di Salvatore Vicario
Il 2017 si apre all’insegna di grandi proteste popolari in Messico contro il cosiddetto «gasolinazo», ossia la decisione del governo di Peña Nieto di aumentare del 20% il costo della benzina e del 16.5% quello del diesel. Le proteste sono iniziate domenica, quando è entrato in vigore questa misura e ha ormai abbracciato quasi tutto il paese, 28 stati su 31, con blocchi stradali, l’apertura dei caselli di pedaggio, stazioni occupate e pompe di benzina data alle fiamme, assalti a palazzi governativi e centri commerciali, blocchi e manifestazioni negli stabilimenti energetici con 11 depositi e terminali di trasporto della compagnia petrolifera Pemex che risultano bloccati con la possibilità che ciò possa causare una carenza nelle forniture in tutto il paese. La ribellione coinvolge diversi strati dei ceti popolari, dagli agricoltori ai taxisti dagli ambulanti ai disoccupati ecc., con tipiche forme spontanee di lotta e chiedendo le dimissioni del governo.
Un incremento che ha comportato aumenti dei prezzi in molti altri settori, come quello alimentare i cui prezzi sono aumentati già del 2,6% e si prevede un’impennata generale del 10% dei prezzi dei beni di prima necessità, come anche medicinali, trasporto pubblico e dei servizi colpendo duramente il potere d’acquisto dei settori popolari messicani. Questo a causa delle liberalizzazioni del mercato e privatizzazioni a seguito della riforma energetica del governo di Peña Nieto con la promessa che avrebbe portato al ribasso dei prezzi dei beni energetici ma che al contrario ha portato ad un incremento del prezzo della benzina da $12.13 alla fine del 2013 a $17.80 dell’inizio del 2017. Il governo ha proceduto così alla privatizzazione della società statale PEMEX che concentra l’estrazione, produzione e distribuzione del carburante, liberalizzando l’industria energetica aprendo anche agli investitori stranieri e consegnando così ai monopoli privati (nazionali e esteri) l’impostazione dei prezzi. A nulla sono servite finora le parole di Peña Nieto che ha chiamato alla calma e comprensione, giustificando la decisione come «riflesso dell’aumento internazionale della benzina, derivato dal rialzo del petrolio» per cui si tratterebbe di una misura «dolorosa e difficile, ma inevitabile» senza la quale ci sarebbero stati «effetti più dolorosi». Nonostante il Messico sia un paese petrolifero, importa carburante con molte raffinerie che sono state chiuse o ridotte, con l’aumento del costo delle importazione di prodotti finiti che viene scaricato sui lavoratori.
La riforma energetica fa parte di altre 13 riforme strutturali approvate nel quadro del “Patto per il Messico” come evidenzia il Partito Comunista del Messico (PCM) che partecipa alla protesta chiamando il popolo, e la classe operaia in primis, a scendere in strada per protestare contro questa nuova misura antipopolare e rafforzare la lotta anticapitalista rivendicando la ricchezza che produce e che viene rubata dai monopoli. «Con la riforma del Lavoro sono stati beneficiati gli sfruttatori e gettati in condizioni di schiavitù lavorativa gli operai e lavoratori, con giornate lavorative superiori alle 8 ore e salari che appena permettono di sopravvivere, con l’incertezza se si arriverà all’età di pensionamento, nell’angoscia quotidiana, senza casa, senza ferie, senza futuro». A questo si aggiungono gli effetti delle riforme della sanità e istruzione che colpiscono le tasche dei lavoratori. «Milioni di nostri fratelli proletari sono gettati nella disoccupazione, e la fame e la miseria colpiscono la classe operaia e i settori popolari in Messico. Non hanno abbastanza per l’affitto, per i trasporti, per i farmaci, per la scuola dei figli, nemmeno per mangiare», afferma il PCM.
Adesso si aggiungerà anche l’incremento di tutte le merci e servizi, essendo necessari i prodotti energetici per la loro creazione e trasporto, così come l’incremento dei licenziamenti: nel 2016 sono stati 12.000 gli operai petroliferi licenziati. «I monopoli sono insaziabili – prosegue il comunicato del PCM – poiché alla classe dei capitalisti gli interessa solo guadagnare di più, e per questo il loro governo impone il gasolinazo e l’aumento dei prezzi. L’economia popolare, degli operai e delle famiglie popolari, si deteriorerà rapidamente».
I comunisti messicani chiamano ad intensificare la lotta indicando i colpevoli e nemici nei monopoli, nel governo al loro servizio e tutti i partiti politici della borghesia che vuole arricchirsi sempre di più godendo in modo parassitario di enormi profitti. «Ribellarsi è legittimo, necessario. L’unica legge che riconosciamo è quella che serve con giustizia i lavoratori e il popolo, e non quella che difende la proprietà dei milionari e il loro sistema di sfruttamento e morte. Ma – conclude il comunicato – è necessario superare lo spontaneismo. Organizziamoci per affrontare queste misure e la repressione con la quale cercheranno di fermarci. Organizziamoci per cambiare questo paese, con le misure radicale necessarie, per formare un potere dove comanda quella maggioranza che produce, che lavora, che col suo sudore e sforzo fa tutto: formiamo il potere operaio e popolare».
Il prossimo lunedì 9 gennaio, una marcia contro il gasolinazo e l’aumento dei prezzi, contro la fame e la miseria è stata convocata a Città del Messico dal PCM con le forze di classe messicane.