Pubblichiamo l’intervista di “Cumpanis.net” a Alberto Lombardo, direttore de “LaRiscossa.info”
Le rivoluzioni proletarie invece, quelle del secolo decimonono, criticano continuamente se stesse; interrompono ad ogni istante il loro proprio corso; ritornano su ciò che già sembrava cosa compiuta per ricominciare daccapo, si fanno beffe in modo spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle debolezze e delle miserie dei loro primi tentativi; sembra che abbattano il loro avversario solo perché questo attinga dalla terra nuove forze e si levi di nuovo più formidabile di fronte ad esse; si ritraggono continuamente, spaventate dall’infinita immensità dei loro propri scopi, sino a che si crea la situazione in cui è reso impossibile ogni ritorno indietro e le circostanze stesse gridano: Hic Rhodus, hic salta! Sei a Rodi, ora devi ballare! (Marx, Il 18 Brumaio)
Ogni volta che si affrontano tematiche “alte”, si vedono spesso inarcare i sopraccigli di coloro i quali pensano che certe tematiche al giorno d’oggi siano puro divertissement per intellettuali annoiati. Cosa ne pensi?
La lotta nel campo teorico è di primaria importanza per l’organizzazione proletaria rivoluzionaria.
«Secondo Engels, esistono non due forme della grande lotta socialdemocratica (politica ed economica) – come si pensa abitualmente fra noi – ma tre, ponendosi accanto a queste anche la lotta teorica.»
«Senza il precedente della filosofia tedesca e precisamente della filosofia di Hegel, il socialismo scientifico tedesco – l’unico socialismo scientifico che sia mai esistito – non sarebbe mai nato. Se tra gli operai non ci fosse stato questo senso teorico, il socialismo scientifico non si sarebbe mai cambiato in sangue e carne in così grande misura come è effettivamente accaduto.» (Citazione di Engels nel Che fare? di Lenin).
Nel campo teorico occorre inserire le Tre Fonti del marxismo di cui parla Lenin: la filosofia, l’economia e il socialismo, ossia la lotta di classe. Ebbene, nei decenni abbiamo assistito a un progressivo attacco al marxismo che è stato portato fin dall’inizio cercando di distruggere l’unità complementare di queste tre potenti armi. Vediamo con attenzione.
Se alla prospettiva del socialismo noi sottraiamo la scientifica critica al sistema di produzione capitalistico, su che basi questa nuova società può esser eretta? Perdiamo la visione scientifica secondo la quale il socialismo scaturisce dalla distruzione del sistema di accumulazione privato del plusvalore, per sostituirlo con la socializzazione dei mezzi di produzione a guida centralizzata.
Senza partire dalla natura del capitalismo non possiamo orientarci nella costruzione futura. Cosa potremmo fare? Brancolare tra tesi egualitaristiche, limitarci al problema della distribuzione o redistribuzione del profitto, promuovere le tesi premarxiste solidaristiche, bene che va tornare alla “proprietà è un ‘furto’!” di Proudhon.
Tutte cose che fanno sorridere il capitalismo: oggi passano per bolscevichi i Varoufakis ed il campione dei popoli oppressi è papa Francesco. Nel concreto, nella più spicciola contrattazione aziendale i proletari sono schiacciati dall’ideologia che dichiara “giusto” che ci sia un profitto, altrimenti perché l’“imprenditore” lavorerebbe per “darci” un lavoro? “Siamo tutti sulla stessa barca”.
Al massimo i lavoratori si lamentano e salgono sui tetti quando il lavoro glielo portano via, quando è troppo tardi; c’è qualcuno che spiega ai lavoratori che il profitto “giusto” è uguale a zero? Il risultato è che la politica dei proletari si è ridotta alla contrattazione sindacale ed anche questa si è svuotata, non essendo più sorretta da una scientifica visione di classe.
Ma sul piano della riflessione teorica e filosofica, quali sono le conseguenze di questa situazione?
Vediamo subito cosa ha rappresentato l’assalto borghese sul fronte filosofico. “Ma chi se ne frega della filosofia?”, “non facciamo filosofia!”, “i problemi dei lavoratori sono altri!”. Vorrei chiamare a testimonianza i nostri Maestri che forse di lotta di classe e di rivoluzione se ne intendevano un po’ più dei nostri “difensori dei lavoratori”.
