di Graziano Gullotta
È di pochi giorni fa la notizia dell’avvio da parte di Carrefour, una delle aziende leader nel settore della grande distribuzione, delle procedure per la messa in mobilità di 620 lavoratori distribuiti su 32 ipermercati in tutta Italia. In Piemonte – la regione più colpita – le conseguenze sull’occupazione di queste decisioni padronali saranno pesanti: sul totale di 620 esuberi, 115 derivano dalla chiusura definitiva di due ipermercati: quello di Trofarello, in provincia di Torino, e quello di Borgomanero, nel novarese. Contando i tagli che subiranno gli altri negozi nella regione, si arriva a 160 esuberi diretti e a circa 200 contando l’indotto. Inoltre si paventa la chiusura definitiva di un terzo ipermercato, quello di Pontecagnano, in Campania.
Il motivo della pesante riduzione di personale? Si vende poco, il costo del lavoro è troppo alto e quindi non ha più senso tenere aperti quei punti vendita, hanno spiegato i manager della multinazionale francese ai sindacati. L’impresa ha evidenziato «rilevanti problematiche sugli andamenti aziendali su fatturato, costo del lavoro e redditività. Gli ipermercati risultano particolarmente penalizzati». Carrefour, che ha puntato molto sulle aperture di 24 ore e sui negozi di piccole dimensioni, lamenta il calo di vendite e quindi di fatturato nei market di dimensioni maggiori.
In Italia il Gruppo Carrefour è presente in 18 regioni, fattura 4,9 miliardi di euro, occupando oltre 20.000 persone. Controlla tre società: Ssc srl, che gestisce gli ipermercati, è quella in cui è concentrata la crisi. Poi ci sono Gs spa e Di per Di srl che gestiscono rispettivamente i supermarket con l’insegna Carrefour market e i negozi di prossimità con l’insegna Carrefour express: qui gli affari vanno meglio e infatti non sono previsti tagli al personale. Il gruppo francese, però, si appresta a chiudere in rosso anche il 2016 dopo un 2015 in perdita per 166 milioni e il 2014 a meno 200 milioni.
Cosa sta succedendo in questo settore dell’economia? Dagli ultimi dati Nielsen disponibili, risulta che nel 2016 il “fresco”, ambito in cui solitamente si verificano le perdite più ingenti, ha visto un incremento progressivo dello 0,6% in termini di valore e di un 1,3% per quanto riguarda i volumi. Ottobre è stato il mese d’oro, con un aumento generale dell’1,2% per il valore e del 2,7% per i volumi. Anche considerando gli ultimi dati ISTAT riguardanti il mese di novembre 2016, i cosiddetti discount la fanno da padroni, trainando tutto il settore sia per quanto riguarda la crescita dei volumi che del valore e raggiungendo le punte più alte di profitto.
Quello che emerge da un’analisi attenta, più che una crisi dell’intero settore della GDO, sembrerebbe piuttosto una guerra tra le varie sigle per accaparrarsi quote di mercato sempre maggiori. In realtà i problemi, in questa fase, sono delle sole catene francesi Carrefour e Auchan. Una storia, quella di Carrefour in Italia che ha cumulato perdite gigantesche. Solo nel periodo tra il 2011 e il 2015, come documenta R&S Mediobanca, il colosso francese ha subito perdite per 2,47 miliardi di euro e nello stesso periodo Auchan ha cumulato un rosso di 560 milioni: unici due gruppi della grande distribuzione in Italia che hanno chiuso in perdita e con una caduta di ricavi. Nello stesso periodo infatti Esselunga ha visto i ricavi salire dell’11%, Iper-Unes del 7% e un sostanziale pareggio per le Coop. Le catene discount come Lidl ed Eurospin, invece, hanno incrementato le vendite in valore del 40%: la crisi ha dirottato i consumatori verso i prezzi bassi. Prezzi più bassi che nascondono una manodopera più sfruttata, alimentando un circolo vizioso che trova origine e conclusione nella principale contraddizione del sistema economico capitalistico: la necessità di aumentare il volume delle merci vendute, mentre si abbassano i salari e quindi la capacità di acquisto da parte dei lavoratori. (Nella tabella sotto, ripresa dal rapporto Area Studi Mediobanca, I maggiori gruppi italiani e internazionali della GDO alimentare, si nota come sul totale del conto economico, il costo del lavoro, quindi gli stipendi, sia notevolmente più basso nei discount rispetto alla grande distribuzione “tradizionale”)
All’interno di questo panorama, Carrefour ha provato ad ovviare con le aperture 24 ore su 24 nelle grandi città, con una strategia volta a recuperare volumi di vendita che evidentemente non ha funzionato. Lo sbilancio tra costi e ricavi dovuto ai troppi negozi a parità di clienti e volumi ha aggravato la situazione: la media sul mercato italiano di vendite per metro quadro è 7200 €. Esselunga svetta a 15700 €, mentre le due francesi si attestano a 5000 €. Per Carrefour la disfatta italiana è particolarmente severa, dato che l’Italia con i suoi 1092 supermercati, di cui 478 diretti e 614 in franchising (fonte Gruppo Carrefour) è il secondo mercato per importanza dopo la Francia.
