*di Enzo Pellegrin
Il quattro novembre non cade solo nel periodo in cui viene definita vittoria l’avere mandato al macello milioni e milioni di esseri umani per gli interessi delle classi dominanti.
Cade in tempo di catastrofi d’altro tipo: la nostra stagione delle piogge che sempre più spesso si trasforma in stagione dei disastri. Le trombe d’aria nel bellunese, nel cadorino e nell’agordino hanno mietuto centinaia di migliaia di alberi. Le piogge hanno ancora una volta devastato territori e vite in Sicilia, sgretolato la Liguria e anche la famigerata – di questi tempi – Ischia.
In questa devastazione, la natura che scioccamente viene chiamata assassina agisce raramente da sola. Complici – da tempo identificati – sono la devastazione dei territori ad opera dell’edificazione abusiva, la mancata manutenzione di montagne, colline, fossi, corsi d’acqua, infrastrutture di protezione. Incuria, sfruttamento e spreco di risorse pubbliche che trovano ragione nel profitto di diversi sfruttatori: la criminalità economica, quella organizzata, ma anche quell’economia che dalle nostre leggi non viene considerata criminale, anzi viene autorizzata al disastro dal servente politico di turno.
La nostra stagione delle piogge è sovente stagione di disastri proprio per opera di tali complici. Non si può continuare a raccontar la bugia della natura indomabile e crudele. Nè si può fare a meno di pensare che incuria, interessi privati e sfruttamento corrano e contino più del cambiamento climatico di cui sono oltretutto ulteriori responsabili.
Eppure, nell’Italia a corto di lavoro, giacciono nel dimenticatoio tutte le proposte di legge volte a creare un grande investimento pubblico per la manutenzione del territorio. L’ultima in ordine di tempo, denominata “Green New Deal”, ispirata da Luciano Gallino, marcisce inoperosa nella burocrazia del nuovo Parlamento.
I politici di turno sono abili a utilizzare le tragedie come occasione di pubblicità, girando in felpa per conferenze stampa, ricordando le crudeli letterine sul deficit a chi ha perso case, lavoro, forse anche le famiglie. Quello che non dicono è che preferiscono utilizzare risorse pubbliche per clientela elettorale, per diminuire e condonare imposte a quei soggetti che magari hanno contribuito al dissesto del medesimo territorio che oggi crolla addosso all’Italia intera.
La Lombardia ed il Veneto, nel periodo di governo della Lega, sono state le regioni con il più alto consumo di suolo in Italia. Secondo i dati ISPRA, il Veneto nel 2016 ha consumato 1134 ettari di territorio sostituendolo con cemento, la Lombardia ben 700 ettari.
La Lega è stata cofirmataria e concorrente di tutti i condoni edilizi sdoganati dai vai governo Berlusconi.
Di fronte all’ennesimo sfaldarsi del territorio ischitano, il governo inserisce nel decreto per l’emergenza Genova norme per condonare le vecchie costruzioni abusive demolite dal terremoto, addirittura finanziandone la ricostruzione nello stesso luogo, con risorse pubbliche. Queste ultime, com’è noto, vengono principalmente estratte dalle tasche dei lavoratori e delle fasce a reddito basso, le quali, con la flat tax a regime, sopporteranno sempre di più la gran parte del carico fiscale.
In Sicilia, a Casteldaccia, il fiume Milicia ha travolto ed ucciso nove persone, due famiglie, tra cui vecchi e bambini, i quali avevano inconsciamente affittato una villetta. Il proprietario aveva abusivamente costruito nell’alveo originario del fiume soggetto a certa esondazione. Il Comune aveva ordinato la demolizione, ma il proprietario aveva fatto ricorso al TAR per continuare a trarne illecito profitto. Ciò che uccide a Casteldaccia, ad Ischia può venire condonato.
In questo quadro usuale di fine anno, non manca chi coglie il destro per rinverdire la propaganda a favore della grande madre delle opere inutili: il TAV. Ovviamente, mai entrando nel merito, ma facendo come sempre appello ad una serie di luoghi comuni, uno più irritante dell’altro. Massimo Gramellini nel suo editoriale “Torino è fiera. Chiedete ad Annibale” si spinge addirittura ad identificare il TAV con la caparbietà dei Taurini di non cedere il passo, con la pertinacia dei Piemontesi nel costruire le opere resistendo a tutti i detrattori, come per il traforo del Frejus. Si evoca addirittura l’assedio dei francesi o la determinazione di Vittorio Emanuele Secondo nel mantenere ostinatamente lo Statuto Albertitno dopo il 1848.
Fantasia sempre, Emozioni e retorica una al giorno. Ragione mai.
Sono seguite nei giorni a venire varie manovre delle lobby torinesi per architettare una desiderata “marcia dei quarantamila” del popolo Sitav, la quale si è risolta in una risibile e teatrale chiassata di meno di trecento persone, cammellate sotto la pioggia da organizzazioni varie a coteè dei lobbisti storici.
Lasciando per un attimo da parte le diatribe tra i francesi e i conti di Maurienne evocati da Gramellini, per liquidare in poche parole l’inutilità e l’anacronismo di certe piazzate, è sufficiente ricordare un consolidato studio di esperti per nulla pregiudizialmente contrari alle “grandi opere” (Ponti, Brambilla ed Erba, Come migliorare la linea storica). Gli ingegneri avevano dimostrato piuttosto graniticamente - in tempi di maggiore vitalità commerciale – come il potenziamento della linea storica avrebbe consentito di smaltire agevolmente il traffico passeggeri (debole e oggi sempre più debole) e quello merci, anche conferendo la velocità necessaria. Sulle nostre ferrovie viaggiavano ad alta velocità i pendolino. Continuano a viaggiare sulle ferrovie svizzere. Il traffico merci potrebbe essere addirittura migliorato, magari vietando o ponendo vincoli ambientali al transito delle merci su gomma e trasferendole sui treni. Il tutto senza aver bisogno di pagare un costo triplo per risparmiare una mezz’ora inutile nella dinamica di quel tipo di trasporti. Quando il costo della tecnologia è alto, i mercanti non si nutrono di pubblicità o propaganda, ma preferiscono economiche navi o – se vogliono risparmiare tempo – altre vie più veloci del treno, quali gli aerei cargo.
