di Sabrina Cristallo
È iniziato il conto alla rovescia per i 20 lavoratori dello stabilimento GKN di Campi Bisenzio (Firenze). Dopo l’intervista pubblicata ad inizio lockdown (vedi qui), in questi giorni fatidici abbiamo parlato con alcuni di loro. Tra queste righe ritroverete la loro voce; la delusione, la rabbia ma anche la tenacia di chi non intende retrocedere dinanzi all’arroganza padronale.
La loro è una storia di precariato lunga più di quattro anni. Dapprima lavoratori con contratti brevi poi, per aggirare le stabilizzazioni, trasformati in Staff Leasing, ovvero lavoratori “affittati” dall’agenzia interinale, dove risultano, invece, lavoratori a tempo indeterminato. Ed è proprio per questo che sono stati travolti dall’ennesima inosservanza: il blocco dei licenziamenti per loro non è valido.
“La formula dello Staff Leasing è l’affermazione totale del mancato diritto ad avere una vita, una stabilità e una dignità personale”.
Cristiano C., 37 anni descrive molto bene cosa significa essere precari “Siamo ricattati con il falso miraggio del posto fisso, trattenuti in azienda sotto un impegno morale e fisico, sottoposti a uno stress ulteriore e sfruttati al massimo. Ma ci si continua a credere, a impegnarsi, prodigarsi, a dare tutto all’azienda senza mai arrivare ad avere in cambio una garanzia di lavoro. Quindi nel medio lungo periodo arrivano la demotivazione, la stanchezza, ci si sente isolati ma si ha paura a ribellarsi per timore di perdere il posto di lavoro. Così rimani in questa morsa, tra lo stipendio che mese a mese continui comunque a percepire e lo stesso che potresti non percepire più se reagisci“.
Dare sempre il massimo, dunque, mentre la competizione con i lavoratori fissi – dettata dalla frammentazione tanto cara al capitale – si inserisce come elemento di sopravvivenza all’interno della fabbrica: i precari si sentono in dovere di fare di più.
L’illusione è quella della gavetta, la realtà è che gli stessi si trovano da subito al centro della produzione, proprio come sottolineano altri due lavoratori.
“È addirittura peggio che con i contratti a termine con cui eri andato avanti finora” afferma Jody B., 42 anni “da operaio ‘‘ in affitto ‘ lavori ogni giorno con la paura addosso perché improvvisamente potresti non servirgli più. Allora cerchi sempre di dare tutto e può anche succedere che, per far vedere costantemente all’azienda la tua buona volontà, metti da parte la tua stessa salute”.
“Tra noi, ci sono persone che hanno mandato avanti intere celle di produzione senza alcun lavoratore fisso” racconta Antonio R., 37 anni “Una volta posti davanti al ricatto aziendale, ci siamo trovati costretti a firmare questo contratto peggiorativo, pena il posto di lavoro stesso. È stato come firmare una condanna e di fatto, nel mezzo di una emergenza pandemica mondiale, siamo stati liquidati con una semplice telefonata”
L’amarezza oggi è tanta quanto il desiderio di riscatto. Una storia di precariato arrivata al punto più temuto dopo aver visto un po’ di luce a febbraio quando, dopo una lunga lotta sindacale, era stato siglato un accordo in regione che prevedeva, tra l’altro, un percorso di stabilizzazione per i 20 operai.
Tra loro, c’è anche chi è stato chiamato a lavorare con la cosiddetta ripartenza della fase 2, schiacciato dal duplice peso del rischio contagio e l’imminente perdita del lavoro. È forse questo un lavoratore? “È una guerra tra operai per dividerci e indebolire il sindacato e le lotte” esclama Jerevija P., 25 anni.
Si sentono ingannati, offesi e umiliati, consapevoli di aver contribuito a far fatturare milioni all’azienda, in cambio di un reddito annuo di un paio di decine di migliaia di euro e a fronte dello sperpero manageriale a cui, invece, non vi è mai stata rinuncia.
“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” prosegue Cristiano “senza lavoro non possiamo contribuire a niente di ciò che riguarda la società. Non possiamo aiutare in questo momento di drammatica crisi sanitaria e non possiamo provvedere ai nostri bisogni primari. Io sfido chiunque a vivere dignitosamente con 600 euro al mese di indennità” e conclude “questa forma di lavoro nello specifico, assieme a tante altre forme contrattuali svantaggiate, alla luce di questa crisi, porterà molte persone in Italia a ritrovarsi male. Ma il lavoro oltre ad essere un diritto è una necessità e non può venir meno perché nessuno ti regala niente. Bisogna permettere a tutti di lavorare, altrimenti si creano nuovi poveri, che si sa, servono al sistema ma noi dobbiamo cercare di impedirlo in tutti i modi. Il vero potere lo abbiamo noi lavoratori, noi muoviamo tutto! È incredibile come pochi comandino miliardi di persone, ma se i molti si ribellassero davvero? Chi comanderebbe?”
Dalla voce dei lavoratori, le parole d’ordine che arrivano sono forti e chiare. Unione, solidarietà, organizzazione. Questi sono i fattori da cui non è possibile prescindere per guadagnare terreno e avanzare contro la classe padronale. Come ad ogni crisi, il capitalismo inasprisce il suo attacco: dobbiamo reagire all’arroganza padronale in ogni luogo di lavoro e sostenerci nelle lotte. Torniamo davanti ai cancelli delle fabbriche, nelle strade, nelle piazze. Trasformiamo questo momento tragico, pagato con la vita di migliaia di lavoratori come noi, in un punto di svolta per dire con forza no al peggioramento delle condizioni della classe lavoratrice. Non saremo ancora noi a pagare, è giunta l’ora di pretendere.