Scarica PDF
Oggi, in Italia, assistiamo ad una deconcettualizzazione del termine e al suo uso spregiudicatamente propagandistico. Rossobruno è etichetta dispregiativa con cui liberali, libertari e “ex comunisti” convertitisi al globalismo e all’atlantismo delegittimano nel dibattito democratico i marxisti-leninisti, i socialisti internazionalisti[6] e la sinistra sovranista costituzionale[7].Di fatto le principali derive revisioniste del nostro tempo – apertura all’identity politics di stampo statunitense, al cosmopolitismo senza radici e all’immigrazionismo borghese, utopie di “riforma dell’Unione Europa dall’interno” e anacronistici “fronti popolari” con la sinistra borghese – vengono giustificate spesso con il pretesto della lotta al rossobrunismo.
I rossobruni veri e propri quindi non esistono? Esistono sì, e non sono pochi, ma il conflitto di cui sopra li riguarda solo saltuariamente e incidentalmente. Il conflitto vero, infatti, è quello tra marxisti/socialisti e sinistra neoliberale/antimarxista (ovvero la sinistra oggi rappresentata in Parlamento, e anche una parte di quella extraparlamentare).
Diego Fusaro[8] ha definito pubblicamente così il rossobrunismo:
Ci sono elementi di verità in questa analisi, ma l’esposizione, se confrontata a quella fatta finora è carente, inadeguata e imprecisa; tanto meno sono condivisibili e accettabili la collaborazione con alcuni settori del nazifascismo italiano e le conclusioni politiche di Fusaro: avere «idee di sinistra e valori di destra»[9].Nell’epoca in cui il capitalismo è nella sua fase imperialistica come si può predicare l’unione con i fascisti che dell’imperialismo rappresentano l’agente più terribile? Non val la pena approfondire ulteriormente tale questione posta da settori dell’intellettualità che, in quanto dimentichi del leninismo, hanno cercato di riapplicare assai malamente la lezione di Marx, scadendo in conseguenze filosofico-politiche riprovevoli che non solo non hanno più niente a che fare con il marxismo, ma diventano un’altra arma ideologica a disposizione della borghesia nella sua battaglia culturale quotidiana. Un’arma che si concretizza nel dare spazio ai presunti auto-definitisi “marxisti”, “comunisti”, “compagni” che con le loro chiacchiere nei talk-show televisivi servono solo nei fatti a screditare ulteriormente tra le masse il marxismo, ridotto da questi “intellettuali” a macchietta incapace di dare soluzioni. Anche quei pochi spunti progressisti, di critica ai funzionamenti attuali della società, rimangono inoperativi, ridotti ad una critica meramente teorica, talvolta fondata su basi reazionarie, e sempre e comunque totalmente slegata da una prassi politica concreta.
C’è un confine nella normale dialettica interna al campo comunista. Non si possono accettare pensieri nazionalisti, razzisti o in qualche pur morbida maniera “esclusivisti”. Non si può cioè pensare che i diritti debbano essere riservati eternamente solo ad alcune comunità umane, andando ad escluderne altre per criteri di etnia, religione, lingua, sesso, ecc. Ci sono ragioni accettabili per considerare comunista solo chi utilizza e coniuga opportunamente le categorie di patriottismo, internazionalismo, materialismo storico (e dialettico), lotta di classe, imperialismo, ecc.Partendo dal patrimonio del marxismo-leninismo si può discutere su alcune questioni tattiche, strategiche e di teoria ancora insolute; non sono poche e riguardano anche la dialettica e la concretizzazione dei diritti sociali e civili, oltre che le differenti caratterizzazioni nazionali al socialismo. Su questi temi i comunisti nel resto del mondo (cinesi, cubani, coreani, portoghesi, ecc.) sono molto più avanzati di noi italiani, che scontiamo ancora il retaggio dell’eurocomunismo.
Tra i temi strategici del dibattito troviamo quelli del potere politico ed economico: il rossobruno rifiuta la lotta di classe e considera prioritario non l’obiettivo del miglioramento sociale della classe lavoratrice, ma la difesa strategica della sovranità nazionale in un’ottica corporativa e interclassista. In questa ottica non c’è un nesso tra la sovranità nazionale e quella popolare. Si arriva così a elaborare concetti ambigui come «economia di mercato sovrana» che diventano chiacchiere se congegnate in continuità con il mantenimento di un regime borghese. Il rossobruno non propone la presa del potere politico ed economico da parte della classe lavoratrice, ma nei casi migliori si limita a proporre una moderna “aristocrazia borghese” illuminata, che non metta in discussione il controllo sociale e politico dei mezzi di produzione dell’attuale classe dominante. Il “welfare state” non è implicito per il rossobruno, così come in generale alcuna forma di regime sociale avanzato. Qualora vi sia tale rivendicazione, essa non cessa di essere ambigua, se non accompagnata dalla messa in discussione della struttura imperialista del paese.
