di Franco Specchio
La Corte d’Appello reintegra i 5 operai che inscenarono l’auto-impiccagione di Marchionne. Non è una vittoria della giustizia borghese, è la vittoria delle lotte proletarie. Rovesciata dalla Corte d’Appello di Napoli la sentenza del Tribunale del lavoro di Nola, con la quale era stato rigettato il ricorso avverso al licenziamento dei 5 compagni operai dello stabilimento di Pomigliano della Fiat Chrysler Automobiles, avvenuto nel giugno del 2014. I compagni Mimmo Mignano, Marco Cusano, Antonio Montella, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore hanno festeggiato la sentenza in Piazza Municipio a Napoli, dove dallo scorso 4 settembre avevano allestito e tenuto un presidio permanente, insieme ai lavoratori ed ai cittadini che li hanno sostenuti in questi mesi. «È stata una battaglia dura, ma abbiamo vinto, armati solo di una pietra, come Davide contro Golia» ha affermato il compagno Mignano.
I 5 compagni operai di Pomigliano sono da sempre conosciuti per la loro combattività e per la coerenza dei loro comportamenti, personali, sindacali e politici; a causa di ciò erano stati deportati nel noto reparto confino, nelle migliori tradizioni inaugurate da Valletta negli anni ’50 a Mirafiori, e ovviamente relegati nelle peggiori dinamiche di mobilità. Infine erano stati licenziati dalla FCA perché avevano mostrato un manichino auto-impiccato raffigurante l’amministratore delegato dell’azienda, il noto padrone Sergio Marchionne. Ciò avveniva nel corso di una manifestazione di protesta per l’ennesimo tra i tanti suicidi di lavoratori della loro fabbrica, suicidi dovuti alla precarietà estrema ed al terrore della perdita anche dell’ultima speranza di reinserimento in produzione.
Ora, dopo oltre due anni dal licenziamento, i cinque operai sono stati reintegrati sul posto di lavoro. A stabilirlo è una sentenza della Corte d’Appello di Napoli, che, accogliendo il ricorso avverso al licenziamento elaborato e presentato dal valoroso avvocato Pino Marziale, ha decretato che la “rappresentazione scenica” era relativa a un finto suicidio “e non un omicidio”. Di conseguenza, “per quanto macabra, forte, aspra e sarcastica, non ha travalicato i limiti di continenza del diritto di svolgere, anche pubblicamente, valutazioni e critiche dell’operato altrui, che in una società democratica deve essere sempre garantito”. Non è stata neppure riconosciuta alcuna “istigazione alla violenza”, come invece aveva formalizzato, non senza sfiorare il ridicolo, il Lingotto nelle lettere di licenziamento.
Questa vittoria, come scriviamo nel titolo, non è stata però un’affermazione della cosiddetta giustizia borghese, bensì il risultato delle mobilitazioni che la classe operaia campana ha voluto e saputo organizzare contro il licenziamento per rappresaglia dei 5 compagni, cui in effetti veniva contestato addirittura il diritto alla critica. Migliaia e migliaia sono state le sottoscrizioni, compresa ovviamente quella del nostro Partito, dell’appello che ha raccolto nella protesta i lavoratori e le organizzazioni conflittuali di tutta Italia, ma anche sinceri democratici, oltre che autorevoli intellettuali ed artisti.
Era stato immancabilmente il nostro maestro Karl Marx a preconizzare, segnatamente nel suo “Critica all’economia politica”, che sarebbe stata proprio la borghesia ad attaccare i capisaldi della sua produzione ideologica, dalla democrazia formale per finire alle libertà di opinione, costretta dalle ferree leggi economiche che il suo stesso sistema di produzione avrebbe imposto. Oggi la classe operaia nello scontro centrale capitale-lavoro difende come sempre i diritti collettivi, a partire dalle fondamentali lotte contro le repressioni ed i licenziamenti, ma sa e deve anche difendere i diritti un tempo affermati dalle rivoluzioni borghesi, ed oggi travolti dall’interesse del capitale monopolistico internazionale. Riaffermiamo dunque il diritto all’ironia, soprattutto quella che si solleva dalla vaste masse oppresse. E per i padroni… una grande risata li seppellirà !