Intervista al Segretario politico dei Comunisti Catalani – Partito Comunista dei Popoli di Spagna (PCPE), Albert Camarasa, alla vigilia del convocato “referendum” sull’indipendenza catalana del 1° ottobre e nel mezzo del conflitto con lo Stato spagnolo e la repressione in corso per impedire il suo svolgimento. Per un ulteriore approfondimento sulla posizione del PCPE, leggere qui.
In questi giorni in cui stiamo prepariamo questa intervista tutto si sta muovendo molto rapidamente. Che opinione ha sulle ultime azioni dello Stato?
Hanno tutto il nostro rifiuto. Stiamo vedendo un dispiego di buona parte degli strumenti repressivi dello Stato. Si stanno violando i diritti fondamentali come quello di opinione quando impediscono atti e dibattiti politici. Siamo ad un passo da che ci siano nuovi prigionieri politici, cosa che avrà la nostra totale opposizione. Nonostante le nostre discrepanze con i fautori del processo indipendentista non si può accettare ciò che sta succedendo. Nonostante la nostra opinione sul 1° Ottobre, rifiutiamo profondamente qualsiasi repressione volta a impedire che chi vuole possa votare. Bisogna dire a tutta la classe operaia di tutto lo Stato che se si normalizza l’applicazione di misure repressive eccezionali qui, queste si applicheranno poi su di essa.
Detto questo, non c’è nulla che non era prevedile. Ci sono certi leader politici come Ada Colau (sindaca di Barcellona) che dicono di esser sorpresi. Secondo lei, nessuno poteva aspettarsi che lo Stato spagnolo agisse così. Io mi domando che si aspettava Ada Colau dallo Stato? Che concezione ha e hanno altri come lei del potere?
Brevemente, perché si è arrivati a questo punto?
E’ un processo lungo e complesso, ma se guardiamo alla radice potremmo nominare due questioni.
La prima è che la relazione di unità e lotta che hanno avuto la borghesia catalana e quella centrale durante tutto il XX secolo è giunta alla sua fine. Queste borghesie hanno avuto interrelazioni e si sono fuse fino a tal punto che possiamo dire che condividono quasi gli stessi interessi, che in nessun caso passano dall’indipendenza di nessun territorio della Spagna. I grandi monopoli stabiliti in Catalogna si sono espressi in questo senso. La classe dominante in Catalogna ha smesso di esser interessata a difendere e promuovere “i lineamenti caratteristici” della nazione catalana, cosa che gli è stata utile in precedenza. Frutto di ciò, ampi settori della piccola e media borghesia, che hanno un quadro economico centrato in Catalogna, si sono visti abbandonati. Tutto ciò ha un riflesso sul piano politico, soprattutto in partiti come il PDCat.
La seconda si relaziona con la crisi economica. Frutto dell’impoverimento massivo della popolazione e la concentrazione del capitale in sempre meno mani, questi settori della piccola borghesia di cui si parlava prima si sono visti minacciati. Hanno visto limitati i loro affari, per mancanza di credito, bassa vendita e l’intromissione di grandi monopoli nelle loro zone di mercato. Questa minaccia di proletarizzazione gli ha fatto sollevare un progetto politico che pur non essendo anticapitalista, si scontra con alcune conseguenze del capitalismo contemporaneo. Nonostante sia una proposta utopica, la piccola borghesia ha la capacità di trascinare dietro i suoi interessi le grandi masse di lavoratori, specialmente se il potere è interessato a disattivare le lotte operaie. Questo progetto politico della piccola borghesia in Spagna si materializza nel 15M e PODEMOS, e in Catalogna nel processo indipendentista.
Di fronte alla minaccia di perdere i propri affari e l’incapacità di competere con i grandi monopoli, ha costruito una proposta politica che si basa in una fuga in avanti, con una Catalogna indipendente capitalista dove non agiranno le leggi di concentrazione del capitale e si tratteranno bene i suoi lavoratori. Questa è l’idea che impregna tutti gli strati sociali che appoggiano l’indipendentismo.
Ci sarà il referendum? Ci sarà l’indipendenza?
Si andrà a votare, posto che lo Stato non riuscirà a chiudere tutte le urne che l’indipendentismo può mettere in tutte le piazze e quartieri di Catalogna. Per evitarlo sarebbe necessario un grado di repressione che lo Stato non necessita di raggiungere.
Non lo necessita perché lo Stato ha già vinto. Si va a votare, ma non ci sarà un referendum. Le azioni repressive dello Stato comportano che purtroppo nessuno può interpretare il risultato della votazione come la volontà generale dei catalani.
Pertanto no, non ci sarà nemmeno indipendenza. Perché al di là della gente che vota, il potere capitalista non ha niente a che vedere con la democrazia ma con la forza. Lo Stato ha la forza e la Generalitat no.