Lenin, Sul significato del materialismo militante, 12 marzo 1922:
… è necessario rendersi conto che nessuna scienza naturale e nessun materialismo possono reggere il confronto nella lotta contro l’assalto delle idee borghesi e il ripristino della visione del mondo borghese se non si poggia su una solida base filosofica. Per tenere testa a questa lotta e portarla a una conclusione vittoriosa, lo scienziato naturale deve essere un materialista moderno, un aderente cosciente al materialismo rappresentato da Marx, cioè deve essere un materialista dialettico.
Faccio presente che questa cosa Lenin non la scrive mentre è in esilio, ma mentre sta guidando la più eroica e difficile battaglia per la costruzione del primo stato socialista al mondo.
Gramsci. Quaderno 13 (XXX):
“In sede teorica, il marxismo non si confonde e non si riduce a nessun’altra filosofia: esso non è solo originale in quanto supera le filosofie precedenti, ma è originale specialmente in quanto apre una strada completamente nuova, cioè rinnova da cima a fondo il modo di concepire la filosofia.”
Stalin, Anarchia o socialismo?
Il marxismo non è solo la teoria del socialismo: è una concezione completa del mondo, un sistema filosofico, dal quale sgorga naturalmente il socialismo proletario di Marx. Questo sistema filosofico si chiama materialismo dialettico. Cosa significa staccare la concezione completa del mondo dalla lotta politica? A che serve avere una concezione di base materialistica? Se la lotta di classe è solo un fatto etico, che non poggia le basi su una ideologia completa, si aprono le porte alle concezioni più “stravaganti”: misticismo, idealismo, individualismo, cosmopolitismo.
Le “storture” della società si possono modificare convincendo gli “uomini” che il “bene” comune sta nell’”amore”. Tutte parole bellissime che, frullate insieme, restituiscono la summa di tutto ciò che impedisce agli sfruttati di capire dalla propria storia qual è la strada e distogliersi dall’unica possibile, la via leninista.
Dall’ecologia ridotta a “giardinaggio”, ai diritti civili contrapposti artatamente contro i diritti sociali, ai gusti individuali che dividono anziché creare varietà. Ogni cosa viene usata purché i lavoratori, gli sfruttati si dividano anziché unirsi nell’unica lotta che davvero può risolvere tutt’insieme i mali di questa società.
Uno degli aspetti classici della lotta teorica marxista è quella della critica all’economia politica. Quali sono le tue riflessioni nel merito?
Nell’introduzione del 1857 alla Critica dell’economia politica Marx ci indica la strada sulla quale dobbiamo avanzare.
Sembra corretto cominciare con il reale ed il concreto, con l’effettivo presupposto, quindi per esempio nell’economia con la popolazione, che è la base e il soggetto dell’intero atto sociale di produzione. Ma, ad un più attento esame, ciò si rivela falso. La popolazione è un’astrazione, se tralascio ad esempio le classi da cui essa è composta. A loro volta, queste classi sono una parola priva di senso, se non conosco gli elementi su cui esse si fondano, per es. lavoro salariato, capitale ecc.
Primo. L’oggetto dell’analisi non sono dei meccanismi economici astratti, ma una società concreta, la società capitalistica attuale, storicamente e geograficamente determinata; benché la produzione materiale, che è il tema dell’indagine di Marx, si presenti nelle varie epoche con caratteri comuni, almeno nel senso «che il soggetto, l’umanità, e l’oggetto, la natura, sono gli stessi», in concreto, quando si parla di produzione, «si parla sempre di produzione a un determinato stadio dello sviluppo sociale» e, nel caso in questione, della «moderna produzione borghese».
Anche la distribuzione, lo scambio, il consumo, vanno studiati nel rapporto dialettico con la produzione, il quale assume in ogni stadio dello sviluppo sociale certe caratteristiche specifiche storicamente determinate. Il metodo d’indagine di Marx è dunque un metodo storico, che si differenzia nettamente dal vecchio metodo metafisico, ma che respinge in pari tempo il procedimento che tende «ad afferrare grossolanamente il materiale empirico», a trascurare la differenza di forma dei rapporti economici e a fondarsi sull’«apparenza empirica» (Marx, Teorie sul plusvalore, Prefazione di G. Giorgetti, Ed. Riuniti, 1971).
Secondo. Si pone subito la questione che la società non è un meccanismo statico, ma un corpo organico in movimento che ha una sua evoluzione.
Terzo. Il fine della ricerca è svelare la legge di tale movimento.
