di Eros Barone
Il terremoto è un termine che viene adoperato spesso come metafora di profondi cambiamenti politici, economici e sociali. Ma il significato pieno di questa parola emerge quando si verificano i terremoti veri, quando crollano le case e la gente muore. Il terremoto che ha colpito alcuni paesi dell’Italia centrale sta polarizzando l’attenzione dell’opinione pubblica e i notiziari stanno dando spazio alla tragedia, alle centinaia di morti, alle decine di migliaia di sfollati, all’azione dei volontari e della protezione civile.
Naturalmente, a predominare è l’emozione e si sprecano gli appelli all’unità e alla concordia di fronte ad una tragedia che assume, nelle dichiarazioni degli organi di governo, i tratti di una fatalità. In realtà, i tecnici dell’Istituto Nazionale di Geofisica spiegano che la faglia che si trova sulla dorsale appenninico-adriatica tende ad allargarsi di qualche millimetro all’anno, producendo la divaricazione dei due versanti, tirrenico e adriatico, dell’area centro-meridionale del nostro paese. Se il singolo episodio non è prevedibile nella sua data e nella sua localizzazione precise, non vi sono dubbi che tutta la regione è ad alto rischio sismico.
Si ripropone allora la questione che si è posta tante altre volte: si può accettare che la vita della popolazione sia messa a repentaglio non dalla “fatalità” dei terremoti, ma dalla criminale incuria dei costruttori, quando si tratta di edifici più recenti, e dall’altrettanto criminale abbandono degli interventi di manutenzione degli edifici dei centri storici da parte delle autorità di ogni ordine e grado?
Il terremoto del Reatino e dell’Ascolano, con paesi come Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto completamente distrutti, con l’albergo di Amatrice che si è trasformato in una trappola mortale, ci squaderna davanti agli occhi l’assurdità, ossia la micidiale irrazionalità, di un sistema economico-sociale che, nel ventunesimo secolo, non riesce a predisporre, organizzare e ristrutturare il sistema abitativo secondo le misure anti-sismiche già da tempo acquisite dall’ingegneria delle costruzioni, di un sistema che non è riuscito, fino ad ora, a predisporre un piano di evacuazione di emergenza in caso di terremoto in una zona il cui grado di pericolosità sismica è tanto noto da essere riportato nei libri di geografia delle scuole medie inferiori.
Si scava ancora sotto le macerie mentre scrivo queste righe. Non è meno urgente scavare nelle cause vere di questa e di tante altre tragedie “naturali”. Sotto le macerie e il polverone delle chiacchiere, delle lacrime di coccodrillo e delle dichiarazioni ufficiali si troverà che la logica del profitto sta alla base sia della cattiva costruzione dei più recenti fabbricati sia dei tagli di quei capitoli di spesa pubblica riguardanti la manutenzione, la messa a norma e il controllo degli edifici più vecchi. La forza assassina non è la natura ma il capitalismo.