Il Ministro Di Maio, in una intervista a La Repubblica, conferma di aver dato, a nome del governo italiano, il via libera al più grande accordo di libero scambio che l’UE abbia mai completato: si tratta del JEFTA (Japan-EU Free Trade Agreement), l’accordo con il Giappone in preparazione dal 2013 che sarà firmato definitivamente in occasione di un vertice UE-Giappone a Bruxelles (previsto inizialmente per mercoledì 11 luglio ma rinviato a causa dell’alluvione in Giappone) senza passare dai parlamenti nazionali. Ad annunciare l’autorizzazione degli Stati membri dell’UE alla firma è stata venerdì scorso (6 luglio) il Commissario per il commercio Cecilia Malmström.
I negoziati sull’accordo, i cui contenuti sono segreti, sono stati completati lo scorso dicembre e, dopo il voto del parlamento europeo in autunno, dovrebbe entrare in vigore agli inizi del 2019. Il Giappone è la terza più grande economia del mondo dopo gli USA e la Cina, e il trattato riguarderà più di 600 milioni di abitanti, un terzo del PIL mondiale e coprirà circa il doppio del valore di scambi del CETA rivaleggiando quanto a dimensioni con il NAFTA (North American Free Trade Agreement), trattato di libero scambio tra USA, Canada e Messico, attualmente il più grande al mondo.
Per accelerare i tempi, la Commissione Europea ha attivato una procedura speciale attraverso i quali i ministri dell’UE hanno potuto sottoscrivere direttamente da “casa loro” come fatto dal Ministro Di Maio che non ha neppure convocato il Tavolo istituzionale di confronto sui negoziati commerciali con cui il MISE, da dopo la Ministeriale della WTO di Seattle del 1999 riunisce insieme categorie, sindacati e società civile, quantomeno, per informarli delle intenzioni del Governo italiano, come denunciato dal comitato Stop-TTIP Italia.
«Sia noi che la Spagna, insieme alla firma, stiamo inviando delle osservazioni con condizioni precise che riguardano agricoltura, piccole imprese e una serie di interventi necessari», ha dichiarato Di Maio provando ad usare i soliti inganni demagogici per far digerire le ormai abituali giravolte rispetto alle illusorie promesse elettorali.
Come i suoi trattati fratelli del CETA e TTIP, il JEFTA non può esser alterato o corretto (come lascia supporre Di Maio) e porta con sé tutte le conseguenze di deregolamentazioni, privatizzazioni e liberalizzazioni per stabilire la massima libertà di movimento per i capitali, merci e servizi, aumentando i profitti dei grandi gruppi monopolistici. L’89% (190) delle riunioni a porte chiuse della Direzione Generale del Commercio della Commissione Europea sul JEFTA hanno avuto come protagonisti rappresentanti delle grandi imprese (le famose “lobby”), mentre solo in 9 di questi incontri (il 4%) hanno partecipato organizzazioni civili di cui nessuna ovviamente rappresentante i lavoratori.
Come segnalavamo già lo scorso anno l’accordo prevede l’eliminazione del 99% dei dazi commerciali tra le due aree e la possibilità per le aziende europee di avere accesso a tutte le gare di appalto pubbliche giapponesi, che ad oggi prevedono delle norme stringenti, e che di fatto permettono l’accesso soltanto alle imprese nazionali. L’obiettivo principale è l’incremento dell’importazione di automobili dal Giappone (che favorirebbe l’ingresso sempre maggiore nel mercato europeo di giganti quali Toyota e Honda) e l’esportazione di generi alimentari europei.
L’accordo andrebbe inoltre a favorire l’incremento ulteriore di scambi tra le due aree, già peraltro molto sviluppati. Infatti già ad oggi il Giappone è il secondo partner commerciale dell’UE in Asia (il sesto a livello mondiale): in particolare attualmente l’Unione Europea esporta in Giappone per un valore di 86 miliardi di euro annui (di cui 58 miliardi in merci e 28 miliardi in servizi), mentre il Giappone esporta in Europa per un valore di 82 miliardi di euro (di cui 66 miliardi in merci e 16 miliardi in servizi); inoltre gli investimenti diretti esteri (FDI) europei in Giappone ammontano a 87,7 miliardi di euro, mentre quelli giapponesi nell’UE a 175,8 miliardi. La Commissione Europea stima che l’accordo rimuoverebbe dazi doganali fino a un miliardo di euro annuo e garantirebbe l’aumento delle esportazioni fino al 180% nel settore alimentare (10 miliardi di euro), fino al 20% in quello chimico (3 miliardi) e fino al 6% per quanto riguarda i macchinari elettrici (650 milioni).
Prendendo la forma di un trattato commerciale, in realtà anche il JEFTA nasconde un enorme accordo geo-strategico di carattere capitalistico che mira essenzialmente ad abolire tutti gli ostacoli che derivano dalle diverse specifiche e standard commerciali, altri costosi impedimenti e restrizioni per il capitale in vari settori dell’economia in Giappone e Unione Europea, in modo da realizzare una liberalizzazione ancora più grande dei due mercati. Le misure antipopolari, così come le condizioni di lavoro (ai tagli dell’UE si aggiunge il Giappone che non ha ratificato due degli 8 accordi fondamentali dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sull’abolizione del lavoro forzato e la discriminazione nel lavoro), tra i contraenti convergeranno e si rafforzeranno con molteplici conseguenze per le classi popolari e i lavoratori che riguarderanno tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni e regressione dei diritti lavorativi, del diritto alla sindacalizzazione, alla contrattazione collettiva e salari eguali. Naturalmente sarà colpito anche il settore agroalimentare, penalizzando in particolar modo le piccole imprese, con i suoi riflessi a discapito della salute e l’ambiente.
Le uscite di Di Maio sulla “trasparenza” e la “lotta alle lobby”, nonché quelle sulla sovranità che tanto sbandierano i componenti del governo, vengono messe da parte alla prova pratica quando a primeggiare sono gli interessi dei grandi monopoli privati nella ricerca di un ambiente sicuro dove garantire il maggior profitto possibile nel quadro dell’internazionalizzazione dei capitali e della competizione interimperialista.
L’accelerazione della ratifica del JEFTA, con il quale l’UE e il Giappone cercano di rafforzare le proprie posizioni nella feroce concorrenza con altri centri imperialisti, avviene come risposta al corso protezionistico guidato da Trump, con relativi dazi e freno ai negoziati sul TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra UE e USA) e il ritiro dal TPP (Partenariato Trans-Pacifico), con la motivazione che sarebbero svantaggiosi per gli USA, portando avanti una diversa linea nello stesso identico obiettivo: il massimo profitto per i propri monopoli, unica stella polare sia per i fautori di politiche di unificazione dei mercati globali che di quelli di misure protezionistiche.
Non ci può esser alcun cambiamento senza una reale rottura con l’UE, la NATO e il capitalismo.