Quarto. L’oggetto elementare della società capitalistica viene individuato da Marx nella merce; ciò in un primo momento ci appare come una cosa singolare, in quanto la società è costituita da uomini e quindi sembra naturale assumere come oggetto elementare il singolo uomo costituente la società. Questo punto di partenza sarebbe errato perché in questo modo non si coglierebbe quale sia la relazione che si instaura tra gli uomini dentro la società capitalistica: la società non è solo un insieme di individui, ma è costituita e determinata soprattutto dalle relazioni che essi istaurano tra loro.
Qual è dunque il punto focale di quest’analisi? Cosa si nasconde dietro a questo “scambio di merci”?
L’oggetto che crea le relazioni tra gli individui nella società capitalistica è individuato da Marx dalla merce; come vediamo nel Capitale, dopo lunghi passaggi Marx sarà in grado di farci scoprire che lo scambio di merci in realtà nasconde le relazioni sociali che si istaurano tra gli uomini per la produzione delle stesse.
Ora, il materialismo di Marx ed Engels derivano direttamente dall’idealismo di Hegel per “rovesciamento” del ruolo tra idea e materia. Ma in questo rovesciamento non attua un mero scambio di posizioni, lasciando inalterato tutto il resto. La cosa più importante nella dialettica materialistica è il rifiuto della costruzione del “sistema”, su cui naufragò irrimediabilmente il progetto hegeliano, e invece l’esaltazione dello studio dei processi.
Diceva Engels, poi ripreso anche da Lenin,
Ad ogni scoperta che fa epoca nelle scienze naturali esso [il materialismo] deve cambiare la sua forma, e dacché anche la storia è stata trattata da un punto di vista materialista, si schiude anche qui una nuova via all’evoluzione.
Cosa c’è da aggiungere? Un bel nulla. C’è solo da mettersi a lavorare duro nelle scienze per attuare il programma di Engels che è ciclopico, perché si tratta di stare dietro all’enorme sviluppo degli studi scientifici e tecnologici dell’epoca moderna.
Quindi potremmo pensare che la strada, perlomeno da un punto di vista teorico, sia ormai chiara e perfettamente tracciata…
Purtroppo i nemici giurati del proletariato hanno affilato le armi. Siamo riusciti a dare un’interpretazione materialistica alla meccanica quantistica nel solco di quanto tracciato da Lenin? Direi di no. I tentativi fatti in URSS dopo la morte di Stalin hanno portato a soluzioni deboli, contraddittorie, addirittura spacciando per “dialettica” l’idealismo e l’eclettismo più sfrenato.
Oggi siamo in grado di resistere all’attacco concentrico che viene portato al materialismo da pseudofilosofi che da fenomeni fisici, quali l’entanglement, fanno derivare la “fine della realtà”? Siamo capaci di difendere l’opera di Lenin contro gli empiriocriticisti? Oggi il meccanicismo di ritorno porta l’attacco all’esistenza del libero arbitrio.
Non ha importanza che questi attacchi concentrici dicano esattamente l’uno l’opposto di quello che dice l’altro.
L’idealismo dice che la realtà non è come noi la vediamo (che scoperta!) e che quindi è irriducibilmente inconoscibile e quindi dobbiamo limitarci ai “modelli”. Il Cardinale Bellarmino, che conduceva il processo contro Galileo, non potrebbe essere più felice: “tu scrivi i modelli, a dire poi com’è la realtà ci penso io!”. Ma la cosa che supera ogni pudore è che ora il ruolo giocato dai reazionari oscurantisti lo svolgono gli “scienziati” filosofi.
Quindi “la realtà non esiste, è solo una ‘relazione’”, non si sa tra cosa, un ponte tra due sponde che non esistono: una grottesca caricatura della dialettica. Vengono esaltati filosofi che al loro tempo avevano posto delle domande serie, che fecero avanzare la razionalità umana (penso a Hume, Bacone e persino lo stesso vescovo Berkeley), domande che, spacciate per risposte, oggi svelano tutto il loro decadente e reazionario influsso.
D’altro lato il rigurgito del meccanicismo: il povero Laplace viene strapazzato e il suo rivoluzionario punto di vista che distruggeva l’idealismo, attraverso un determinismo ancora immaturo a causa dei limiti storici scientifici in cui si trovava, viene usato per annichilire la volontà umana.
Qui si va pure oltre il Cardinal Bellarmino: scende in campo la più putrida predestinazione di stampo luterano e calvinista, che non a caso è l’ideologia su cui si è fondato il capitalismo.
