulsione dal mercato o la fuga verso il lavoro “nero” di migliaia di essi, ossia la loro proletarizzazione o, più spesso, sotto-proletarizzazione.
Chi pagherebbe la flat-tax?
I dati diffusi da poco dal dipartimento delle Finanze consentono di fare chiarezza, attraverso una simulazione, su chi si avvantaggerebbe e chi invece perderebbe con le nuove aliquote della flat-tax.
Perché occorre tenere conto dei calcoli aggiornati per fare una stima? Perché la flat-tax non prevede solo una rimodulazione delle aliquote IRPEF, ma anche l’introduzione di riduzioni fisse al posto di quelle variabili attualmente in vigore. In pratica la grande maggioranza di deduzioni, cioè di riduzione dell’imponibile, e di detrazioni, sconti netti sulle tasse, verrebbe cancellata. Per questo si può solo fare una stima in media di quello che succederebbe alla massa dei contribuenti, suddivisi nei vari scaglioni di reddito. Nell’attuale sistema di detrazioni le fasce più basse non si avvantaggiano di esse in quanto incapienti, ossia non hanno un reddito sufficiente per poterne usufruire. Invece i redditi medi sono quelli che maggiormente si avvantaggiano di questi sistemi, proprio perché bastano anche piccoli rimborsi o detrazioni per alleviare un reddito basso.
Ma vediamo la simulazione. [vedi tabella]
Gli scaglioni più bassi, quelli con un reddito lordo annuo che va dai 3.000 ai 3.500 euro, sarebbero favoriti dal nuovo sistema; lo scaglione neutro sarebbe quello dai 3.500 ai 4.000; mentre tutti i contribuenti che entrano nella classe da 4.000 fino ai 20.000 verrebbero penalizzati. In pratica ai 5 milioni e 400 mila poverissimi (o evasori), ossia il 13,3% della popolazione, si farebbe un regalo di 232 milioni di euro, mentre i 18 milioni e 440 mila, ossia oltre il 45% dei contribuenti composta prevalentemente da lavoratori a basso reddito, che si trovano nella fascia intermedia, verrebbero a sopportare un onere supplementare di 6 miliardi e 300 milioni in più.
Ma non finisce qui.
Dalle tabelle diffuse dal dipartimento delle finanze si evince che la flat-tax porterebbe ad una riduzione complessiva del gettito fiscale di 42 miliardi, che dovrebbero essere garantiti da altri introiti. C’è da scommettere che si ricorrerebbe, come al solito, ai gettiti che sono i più facili da modificare: l’IVA e la benzina.
Oltre a vanificare il dettato costituzionale che prevede la progressività del carico contributivo delle imposte dirette (chi più ha, più deve dare in proporzione e non solo in assoluto), lo spostamento del carico dalla tassazione diretta (IRPEF) a quella indiretta (accise, IVA) diminuirebbe ancor di più la progressività delle imposte, facendo in ultima analisi gravare il peso sulle fasce dei lavoratori a basso reddito.
Pertanto i comunisti non hanno niente a che spartire né coi referendum falsamente anti-EU, né con queste proposte reazionarie. I comunisti non devono imbarcarsi in crociate che in realtà non intaccano le oligarchie, ma possono procurare ancora più danni al popolo. È bene osservare le contraddizioni del campo nemico, ma non parteggiare per gli uni o per gli altri, perché il proletariato ha avuto sempre da perdere ad arruolarsi sotto le bandiere di questo o quel settore della borghesia.
Invece la proposta dei comunisti in proposito, che può avvicinare i settori in via di proletarizzazione, deve essere diametralmente opposta:
BASTA TASSE A FAVORE DELLE OLIGARCHIE
È ORA CHE IL POPOLO UNITO FACCIA SENTIRE LA SUA VOCE E NON SI ACCODI PIÙ AL CARROZZONE DI QUESTO O QUEL SETTORE BORGHESE
2 Comments
L’antica tassa proporzionale dell’ordine borghese chiamata oggi per imbrogliare le acque da Berlusconi & Co. per la sua uniformità, “FLAT TAX” (imposta piatta), può solo essere imposta non sul profitto destinato ad accumulazione ma a quella parte del plusvalore che si trasforma in reddito per i capitalisti. Mettiamola sia del 10% sul reddito imponibile:
– Con un reddito annuo di 10.000 essa decurta 1000 eurodollari con conseguente reddito netto di 9.000
– Con un reddito di 100.000 l’anno lascia come reddito netto 900.000 eurodollari.
– Con un plusvalore annuo di 500.000 eurodollari, se il saggio d’accumulazione è del 50%, colpisce solo la parte che si trasforma in reddito, cioè 250.000 eurodollari come base imponibile decurtando 25.000 eurodollari lasciando al capitalista il reddito netto di 225.000 eurodollari. Rimangono al capitalista 475.000 eurodollari cioè 225 mila di reddito (plusvalore non capitalizzato) e 250 mila di plusvalore invece capitalizzato.
Costui quindi per un certo periodo, utilizzerà 225.000 eurodollari per il proprio consumo, e alla stessa scala di produzione, il saggio d’accumulazione diviene del 250.000p/475.000 = 52 12/19%. Escludendo i cicli di produzione al termine dei quali investe annualmente gli altri 250.000 di plusvalore nel processo di produzione per allargare in modo diretto la scala di produzione o in modo indiretto investendo nel settore finanziario speculando in SWAP cioè con la variazione al ribasso dei tassi d’interesse variabili bancari o in FUTURES ai fini di accumulazione o re-investimenti produttivi di capitale.
Di fatto, a livello giuridico, i profitti di capitale non sono considerati reddito imponibile in quanto non collegati alla persona giuridica ma a società di capitale, che non rientrano nella nomenclatura di reddito personale. La tassa proporzionale come si vede sopra colpisce l’operaio riconducibile a persona giuridica il cui reddito costituisce base imponibile e ad una parte di ceto medio impiegatizio dai 12 mila ai 15 mila eurodollari. Maggiore è il reddito, minore è l’incidenza dell’aliquota fiscale del 10% sul reddito complessivo riconducibile a reddito personale e non di capitale.
Anche un’eventuale tassa patrimoniale non colpisce il profitto destinato all’accumulazione di capitale perché colpisce plusvalore trasformato in reddito accumulato come consumo dal capitalista o dall’uomo d’affari, cioè accumulazione di plusvalore morto cristallizzato in patrimonio immobiliare o mobiliare, cioè beni di lusso. L’unico modo di ravvivarlo come capitale è la vendita di parti aliquote di questo patrimonio, ma la vendita venne da Berlusconi o viene liberalizzata con l’abolizione o riduzione dell’aliquota dell’imposta di bollo e registro e con l’abolizione o riduzione dell’imposta di successione. Capitalisti, e ceto medio alto, ossia rentiers, redditieri, sono quelli che guadagnano dalla “FLAT TAX” presa come esempio dai paesi a capitale emergente e che negli U.S.A., in Italia e nell’Unione Europea dei Paesi a grande concentrazione di capitale, non può che tendere alla riduzione, un 5% in media per tutelare il saggio di accumulazione capitalistico imprenditoriale, cioè quello industriale, produttivo di merci che costituisce la base strutturale essenziale del potere politico dello Stato borghese.
– Con un reddito di 100.000 l’anno lascia come reddito netto 90.000 eurodollari.
Mi scuso.