Si è battezzato il processo indipendentista come “la rivoluzione dei sorrisi”. C’è un punto di superiorità morale in questa caratterizzazione intollerabile per i rivoluzionari. Si viene a dire che questa “rivoluzione” sarebbe buona perché, a differenza di altri processi di indipendenza storici, si fa senza armi. Noi catalani saremmo migliori degli algerini, dei vietnamiti, dei cubani e altri popoli incivili che si ammazzano in latitudini dove la democrazia non è arrivata. Ebbene, la realtà sta per dare una batosta a queste concezioni, poiché se nella storia non ci sono state rivoluzioni dei sorrisi non è perché nessuno prima lo desiderava, ma perché purtroppo la rivoluzione si realizza sempre con resistenze violente da parte di chi ostenta il potere.
A partire da qui l’unica opzione per l’indipendentismo è cercare la copertura internazionale. Lo hanno cercato fortemente negli ultimi tempi senza esito alcuno, appellandosi agli Stati capitalisti con “democrazie più avanzate”. Ancora una volta commettono lo stesso errore, nessun Stato capitalista si muove negli interessi della democrazia o i diritti umani, ma si muovono per interessi economici, concretamente gli interessi delle loro imprese. Pensare che gli Stati Uniti intercederanno nel conflitto quando lo Stato supera certi limiti di repressione è come credere che George Bush invase l’Iraq perché era preoccupato per i diritti umani della sua popolazione.
Che direbbe a coloro che vogliono votare il 1° Ottobre per esercitare il diritto di autodeterminazione?
Il diritto all’autodeterminazione è un nobile obiettivo che noi comunisti incorporiamo nelle nostre tesi. E’ stato un diritto promosso dall’Unione Sovietica e i successivi paesi socialisti.
Ma che si condivida l’obiettivo non vuol dire che si condiva il cammino per raggiungerlo. Oggi ci sono due vie verso l’autodeterminazione, una fattibile e l’altra che non porta ad essa. L’indipendentismo sta scegliendo la seconda.
Il diritto all’autodeterminazione è che un popolo può decidere cosa essere e applicare il risultato. Anche se nel presunto caso di poter votare, la Generalitat non ha alcuna capacità di applicare un risultato a favore dell’indipendenza, per cui in nessun caso possiamo parlare di votazione vincolante. Ci piaccia o meno, al di là dell’intenzione con cui è convocata, questa votazione non è un referendum di autodeterminazione.
Che succederà dopo la votazione? Sarà un atto rivendicativo che rafforzerà le forze indipendentiste. Rafforzare queste forze è la miglior maniera per avanzare nella possibile autodeterminazione della Catalogna? Assolutamente no.
L’unica via fattibile in cui si può applicare l’autodeterminazione per la Catalogna è quella che passa per rovesciare la classe borghese dominante che detiene il potere in Spagna. Con la presa del potere da parte della classe operaia si distruggeranno le basi materiali che perpetuano l’oppressione nazionale e la Catalogna potrà esser ciò che decidono liberamente i catalani.
Che direbbe a coloro che vogliono votare il 1° Ottobre per indebolire lo Stato?
Nel rispetto che ho per condividere alcuni stessi obiettivi gli dico che si sbagliano. Lo Stato non sta vacillando. Lo Stato si sente comodo e forte. Lo Stato si sente sicuro di aver tutto sotto controllo. Sebbene andare a votare crea una soggettiva percezione di scontro con lo Stato, questa si convertirà in frustrazione quando giungerà ad un punto morto.
L’unica classe sociale che si sta indebolendo in questo processo è la classe operaia. Mentre lottiamo sotto bandiere altrui, che sia sotto lo spagnolismo o sotto l’indipendentismo, il capitalismo è riuscito ad uscire dalla sua crisi basandosi su un maggior sfruttamento della nostra classe. Noi comunisti non possiamo avallare un dilemma che si basa nello scegliere se deve esser la Guardia Civil o i Mossos a reprimere i lavoratori di Eulen del Prat.
Si sta indebolendo il Regime del 78?
Ciò che si sta avendo è una riconfigurazione pianificata del Regime del 78. Come ogni riconfigurazione, il vecchio sta morendo per lasciar spazio a qualcosa di nuovo. Ma non sarà una riconfigurazione in base a posizioni di forza della classe operaia né dei nazionalismi periferici, sarà in base a una posizione di forza incredibile da parte dell’oligarchia dominante.
Passata la crisi economica e quando si sconfiggerà l’indipendentismo catalano, otterranno nuovi consensi. Il Regime del 78 muterà, ma per lasciar spazio a qualcosa di più barbaro e repressivo.
Che soluzione propone il PCPE?
Noi comunisti abbiamo editato un documento politico, nella nostra pagina web, con nostre analisi e proposte. Noi proponiamo: