Un’altra battaglia vinta dai lavoratori del porto di Genova che, per la seconda volta nel giro di un mese, hanno bloccato le operazioni di carico di armi destinate alla Guardia Nazionale Saudita, il corpo militare di una delle monarchie assolute più reazionarie del Medio Oriente, alleata degli Stati Uniti e artefice dell’invasione militare dello Yemen, dove è in corso una guerra sanguinaria. La protesta è partita da Genova e più esattamente da Ponte Etiopia dove, lo scorso 20 maggio, ha attraccato il cargo saudita Bahri Yambu con il suo carico di armi. Immediata la reazione dei portuali, che si sono categoricamente rifiutati di movimentare il carico di morte, destinato a colpire civili yemeniti.
Porti chiusi alla guerra, porti aperti ai migranti c’era scritto sugli striscioni, ben visibili ai varchi. Stessa storia, esattamente un mese dopo. Il 19 giugno, i portuali hanno presidiato Palazzo San Giorgio, sede dell’Authority genovese per gridare un secco NO all’arrivo, previsto per il mattino seguente, del cargo gemello Bahri Jazan, carico di corazzati acquistati in Canada. Anche stavolta, a conferma che solo la lotta paga, la ditta esportatrice ha comunicato la sua rinuncia all’imbarco, nonché la decisione di ritirare dal porto gli otto generatori destinati alla Guardia Nazionale Saudita.
In entrambi i casi, la Federazione ligure del Partito Comunista ha partecipato attivamente alle iniziative messe in campo dai portuali, al fianco dei quali continuerà a lottare, nella consapevolezza che questa doppia vittoria sia solo l’inizio di una battaglia che, necessariamente, dovrà coinvolgere tutti i porti italiani. Come Comunisti ribadiamo il nostro impegno contro la guerra imperialista, per l’irrinunciabile diritto di ogni popolo all’autodeterminazione. Nel contempo, denunciamo le connivenze di Unione Europea, Nato e Patto Atlantico e chiamiamo i lavoratori a mobilitarsi per uscirne.
La lotta dei portuali di Genova ha un valore enorme e dimostra che la classe operaia è l’unica forza che può veramente impedire la guerra. Questa lotta è anche la risposta a un governo che non intende fermare la fornitura di armi italiane, nascondendosi dietro alla foglia di fico di normative e burocrazia e continuando a flirtare con il regime reazionario e criminale dell’Arabia Saudita. I portuali genovesi, invece, hanno dimostrato che, con la coscienza di classe, si può dire ‘basta’ all’imperialismo in nome della pace.