Ben diverso è il discorso del “socialismo di mercato”, ossia di un regime in cui il potere politico resta saldamente in mano alla classe lavoratrice organizzata dalla sua avanguardia, il partito comunista. Il potere economico viene in questo caso spartito consapevolmente e in spazi più o meno limitati con la borghesia nazionale non come obiettivo strategico, bensì tattico, con lo scopo di sviluppare le forze di produzione, creando ricchezza sociale che, seppur redistribuita in maniera inizialmente diseguale, è una delle condizioni concrete per il futuro passaggio al socialismo.
Dietro la normale dialettica del dibattito democratico interno al campo marxista-leninista c’è sempre il pericolo del revisionismo, come mostra la crescita di certe correnti reazionarie nei partiti comunisti della seconda metà del ‘900: si pensi all’ala migliorista nel PCI, o alle correnti riformiste e nazionaliste rafforzatesi nel PCUS dagli anni ‘70. Tale pericolo è ancora più accentuato oggi, sia per la fase di sbandamento ideologico (soprattutto europeo) conseguente al crollo del muro di Berlino, sia per i rischi insiti nel socialismo di mercato, che consentono in forme e modalità variegate il ripristino di alcuni elementi di un’economia capitalistica, con tutte le conseguenze moralmente corruttrici del caso. Il passaggio però non è automatico, ed è il potere politico che ha l’ultima parola, il che ripropone il tema dell’adeguatezza ideologica del Partito come guida della classe lavoratrice.
«Nonostante i suoi ovvi limiti di classe, il nazionalismo borghese può svolgere e ha svolto una funzione progressiva nei paesi colonizzati o in genere asserviti all’imperialismo straniero, mentre ha un ruolo completamente reazionario solo nelle metropoli imperialiste.Proprio questo è il caso di Hitler e Mussolini, da te citati, che agirono in contesti dove la rivoluzione proletaria era, se non proprio all’ordine del giorno, una concreta possibilità che terrorizzava le classi sfruttatrici, e quindi assolsero non una funzione progressiva (di liberazione nazionale) ma regressiva (di contenimento e repressione della spinta rivoluzionaria delle masse lavoratrici), peraltro favoriti in ciò dal fatto che il movimento comunista dell’epoca non aveva saputo levare per primo la bandiera degli interessi nazionali e unire il destino della nazione alla causa del socialismo – come più volte osservato da Lenin e Stalin e contrariamente a quanto accadde vent’anni dopo.
In altre realtà (Libia di Gheddafi, Egitto di Nasser, Iraq di Saddam, Siria degli Assad, ecc.) regimi molto diversi ma che comunque si richiamavano ad analoghe dottrine corporativiste hanno dato vita ad esperimenti molto interessanti, di fronte ai quali che fare: preoccuparsi per le deviazioni rossobrune che potrebbero veicolare oppure riconoscere la loro funzione storica positiva e il loro contributo alla diffusione degli ideali socialisti sia pur non rigorosamente marxisti?
I comunisti coreani sono di questo secondo avviso, e da sempre intrattengono buoni rapporti con alcune forze nazionaliste non solo in patria e nel mondo post-coloniale ma anche in Giappone, in Europa e in America, e per questo incorrono spesso in accuse di “rossobrunismo” o di fascismo vero e proprio. Nondimeno la loro posizione è la più conforme alle tradizioni del movimento comunista mondiale intese in modo non folcloristico e nominale».
La storia ci ha mostrato che le classi reazionarie hanno sempre cercato di infiltrare i movimenti rivoluzionari, talvolta pianificando a tavolino strategie culturali per introdurre elementi revisionisti e degeneratori nel campo culturale proletario. Questo vale in particolar modo per il marxismo e il movimento comunista, che sono stati e sono tuttora il nemico principale dell’imperialismo.La borghesia dispone dei mezzi politici, economici e mediatici per fomentare ad arte delle “deviazioni” politico-ideologiche, introducendo modelli “riformisti” o “rossobruni”, intendendo per questi ultimi delle teorie ibride tra socialismo e nazionalismo borghese che costituiscono forme degenerative della teoria rivoluzionaria in grado di confondere larghi strati della classe lavoratrice, sfruttando parole d’ordine e slogan solo apparentemente rivoluzionari. In questa maniera sono riusciti a “sfondare” casi famosi come Mussolini e Hitler, due esempi classici in tal senso, visto l’enorme sostegno che hanno ottenuto dal mondo industriale.
