Da ormai una settimana sono in corso in Ecuador forti proteste contro il governo di Lenín Moreno. Quest’ultimo ha infatti recentemente stabilito tagli per miliardi di dollari sulla spesa pubblica attraverso una serie di riforme chiamate “paquetazo“, tra cui l’eliminazione dei sussidi statali che finora sono serviti a mantenere bassi i prezzi del carburante.
Moreno è al governo del paese dal 2017, succeduto al socialdemocratico Rafael Correa, di cui era vicepresidente. Una volta al governo, Moreno (scelto dallo stesso Correa) ha sostenuto politiche neoliberiste, ha rafforzato il legame dell’Ecuador con gli Stati Uniti e ha fatto condannare Correa, costretto alla fuga dal paese, e tutti i suoi collaboratori.
Il taglio ai contributi statali, che rappresenta un taglio per circa 1,3 miliardi di dollari, ed il conseguente aumento del prezzo del carburante (il gasolio da US$1.85 al gallone (circa 4 litri) a US$2.30, mentre il diesel da US$1.08 a US$2.27, un incremento di oltre il 120%) sono stati richiesti al governo ecuadoriano, insieme ad altre riforme e misure di austerità, direttamente dal Fondo Monetario Internazionale, in cambio di un credito di 4,2 miliardi di dollari.
Tra queste ci sono il taglio salariale fino al 20% nel settore pubblico, la riduzione delle ferie da 30 a 15 giorni per gli impiegati pubblici e il contributo di un giorno di stipendio mensile degli impiegati pubblici al fisco, instabilità lavorativa, privatizzazioni, licenziamenti, con sullo sfondo una riforma del lavoro che taglierà ulteriormente diritti e salari dei lavoratori, sia del pubblico che del privato. Mentre i tagli si abbattono sulle classi popolari, si elargiscono esenzioni, deduzioni e amnistia fiscale per i grandi capitali.
A seguito dell’annuncio del piano di riforma economica del 2 ottobre, hanno preso piede le proteste della popolazione, con la convocazione di due scioperi nazionali nella giornata del 3 ottobre e nella giornata di ieri, 9 ottobre, con manifestazioni di piazza gigantesche, blocchi stradali, violenti scontri con la polizia, assalti ai palazzi governativi, oltre 750 arresti e alcuni morti.
Incredible scenes in Quito today, as mass rallies gather to demand Lenín Moreno’s resignation. Moreno implemented deep austerity, betrayed Correa, sold out Julian Assange, censored media, repressed striking workers and the indigenous protests. His fall is only a matter of time! pic.twitter.com/NLJLHRgWaC
— Denis Rogatyuk (@DenisRogatyuk) 9 ottobre 2019
Le proteste hanno costretto il governo a dichiarare lo stato di emergenza della durata di due mesi, a imporre il coprifuoco in alcune aree della capitale Quito e a trasferire il governo del paese nella città di Guayaquil a 421 km a sud dalla capitale. Nella giornata dell’8 ottobre i manifestanti sono perfino riusciti ad irrompere nel palazzo dell’Assemblea Nazionale (parlamento), dove però non era in corso nessuna seduta parlamentare, mentre ieri hanno sfondato il palazzo presidenziale e occupato l’Assemblea Nazionale con i comitati di lotta degli indigeni.
????#URGENTE???? | Manifestantes rompen el cerco y llegan al Palación Presidencial de #Ecuador#RevolucionDeLosZanganos pic.twitter.com/zZGxE2TwLy
— Amauri Chamorro (@amaurichamorro) 9 octobre 2019
Nonostante le misure repressive e il dispiegamento dell’esercito, con centinaia di video in rete che testimoniano le violenze delle forze di polizia agli ordini del governo contro i manifestanti, militanti e attivisti sociali, le proteste non arretrano e non diminuiscono di intensità paralizzando il paese. In Amazzonia vari pozzi petroliferi sono stati occupati dai manifestanti e la produzione petrolifera è in calo di circa il 30%.
Alle proteste prendono parte anche gli indigeni membri del CONAIE (Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador) e della FEI (Confederazione dei Popoli, Organizzazioni Indigene Contadine dell’Ecuador), la principale centrale sindacale del paese, il FUT (Fronte Unitario dei Lavoratori) e movimenti sociali. «Ciò che ha fatto il governo è dare un premio alla grande banca, ai capitalista del paese e una grande punizione agli ecuadoriani poveri», ha dichiarato Mesías Tatamuez, presidente del FUT, che raggruppa vari sindacati del paese.