Schiacciati tra l’indeterminismo assoluto della “realtà non esiste” e il meccanicismo assoluto del “libero arbitrio non esiste”, dovremmo forse assistere impotenti alla resa del materialismo e la vittoria dell’irrazionalismo più sfrenato?
Messa così, la prospettiva pare drammaticamente priva di vie d’uscita. Ma secondo te dietro a queste contorsioni del pensiero sta la pura speculazione filosofica, o vi sono altri fini, più o meno ben celati?
Oggi i filosofi più in voga tra gli scienziati sono Hume e Popper – mi scuso per l’accostamento tra un gigante e un nano, ma è purtroppo così. L’appropriazione del gigante da parte del nano ha fatto sì che tutto quello che potrebbe suonare come “senso teorico”, su cui ci ammaestrava Engels, viene bollato come “metafisica”; risultato è la costruzione di una vera metafisica basata sull’accettazione che “afferrare dati senza criterio”, purché siano tanti (il festival dei Big Data), dia la possibilità di costruire modelli data-driven, ossia senza bisogno dell’astrazione.
Si spacciano per indiscutibili successi quelli ottenuti dai padroni dei very Big Data, senza tenere conto che quei padroni una finalità, una teoria, una ideologia, nella testa ce l’hanno eccome. Altro che data-driven! quelli sono profit-driven.
Tornando più vicino alla concretezza della prassi politica, quali sono a tuo avviso le tematiche più attuali su cui svolgere la famosa “lotta teorica” tanto preconizzata da Lenin?
Indico di seguito i tre punti che ritengo essenziali per ciascuno degli ambiti: filosofia, economia, politica.
In filosofia occorre riprendere con forza la battaglia in difesa del materialismo scientifico, quindi storico e dialettico. Nel materialismo storico il punto essenziale e l’analisi concreta della situazione internazionale, in particolare il problema riguardante la valutazione dell’imperialismo, i pericoli di guerra e l’analisi delle forze che si oppongono validamente a questa tendenza.
Da questa analisi deriva immediatamente l’atteggiamento che i partiti comunisti devono tenere a livello internazionale e nazionale rispetto agli schieramenti in campo; l’analisi di come impatta a livello della lotta di classe in ciascun paese l’aspra lotta che l’imperialismo, capitanato dagli USA, sta conducendo contro tutto ciò che si oppone ai suoi voleri; come impatta la perdita di “presa” che l’imperialismo ha nei paesi subordinati e nelle neocolonie; come impatta nella riorganizzazione del movimento comunista internazionale.
Nel materialismo dialettico il punto essenziale è riprendere la battaglia dentro il dibattito scientifico ad ogni livello (divulgativo, accademico, scolastico) contro il rigurgito dell’oscurantismo, dell’irrazionalismo. Non è un fatto secondario. Sono potenti narcotici che l’ideologia borghese ha ripreso ad inoculare prepotentemente nella società tutta, sono visioni che portano alla paralisi, all’accettazione supina della realtà, al trionfo del TINA (there is no alternative).
In economia occorre riprendere il marxismo nel senso più ortodosso e integrale, respingere i vari “aggiornamenti”, “riletture” e quant’altro. Il mondo di oggi per certi aspetti dei suoi meccanismi economici è molto più simile a quello che vissero Marx ed Engels, ma per altri versi dall’analisi marxista non può discendere per via meccanica alcuna ricetta.
Se il marxismo non è solo metodo, ma è anche acquisizioni scientifiche preziosissime, non è neanche una “previsione all’osteria della storia”. Lo studio della storia, di tutta la storia dell’umanità, nei vari secoli e nei vari paesi, deve essere ripresa per capire le linee di tendenza, le finalità che il movimento operaio si deve dare nel concreto oggi.
In politica occorre capire quali sono le forze che possono e devono essere aggregate e quelle che devono essere isolate nella lotta di classe; se è vero che la classe operaia è cambiata negli ultimi cento anni, è anche vero che è tutt’altro che scomparsa, e non solo in Asia.
Le innovazioni produttive provocano in occidente, e in particolare nel nostro paese, la riduzione delle grandi concentrazioni operaie, la loro frammentazione salariale e sindacale. I lavoratori sono messi gli uni contro gli altri. Non solo tradizionalmente italiani e immigrati, ma anche giovani e vecchi, donne e uomini.