Date loro torto, se potete.
Se poi qualcuno nel 2018 pensa ancora che – da passeggero – per andare da Torino a Parigi, sia più economico, sicuro ed ecologico il treno al posto di un moderno Airbus 320/21, di un Boeing 737, o anche solo di un Embraer 170, forse é questo qualcuno ad essere rimasto ai tempi dei Conti di Maurienne.
Soprattutto, questo orgoglio tardo-sabaudo, occorrerebbe spiegarlo alle persone che muoiono in un’inondazione, quando il territorio viene spolpato o lasciato a se stesso per gli interessi di speculatori e mafiosi.
E’ vero – peraltro – che tale revival è seguito ad uno improvviso sfruttamento della questione TAV da parte di uno dei partiti di governo, operazione che – da qualunque parte la si voglia vedere – lascia in bocca un sapore di mera propaganda elettorale in vista delle prossime elezioni regionali.
Nel famoso ordine del giorno No TAV, votato dal consiglio comunale di Torino, da nessuna parte si chiede al governo di annullare l’opera, né si raccomandano alla giunta specifiche decisioni, ad esempio sul piano urbanistico, che la ostacolino. In sostanza un puro esercizio di retorica e crtetinismo parlametare, per risolversi a chiedere l’ennesima analisi costi/benefici, da dilatare magari fino alla prossima consultazione utile, al solo fine di rimpolpare un po’ di consenso, dopo che per anni il Comune di Torino è stato ondivago, silente o quasi.
Neanche a dirlo, la Sindaca era opportunamente assente, in “missione a Dubai”…
L’altro partito che sostiene l’attuale governo a trazione leghista ha sicuramente guadagnato i voti di molti movimenti ambientalisti e democratici. A molti, al momento opportuno, ha voltato le spalle, privilegiando altri interessi. L’interesse del blocco statunitense a costruire l’alternativo oleodotto del TAP, gli interessi privati dei nuovi acquirenti dell’ILVA, i quali oggi mettono in atto quel tot di esuberi che secondo il Signor Di Maio non ci dovevano essere.
Per il movimento NOTAV, almeno una cosa potevano imporre nel contratto di governo, quali azionisti di maggioranza: una amnistia che cancellasse la persecuzione giudiziaria nei confronti della lotta all’opera, la quale non era una asfittica questione di urne, ma resistenza legittima a condotte antidemocratiche.
Non l’hanno fatto.
Non è dato sapere se non piacesse allo sceriffo Bonafede, il quale probabilmente sosterrebbe la punizione pure per il Comandante Valerio, oppure al team di pubblicitari della Casaleggio. Tuttavia, la questione, da sempre, viene risolta incaricando gli story-teller vicini al movimento di dare un po’ di opportuno fiato alla macchina retorica della propaganda.
Ma tornando al peggio ed ai peggiori, senza propaganda e sviamento delle questioni di merito, senza questo inutile teatro, i Governi dovrebbero rendere conto a chi subisce le devastazioni, spiegando loro perchè le risorse pubbliche non vengono mai utilizzate nella manutenzione del territorio, magari creando quel lavoro produttivo che in Italia manca.
Lavoro, non elemosina elettorale. Roba che costruisce veramente un reddito e combatte la precarietà, riconferisce dignità agli esseri umani ed all’ambiente in cui vivono. Magari prelevando un po’ di risorse a chi il pranzo continua a non pagarlo, trovando sempre il complice di turno che lo mette sul nostro conto.
Invece di fare buchi inutili in una montagna, occorrerebbe spendere per non far sgretolare quelle esistenti, ad ogni giorno dei morti che cade sulla Penisola.
Visto che Risorgimento e Italia vanno di moda, vorrei rispondere alle marce dei quarantamila in formazione, ed agli azionisti di un governo non diverso dai precedenti, adeguando le parole che Carlo Cattaneo usò per i Piemontesi della sua epoca: il progresso fatelo prima a casa vostra. Noi siamo già un pelo più avanti.
Nessuna quadra potrà essere trovata continuando a mantenere il medesimo sistema economico. Sovrano o meno, il capitalismo è sempre ricerca del profitto tramite sfruttamento, devastazione ambientale, guerra, chiunque sia il sultano di turno che a suo titolo occupa il trono.
Chi pensa in modo indipendente e razionale è oggi sicuramente in compagnia di pochi.
I serventi di turno – della maggioranza e dell’opposizione – avranno sicuramente modo di continuare a condurre tutti in un mondo peggiore del solito, soddisfando i propri interessi di partito.
Ma non é detto che ciò continui impunemente per sempre.
Anche lo spettatore coatto si ribella prima o poi alla cattiva qualità del film.
Prima o poi.
Ma si ribella.
Come Walter Fontan, Tancredi Galimberti, Gino Pistoni, i fratelli Piol.
Se si deve ricordare qualche piemontese illustre e caparbio, non c’è bisogno dell’antenato di sciaboletta, che difficilmente vedeva oltre le grazie della Bela Rosin.