Grande partecipazione al 4° sciopero nazionale di 36h che ha avuto inizio lunedì pomeriggio in Argentina convocato da diverse centrali sindacali, organizzazioni di sinistra e comuniste, movimenti sociali, contro i nuovi tagli e le politiche di austerità attuate e in preparazione del governo antipopolare di Macri. Raduni, manifestazioni, blocchi stradali si sono svolti lunedì (24 settembre) e ieri (martedì 25) nella capitale Buenos Aires con un atto in Plaza de Mayo partecipato da 500.000 lavoratori e in altre città con lo sciopero generale che ha avuto un grande successo in diversi settori del pubblico e privato. Chiuse le banche, paralizzati i trasporti, così come i servizi pubblici e il settore industriale privato.
In modo massiccio i lavoratori, disoccupati e pensionati, sono scesi in strada denunciando il cosiddetto “piano di salvataggio” di 3 anni accordato con il Fondo Monetario Internazionale col prestito di 50 miliardi di dollari in cambio di draconiane riforme per raggiungere gli obiettivi di riduzione del deficit e inflazione. Si tratta del prestito più importante mai elargito dal FMI e corrisponde al 10% del PIL argentino. Esso prevede una rapida riduzione del deficit per raggiungere il pareggio nel 2020 insieme al calo dell’inflazione al 17% nel 2019, 13% nel 2020 e 9% nel 2021, in modo da garantire il pagamento degli interessi del debito pubblico in gran parte in mano ai monopoli finanziari internazionali, che nel 2017 è incrementato di 45.488 milioni di dollari passando da 275.446 milioni di dollari a 320.934 milioni di dollari. Il prestito sarà elargito in tre tranche, a partire dalla prima di 15 miliardi con un controllo trimestrale, e comporterà durissimi tagli alla spesa sociale, ai servizi pubblici, ai salari, alle pensioni e ai sussidi, privatizzazioni e licenziamenti che colpiranno i lavoratori e le classi popolari argentine in un paese in cui circa il 60% della popolazione vive ai limiti o al di sotto della soglia di povertà mentre le pensioni minime non riescono a coprire un terzo del paniere di base.
L’inflazione (arrivata al 42%), con la svalutazione del peso argentino crollato in relazione al dollaro (per 1 dollaro sono necessari 42 pesos) e un tasso d’interesse della Banca Centrale al 60% (il più alto al mondo), ha già portato ad un brutale aumento del costo della vita con l’incremento del prezzo degli alimenti, dei combustibili e delle tariffe dei servizi, la perdita di potere d’acquisto dei salari, con una ondata di licenziamenti, chiusura di piccole e medie imprese e negozi, tagli al costo del lavoro, al sostegno sociale, al 50% dei ministeri. Più di 120 mila posti di lavoro sono stati persi a giugno 2018 nel settore sanitario e dell’assistenza, con un calo di produttività soprattutto nel manifatturiero e del commercio che fa schizzare la disoccupazione al livello più alto da dodici anni a circa il 10%. Le misure adottate dal governo sulla rinegoziazione dei salari sull’inflazione comporteranno, secondo alcune stime, un furto di oltre 10.000 pesos al mese nei salari e redditi dei lavoratori mentre 4 milioni di argenti soffrono la fame. Il governo spende più nel pagamento degli interessi del debito contratto che nei salari dei dipendenti pubblici e in quello che destina alla spesa pubblica. La speculazione pone il paese sull’orlo del fallimento con la svendita della produzione nazionale e delle risorse mentre miliardi di dollari saranno trasferiti nei conti di un pugno di speculatori finanziari e monopoli che scaricano sui lavoratori, sui contadini, agricoltori, sulla piccola impresa tutto il peso della crisi capitalista per una ristrutturazione a favore degli industriali, banchieri, compagnie petrolifere e minerarie, grandi proprietari terrieri (come la famiglia Benetton proprietaria di grandi estensioni di terre in Patagonia) ed altri settori imperialisti.
L’aggravamento della situazione ha portato il governo Macri a chiedere la concessione immediata del prestito previsto per il 2019 impegnandosi in un piano ancora più duro per raggiungere il “deficit 0”: così al taglio precedentemente concordato di 300.000 milioni di dollari si somma un nuovo taglio di 240.000 milioni per un totale di 540.000 milioni di dollari. Le politiche antipopolari sul piano sociale vanno di pari passo con quelle antidemocratiche e repressive con maggiori poteri d’intervento delle forze armate nella sicurezza interna compreso nella repressione delle proteste con la teorizzazione in nuove forme del “nemico interno”, come nella più nere pagine della storia del paese con la dittatura fascista.
Crisi sociale, finanziaria e economica ma anche politica con riflessi nella composizione del gabinetto di governo e guida della banca centrale argentina alla luce degli attriti nei settori della classe dominante argentina legate agli interessi delle potenze imperialiste che competono nell’influenza in Argentina e in America Latina. Trump ha salutato Macri alla recente Assemblea Generale dell’Onu a New York con un “eccellente lavoro” entusiasta dell’accordo con il FMI che fa parte di una strategia per far fronte alla penetrazione di capitali e all’influenza della Cina (e anche della Russia) nella regione. Così si rafforza la mano statunitense sull’Argentina, che si accompagna con l’introduzione di truppe e basi USA nel territorio nazionale influenzando la politica estera al servizio dei piani d’ingerenza e intervento di Washington in America Latina insieme alla rinuncia dei diritti sovrani sulle Isole Malvinas occupate dai britannici. Questo in un paese in cui vi è già installata una base cinese a Neuquén, con una serie di accordi tra Cina e Argentina che hanno inizio con il governo Kirchner nel 2009 e con la firma lo scorso anno (col governo Macri) di un accordo bilaterale di swap – lo scambio di flusso finanziario tra parti – per 70 miliardi di yuan (10,37 miliardi di dollari) per altri tre anni prestati dalla Banca Centrale cinese, valido solo per gli affari con la Cina. Inoltre, lo strategico porto di Ramallo (200 km a nord della capitale argentina) è aggiudicato ai russi con Gazprombank, vengono acquistati aerei e navi dalla Francia e materiale repressivo da USA e Israele.
Le lotte operaie e popolari che avanzano in Argentina stanno portando ad un grande indebolimento politico di Macri che gode però dell’appoggio di tutti coloro che beneficiano dalla svalutazione del pesos, dal dimezzamento dei salari, pensioni e piani sociali, e il sostegno di Trump e dei paesi UE mentre negozia anche con Cina e Russia. In questo scenario settori politici dell’area kirchnerista (ex presidente) chiedono le dimissioni del governo e le elezioni anticipate per un cambio di nome al governo, qualche ritocco e cambiamenti nella ripartizione tra gli imperialismi senza mettere in discussione il sistema capitalistico alla base delle sofferenze del popolo argentino, della svendita e dipendenza dai monopoli internazionali.