Oggi vi è un’altra divisione gravissima: tra salariati (e in particolare i dipendenti pubblici) e gli autonomi; il nodo è riunirli tutti, ma sotto la prospettiva del socialismo e non di una rivendicazione di mera difesa.
Concludendo, mi piacerebbe chiederti quali sono a tuo avviso i punti chiave per la ricostruzione di una prospettiva Comunista in Italia
I nodi sono tre: l’unità, l’unità e l’unità. Mi spiego.
L’unità dei comunisti. Credo che tutti i comunisti debbano accettare il fatto che la forma movimentista eclettica di Rifondazione comunista sia la strada più sbagliata che esista; è la strada che ha sempre indicato la socialdemocrazia e ha portato ai fallimenti più dolorosi il movimento operaio, dal fascismo al cretinismo parlamentare.
I punti cardine essenziali sono: la collocazione internazionale, la collocazione europea, la collocazione nazionale. Ma sono punti che non si schiodano facilmente se prima non si fa chiarezza definitiva sul rapporto con le forze opportuniste che stanno dentro e fuori gli stessi partiti comunisti.
Quindi mai pateracchi elettorali che si sfasciano alla prima curva, men che meno cedimenti per acchiappare (forse) un consigliere di quartiere. Ma anche valutazione storica tagliente sulla storia del movimento comunista italiano dal 1921 al 1991 e poi ai giorni nostri.
Veniamo alla seconda “dimensione” dell’unità.
L’unità dei lavoratori tutti. Prese di posizioni chiare in difesa di chi lavora per vivere; bisogna uscire dalla gabbia mentale che ci fa litigare per strapparci le simpatie di chi era rimasto vicino alle nostre idee, cosa perfettamente inutile visto tra l’altro che ci odiamo cordialmente gli uni con gli altri.
I nostri interlocutori sono là fuori, che non votano più o che votano a destra per disperazione.
Verità, franchezza, ruvidità, seria e mai folkloristica; i lavoratori vogliono, come al solito, sentire parlare dei loro problemi e delle proposte fattibili e rivoluzionarie che i comunisti propongono.
Si badi bene: dire fattibili e rivoluzionarie insieme non è un ossimoro, ma una necessità. Le proposte dei comunisti devono essere tali da essere comprese da tutti, ma tutti devono comprendere che non si attuano non perché non si possono fare, ma perché il potere borghese, il sistema capitalistico basato sul massimo profitto non le vuole fare.
Dalle tasse, alle chiusure aziendali, dall’Unione Europea alla NATO. Solo così i lavoratori si possono unire sotto le bandiere della prospettiva socialista e possono riconoscere il partito comunista come il loro partito.
E la “terza unità”?
L’unità sindacale. È il punto di partenza, ma quello più difficile. Lenin ne L’estremismo ci ha insegnato che i comunisti, al contrario di ciò che concerne l’organizzazione politica, devono stare, per quanto è possibile, dentro i sindacati reazionari, se questi vedono l’adesione dalla maggior parte dei lavoratori, e non creare sindacatini che non si fanno riconoscere come reali avanguardie.
Naturalmente questa presenza deve essere la più critica possibile nei confronti delle dirigenze reazionarie, deve dare massimamente fastidio, le deve “smascherare”, fino al punto in cui i militanti comunisti vengono espulsi e allora possono tirarsi dietro la maggior parte dei lavoratori sui temi reali.
La situazione in Italia è particolarmente grave: i sindacati più “rappresentativi”, come amano farsi chiamare e come li hanno battezzati i padroni, non hanno più niente di cui essere smascherati; ogni giorno è un tradimento, talmente imbarazzante che gli stessi quadri intermedi della CGIL non sanno cosa dire.
Purtroppo è qualcosa di complesso e varia da situazione a situazione analizzare se l’opposizione interna CGIL non sia che un contenitore dove viene incanalata la protesta e l’insoddisfazione per sterilizzarla, o localmente possa costituire un lago dove i comunisti possano nuotare.
Dall’altro lato il sindacalismo di base, o di classe, stenta a occupare posizioni che siano, se non occasionalmente, frutto di reali spostamenti di masse operaie. I comunisti non possono stare a guardare, ma non possono essere la “farina” con la quale si fa il sindacato di classe, ma devono esserne il “lievito”.
Quindi, presenza ai cancelli, piani di lavoro politico costante sviluppato per “campagne” territoriali e settoriali. Difficile, faticoso, ingrato. Ma … Hic Rhodus, hic salta!