Escalation di proteste in India contro il governo di Modi e le politiche antipopolari e antidemocratiche a favore dei monopoli. Dai contadini agli operai, dalle campagne alle città, il paese è attraversato da manifestazioni di massa sempre più partecipate a cui il governo e le autorità statali rispondono con la repressione sempre più dura che si indirizza in particolare contro i partiti comunisti e le organizzazioni operaie. Soprattutto nel Bengala Occidentale e in Tripura, non si fermano le violenze dei paramilitari fascisti del RSS, braccio armato del partito di governo BJP, causando decine di morti e centinaia di feriti, torturati, oltre a centinaia di case di militanti e quadri comunisti distrutte e saccheggiate così come sedi di partito e di organizzazioni sociali e sindacali.
Oltre 100.000 contadini e lavoratori hanno marciato, mercoledì 5 settembre, sventolando bandiere rosse nella capitale indiana, a Nuova Delhi, chiedendo diritti e aumenti salariali. La marcia, denominata Mazdoor Kisan Sangharsh Rally, è stata organizzata dalla All Indian Kisan Sabha (Associazione dei Contadini Indiani) – AIKS – affiliato al Partito Comunista d’India, Centro dei Sindacati Indiani (CITU) e Sindacato dei Lavoratori Agricoli dell’India (AIAWU) affiliate al Partito Comunista d’India (marxista).
I manifestanti, contadini e lavoratori agricoli da 23 stati indiani, insieme a lavoratori dell’industria, impiegati pubblici e di altri settori, con una notevole presenza di lavoratrici, sono arrivati nella capitale il 2 settembre scorso accampandosi a Ramlila Maidan dove sono state installate le tende marciando poi fino a Jantar Mantar, nei pressi del Parlamento. Le principali rivendicazioni dei lavoratori e contadini comprendono la riforma agraria, distribuzione delle terre, l’incremento del salario minimo per tutti i lavoratori, la parità di retribuzione per le lavoratrici, l’aumento del numero di giornate di lavoro retribuite, esoneri dal debito per i contadini poveri, aumento del prezzo minimo di sostegno alle colture, cancellazione della riforma del lavoro. Ma anche di carattere generale come la riduzione dei prezzi, l’universalizzazione del sistema di distribuzione degli aiuti pubblici, l’universalizzazione della sicurezza sociale, la sicurezza alimentare, l’istruzione, alloggio e sanità per tutti.
Tapan Sen, segretario generale del Centro dei Sindacati Indiani (CITU), ha dichiarato: «Questa unione è storica. Per la prima volta, lavoratori e contadini hanno marciato insieme così numerosi per protestare contro le politiche del governo». «Il nostro scopo – prosegue – è quello di far capire ai lavoratori che essi sono il motore del paese e che il vero nemico è la politica neoliberista e i loro funzionari al governo». «Ci opponiamo a queste politiche, alla divisiva agenda comunitaria e agli attacchi autoritari del governo guidato dal BJP», ha affermato K. Hemlata, presidente del CITU.
Questa marcia segue una simile organizzata a marzo dall’AIKS nel Maharashtra, dove oltre 50.000 contadini marciarono da Nashik a Mumbai, capitale finanziaria dell’India, su una piattaforma simile a quella della marcia di mercoledì scorso. L’AIKS ha annunciato che una “lunga marcia dei diseredati” si svolgerà dal 28 al 30 novembre: «Non solo contadini, ma anche i senza terra, gli adivasi, i dalit e gli operai verranno a circondare i quattro angoli di Delhi», ha dichiarato V. Krishnan, segretario congiunto dell’AIKS. In un paese in cui quasi il 70% della popolazione dipende dall’agricoltura per sopravvivere, la mobilitazione di questo settore assume un ruolo di massa determinante nell’espressione del crescente malcontento e rabbia contro le politiche del governo Modi con l’alleanza operaia-contadina che inizia a prendere forma rappresentando la base per la mobilitazione e l’unità di tutti i settori della classe lavoratrice contrastando le politiche settarie-religiose, di divisione etnica e tribali, promosse dal governo.