La categoria di “rossobruno” è quindi valida tutt’oggi. Pur essendo nata in un contesto borghese, essa esprime una posizione politica che per anni è stata respinta, seppur con altri termini, dal movimento comunista internazionale. Oggi resta valida in questa accezione, come arma ideologica a disposizione del movimento operaio, tenendo conto che nella confusione in cui versa attualmente il movimento comunista, specie quello italiano, tale categoria è stata fatta propria dai think tank della borghesia liberale per delegittimare paradossalmente i veri comunisti.
Non deve stupire troppo, dato che la borghesia liberale è già riuscita a conquistare la categoria analitica della “sinistra”, bollando i comunisti prima come “estrema sinistra” (anni ‘90 e inizio ‘00), poi, negli ultimi tempi di “rossobrunismo”, di fronte ad alcuni nuovi fermenti teorico-politici che rischiano di incrinare la narrazione del totalitarismo liberale.
Per queste ragioni in alcuni casi è utile mantenere la categoria di rossobrunismo, specie laddove ci siano dei casi palesi di revisionismo anticomunista. Occorre insomma sempre mantenere la guardia imparando a muoversi in questo «mondo grande e terribile».
In un recente dibattito un compagno ha fatto il seguente intervento, ponendo un tema delicato: «Domanda sull’immigrazione: è sempre stata una croce per la sinistra, fino a diventare un’ideologia. Mentre invece c’è chi si pone in maniera critica e viene additato come fascista o rossobruno. Come ci si pone sulla questione?». La mia risposta è stata la seguente:
[1] P. Levi, Un passato che credevamo non dovesse tornare più, Corriere della sera, 8 maggio 1974.
[2] A. Scanzi, L’ossessione “rossobruna”: come etichettare il nemico, Il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2018.
[3] A. Pascale, Risposta alle accuse di Iskrae su Berlinguer e rossobrunismo, Intellettualecollettivo.it, 30 dicembre 2018.
[4] Per approfondimenti A. Pascale (a cura di), Conoscere il nemico: la nuova destra, Intellettualecollettivo.it, 14 maggio 2023.
[5] Un personaggio diventato famoso grazie al bel libro E. Carrère, Limonov, Adelphi, 2012.
[6] F. Chernov, Il cosmopolitismo borghese e il suo ruolo reazionario, Bol’ševik-Intellettualecollettivo.it, n° 5, 15 marzo 1949.
[7] V. Giacché, Per una sovranità democratica e popolare. Cioè costituzionale. L’ultimo libro di Alessandro Somma: “Sovranismi”, Marx21.it, 3 gennaio 2019.
[8] C. Fantuzzi, Fusaro: “Rossobrunismo e Interesse Nazionale: Armi Culturali Contro il Capitalismo mondialista”, Ticinolive.ch, 30 marzo 2017.
[9] D. Fusaro, Il vero rivoluzionario: idee di sinistra, valori di destra, Diegofusaro.com, 5 giugno 2018. Si veda ad esempio l’intervista al leader di Forza Nuova Di Stefano sul sito dell’associazione culturale di Fusaro: A. Pepa, Di Stefano: “fascismo e antifascismo? Non c’è nessuna guerra civile in atto: è una truffa montata ad arte per distrarci”, Interessenazionale.net, 1 marzo 2018.
Scarica PDF
2 Comments
🔴 Segui e fai seguire Telegram de LA RISCOSSA🔴
L’informazione dalla parte giusta della storia.
📚 t.me/lariscossa
leggendo questo articolo mi viene di mettere in relazione un passo della riflessione di Francesco Alarico della Scala e un passo dell’articolo ” Le origini della guerra in Ucraina” dal libro di Salvatore Minolfi.
Nel primo si afferma che ” nonostante i suoi limiti il nazionalismo borghese può svolgere e ha svolto una funzione progressista nei paesi colonizzati o in genere asserviti all’imperialismo straniero, mentre ha un ruolo completamente reazionario solo nelle metropoli imperialiste”. Si portano ad esempio di questa tesi la Libia di Gheddafi, l’Egitto di Nasser, l’Iraq di Saddam. la Siria di Assad.
Nel secondo si dice che “Sebbene l’autore non si esprima in questi termini, nel libro si trovano tutti gli elementi essenziali per poter caratterizzare le guerre in corso per quello che è: una guerra interimperialista tra Stati Uniti da un lato e la Germania ( e in subordine Francia e Italia)dall’altra.
Ora la domanda è se l’Italia è una colonia degli Stati Uniti conseguentemente è utile intrattenere buoni rapporti con alcune forze nazionaliste, come dicono i comunisti coreani, ovvero nel nostro caso appoggiare Democrazia Sovrana e Popolare e confrontarsi con Alemanno e il suo nuovo partito?
Se invece L’Italia è un paese imperialista in guerra con altri paesi imperialisti, anche se in subordine, la sua alleanza con forze nazionaliste ha un ruolo reazionario?
Grazie per l’attenzione