Se la concorrenza per le quote di mercato rappresenta il fronte esterno di lotta tra le imprese del settore, esiste soprattutto un “fronte interno” dove si scarica sui lavoratori l’assicurazione dei profitti aziendali: la lotta di classe padronale per l’abbassamento dei salari, delle garanzie e dei diritti contrattuali. Il costo del lavoro è la variabile più importante presente nel bilancio di queste aziende, che tendono quindi ad organizzarsi e riorganizzarsi per abbassarne il valore sul totale. Questo scopo viene raggiunto in più modi: attraverso la disdetta di numerosi contratti integrativi; con i licenziamenti di massa, creando una compressione salariale e di diritti su chi rimane in azienda e allo stesso tempo andando ad aumentare le fila dell’esercito industriale di riserva, la sovrabbondanza di manodopera che tende a livellare diritti e salari verso il basso. Inoltre la libertà di licenziamento senza troppi vincoli e l’utilizzo periodico di questi licenziamenti di massa, consente da un lato un temporaneo ridimensionamento dei costi che alleggeriscono le perdite e danno respiro ai profitti. Dall’altro lato, quando la contingenza sarà migliore, ci sarà sempre la possibilità di assumere dipendenti, magari a condizioni peggiori sia a livello di stabilità contrattuale che di salario grazie al Jobs Act.
Il meccanismo che si è messo in moto è il classico sistema di scaricabarile sui lavoratori e di salvaguardia dei profitti dei padroni. Infatti, nel corso degli incontri con le parti sindacali, sono state anticipate dall’azienda una serie di esigenze organizzative che implicherebbero un ulteriore e grave peggioramento delle condizioni di lavoro. Oltre alla chiusura dei 2 stabilimenti piemontesi e di quello campano, l’azienda parla in generale di una “revisione del modello organizzativo di altri 30 ipermercati sul territorio nazionale”.
All’annuncio delle chiusure e della riorganizzazione generale sono seguite numerose manifestazioni da parte dei lavoratori, guidati dai sindacati collaborazionisti Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil a Torino, Varese e in altri stabilimenti.
Sono subito partite le mobilitazioni, perché la comunicazione dell’azienda è arrivata dopo i tanti sacrifici già fatti dai lavoratori per ridursi l’orario e rendere possibili le aperture per 24 ore.
Come ha affermato Fabrizio Russo, segretario nazionale della Filcams Cgil: «Nella fase più difficile per l’azienda, il sindacato si è responsabilizzato attraverso il ricorso diffuso agli ammortizzatori sociali, la rinegoziazione della contrattazione integrativa e la condivisione di misure nell’ambito dell’organizzazione del lavoro. Dopo anni di sacrifici da parte dei circa 20.000 dipendenti Carrefour, la risposta da parte della società è stata la dichiarazione di 500 esuberi», oltre alla chiusura di altri ipermercati.
In sostanza, un’ammissione di colpevolezza e complicità.
Questa decisione infatti è arrivata un anno dopo le trattative sui punti vendita aperti 24 ore al giorno e quelli aperti nei festivi, quando erano state promesse delle assunzioni. Ma mentre in Italia il colosso della grande distribuzione ha da tempo avviato il progetto delle aperture h24 e festività incluse di alcuni punti vendita, in Francia, paese di origine della catena della grande distribuzione, deve confrontarsi con le richieste dei lavoratori, in un braccio di ferro tra Carrefour e sindacati sull’apertura domenicale degli ipermercati. I dipendenti del gruppo hanno scioperato contro l’ipotesi di lavorare anche la domenica e il sindacato di categoria Cfdt ha fatto sapere che il 94% dei lavoratori che è stato consultato si è dichiarato contrario a siglare l’accordo.
La differenza che passa tra un sindacato quantomeno conflittuale e un aperto collaborazionismo senza strategia né tattica. Ma neanche quel tipo di sindacato potrebbe soddisfare oggi le necessità immediate dei lavoratori, nelle condizioni di smantellamento di interi settori dell’apparato industriale e commerciale nel nostro Paese. In Italia, ogni vicenda di questo tipo e di queste dimensioni rende evidente la necessità della costruzione immediata di un sindacato di classe che riporti tra i lavoratori dipendenti una concezione conflittuale coi padroni, a livello economico e, su un piano superiore, a livello politico. Al fine di far maturare quelle rivendicazioni di controllo sul lavoro e sulla proprietà che sono indispensabili al mantenimento di una qualità di lavoro e di vita dignitosi.