Il 10 settembre, un’altra protesta di massa ha infatti coinvolto tutto il paese per lo sciopero nazionale, denominato “Bharat Bandh”, per protestare contro il forte aumento dei prezzi del carburante e altri rigidi oneri economici. La protesta ha portato ad un blocco pressoché totale in molte parti dell’India, con la maggior parte delle scuole e dei college rimasti chiusi, strade e autostrade bloccate così come le attività commerciali. In alcuni luoghi sono stati bloccati anche i treni. Tra i principali partiti comunisti del paese, il PCI(marxista), il PCI, il PCI(Marxista-Leninista)-Liberazione, il SUCI(C) (Centro Socialista Unito dell’India – Comunista), e RSP (Partito Socialista Rivoluzionario – India), hanno organizzato proteste unitarie contro quella che il leader del Partito Comunista d’India (marxista), Sitaram Yechury ha definito «violenza economica» del governo. A Nuova Delhi, la manifestazione verso il parlamento è stata repressa dalla polizia con numerosi arresti.
Nella capitale i prezzi del gas e diesel sono aumentati del 14% circa quest’anno. A Mumbai, i prezzi del gas sono saliti a 1,21 dollari al litro, con una media in tutto il paese di un minimo di 1,1 dollari per litro. Le tasse sul gas e diesel, che rappresentano oltre un terzo dei prezzi del carburante al dettaglio, sono una delle maggiori fonti di entrate per il governo. L’India è il terzo più grande importatore di petrolio al mondo, acquistando circa l’80% del suo fabbisogno petrolifero (soprattutto dall’Iran), ed è quindi molto vulnerabile alla crescita dei prezzi mondiali del petrolio. Il governo ha infatti indicato la causa in fattori esterni come la crisi economica della Turchia che ha colpito i mercati emergenti. In passato i governi hanno abbassato le tasse quando i prezzi petroliferi internazionali sono aumentati, ma l’attuale governo di Modi ha fatto poche concessioni.
Di pari passo con l’intensificarsi delle politiche antipopolari e repressive, il governo di Modi ha condotto lo scorso 6 settembre il primo incontro bilaterale di alto livello nella formula 2+2 (che si terrà annualmente) con gli USA tra i rispettivi Ministri degli esteri e della difesa con al centro la firma di nuovi accordi sulla cooperazione strategica e acquisti di attrezzature per la difesa, sulla scia dell’accordo di supporto logistico già in essere dal 2016 – che permette l’utilizzo di strutture indiane per aerei e navi USA – creando nuove possibilità per l’uso di sistemi militari statunitensi nel settore industriale e delle forze armate indiane. In particolare è stato firmato l’accordo di compatibilità e sicurezza delle comunicazioni (COMCASA), che consentirà agli USA di vendere attrezzature militari sensibili all’India vincolandola per il futuro in una più stretta alleanza militare e strategica che vede già un giro di affari di 15 miliardi $ negli ultimi dieci anni posizionandosi al secondo posto nella fornitura di armamenti. Espressione delle contraddizioni interimperialiste, l’India ha infatti attualmente nella Russia il suo principale fornitore di armamenti e l’Iran di petrolio, nell’ambito dell’alleanza dei BRICS e SCO (Organizzazione per la cooperazione di Shanghai). Oggetto di contrattazione tra gli USA e l’India sono proprio le importazioni di petrolio dall’Iran e l’acquisto dei missili russi S-400. Nelle comunicazioni sull’incontro bilaterale i due paesi si riconoscono come partner strategici, due grandi attori nel mondo degli affari, impegnandosi a lavorare insieme su questioni regionali e internazionali, anche attraverso bilaterali, forme tripartito e quadripartito, aprendo una linea speciale di comunicazione bilaterale per casi e sviluppi “straordinari”.
La borghesia indiana persegue così le sue mire di ascesa internazionale relazionate al costante sviluppo capitalistico e dei monopoli indiani che si espandono e integrano nel sistema imperialista internazionale supportandosi nell’idea nazionalista indù della grande “Bahrat Mata” (Grande India) incarnata dal governo, cioè uno Stato Indù altamente militarizzato e modernizzato in grado di confrontarsi con i suoi “competitori regionali” come il Pakistan e la Cina, che si concilia temporaneamente con gli obiettivi USA nella competizione inter-imperialistica con la Cina al fine di contrastarne la sua crescente influenza regionale. L’obiettivo degli USA è quello di sfruttare le ambizioni della borghesia indiana nella regione Indo-Pacifico che si scontrano con l’influenza sempre maggiore della Cina, per farne il suo principale partner nella “cooperazione per la difesa e la sicurezza” nella regione nell’ambito della strategia di contenimento della Cina nel quadro dell’intensificarsi dei conflitti d’interessi tra monopoli a scapito dei popoli.
Fonti: Reuters / telesur / solidnet / peopledemocracy