Moreno ha respinto ogni possibilità di cancellare i provvedimenti e non si dimetterà, potendo contare sull’appoggio degli USA, della Segreteria Generale della OEA (Organizzazione degli Stati Americani) e di sette paesi latinoamericani guidati da Brasile, Colombia e Argentina. Oltre alle misure economiche antipopolari, il governo di Moreno, subordinato all’imperialismo statunitense, sta cercando di riattivare la base militare di Manta e stabilire una base di operazioni aeree nelle Isole Galapagos, consentendo un pericoloso incremento della presenza militare statunitense nella continente.
La CONAIE, che ha mobilitato migliaia di suoi membri nel centro e nord del paese, ha denunciato che il governo Moreno si comporta «nel puro stile di una dittatura militare», ratificando «la permanenza della mobilitazione nazionale contro le misure economiche».
Anche diverse organizzazioni provinciali della CTE (Confederazione dei Lavoratori dell’Ecuador) hanno chiamato alla mobilitazione denunciando come «questo governo, è lo strumento nella strategia generale dell’imperialismo e delle oligarchie, per consolidare e ampliare il sistema imprenditoriale sfruttatore nel nostro paese e regione», con misure che «hanno un solo obiettivo, quello di accelerare la concentrazione di ricchezza nelle mani di 200 famiglie oligarchiche, delle imprese nazionali e straniere, sottomettendo il popolo ecuadoriano alla più spaventosa miseria».[1]
Attivo nella sollevazione popolare anche Partito Comunista dell’Ecuador[2] e la sua giovanile, che esprimono la solidarietà ai manifestanti e condanna del governo Moreno:
«Appoggiamo con decisione il comportamento del popolo ecuadoriano di rifiuto del Decreto Presidenziale che alza il prezzo dei combustibili, che ha alzato immediatamente il costo della vita, causando danni irreparabili alle classi popolari, per cui si esige l’abrogazione immediata dell’infame decreto. Paralizzare il paese è una manifestazione eroica del popolo ecuadoriano nell’esercizio del suo diritto costituzionale alla resistenza di fronte al nefasto governo di Moreno, le cui azioni rispondono agli ordini dell’imperialismo nordamericano, attraverso il Fondo Monetario Internazionale. Lo stato di eccezione, lungi dall’arrestare il fermo atteggiamento dei lavoratori, degli autisti, organizzati o no, dei contadini e degli indigeni, ha conquistato l’unità di tutte le forze democratiche, progressiste e rivoluzionarie in difesa dei più profondi interessi del popolo ecuadoriano. Il PCE chiede la cessazione immediata della repressione poliziesca e la libertà di tutti i cittadini detenuti nelle città e nelle campagne ecuadoriane durante i giorni di protesta, chiediamo la cessazione immediata della repressione popolare. Questa situazione dimostra l’inettitudine di questo governo, motivo per cui il popolo deve decidere per le dimissioni immediate dell’attuale amministrazione di governo e lo sostituisca con un governo democratico e popolare che convochi un’Assemblea Costituente Nazionale al servizio del popolo.»
Una posizione analoga è giunta anche dalla Federazione Sindacale Mondiale[3]:
«La Federazione Sindacale Mondiale […] esprime la sua solidarietà internazionalista e di classe alla classe operaia e al popolo ecuadoriano che sono in lotta contro il “paquetazo” di misure antioperaie del governo di Lenín Moreno. La FSM solidarizza con le mobilitazioni del popolo dell’Ecuador contro questa serie di misure che eliminano i sussidi ai carburanti e riducono i livelli salariali dei dipendenti pubblici, oltre ad altri elementi. Inoltre, respingiamo nella maniera più netta la repressione statale che vuole piegare la resistenza popolare. La FSM prosegue con passo fermo dalla parte delle giuste lotte del popolo dell’Ecuador e sollecita il governo ad attuare e soddisfare le rivendicazioni del popolo.»
Diversi comunicati di solidarietà e sostegno alla lotta del popolo ecuadoriano sono giunti dai partiti comunisti della regione, tra cui il PC del Messico, Paraguay e Venezuela.
Dall’Ecuador al Brasile, dal Perù all’Argentina, da Haiti a Porto Rico, alla riattivazione della guerriglia delle FARC-EP in Colombia e la continua resistenza del popolo venezuelano all’aggressione imperialista, la regione dell’America Latina e Caraibi è attraversata da una nuova ripresa della lotta di classe dei lavoratori e ribellione popolare contro le politiche neoliberiste, i governi e le ingerenze imperialiste, che necessitano di una direzione in rottura con il sistema capitalista superando le illusioni e debolezze della corrente del cosiddetto “progressismo”.
[1] https://www.facebook.com/jcecuadorCC/photos/a.794530783942268/2583439001718095/?type=3&theater
[2] Dal post del Partito Comunista dell’Ecuador su Facebook, 8 ottobre 2019.
[3] Ecuador: Solidaridad FSM con pueblo ecuatoriano, wftucentral.org, 8 ottobre 2019.
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