Prima intervista a Gustavo Petro, nuovo Presidente colombiano

Con l’autonomia differenziata il Governo affonda il Sud!
luglio 9, 2022
Il Partito comunista (Italia) si associa al dolore del Partito Comunista (Svizzera)
luglio 13, 2022

Prima intervista a Gustavo Petro, nuovo Presidente colombiano

https://www.youtube.com/watch?v=LBblLjrBCP0

 

Traduzione della prima intervista fatta a Gustavo Petro in qualità di nuovo Presidente colombiano, vincitore al secondo turno delle elezioni del 29/05/2022.

L’intervista è durata 1 ora e mezzo e si affrontano in profondità alcuni degli aspetti più importanti del programma e delle strategie del nuovo governo.

Gustavo Petro è stato militante nel movimento guerrigliero M-19 (Movimento 19 aprile), è un economista di idee riformiste e dal 1991, dopo il compromesso raggiunto con lo Stato colombiano e la trasformazione del suo movimento in partito, ha partecipato alla vita istituzionale del paese ricoprendo la carica di parlamentare durante più legislature oltre che essere stato sindaco della capitale Bogotà.

Riteniamo utile offrire ai lettori di LaRiscossa.info il punto di vista di un uomo politico che incarna certamente un momento di rottura rispetto alla precedente gestione terroristica del potere in Colombia che finora si era contrapposto frontalmente al governo bolivariano del Venezuela e aveva seguito strettamente i dettami dell’imperialismo statunitense in tutta l’area latinoamericana.

*****************************

Signor Presidente Gustavo Petro. anzitutto voglio ringraziarla per aver acconsentito a questa intervista, la prima dopo le elezioni e vorrei iniziare con una riflessione. Ha raggiunto la presidenza con il voto più alto nella storia della Colombia, ma il l’altro voto, il voto contro di lei, è anch’esso il secondo più alto nella storia della Colombia. È un segno che molte persone hanno paura del suo arrivo, della sua elezione. Cosa può dire a quelle persone?

Diciamo che in generale c’è stato un calo dell’astensionismo ed è per questo che abbiamo ottenuto i voti più alti sia da un lato che dall’altro. La distribuzione di quelli ricevuti da Hernández (sfidante al ballottaggio) è molto simile, anche geograficamente, a quella ottenuta da Duque (presidente uscente). Penso che abbia la stessa origine, lo stesso sentimento politico. (…) C’è un paese che è stato poco compreso dalle forze progressiste della Colombia. E’ un paese, diciamo, di classe media, relativamente stabile, insieme ad aree rurali che scommettono sul fatto che la Colombia non cambierà. O che cambierà in un senso diverso da quello che pensiamo noi.

 

Lei è arrivato al potere con forti resistenze da parte della classe politica tradizionale. Tuttavia, non solo è riuscito a ribaltare quel risultato, ma pochi giorni dopo essere stato eletto sembra disporre di una governabilità abbastanza solida, anche migliore di quella che avrebbe potuto avere Duque e paragonabile forse all’unità nazionale di Manuel Santos. Come ci è riuscito? E come fare affinché non il governo si sfaldi?

L’obiettivo è costruire un nuovo clima politico, con la consapevolezza che esistono differenze evidenziate dal risultato delle elezioni. Queste differenze però non non devono riprodursi nel settarismo. Per questo dobbiamo combattere sia contro il settarismo di destra che con il settarismo di sinistra, perché si avrebbe una polarizzazione. Non è che non ci siano differenze nel paese: sono esistite e continueranno ad esistere perché fanno parte della natura dell’essere umano, ma queste differenze non si devono trasmettere nel settarismo. Perché il settarismo in Colombia porta alla violenza. È una sindrome della sua storia.

Abbiamo già in programma un incontro con Álvaro Uribe Vélez (leader della destra) e un altro con Rodolfo Hernandez. Fondamentalmente si tratta di costruire un clima che chiamerei di pace, di dialogo, senza pensare a sé stessi, perché questo non esisterà mai in una società umana. Inoltre, ciò porrebbe fine all’essenza stessa dell’essere umano.

Vedremo se riusciremo a fomentare questo cambiamento nei primi mesi, perché se tra un anno non non saremo ancora riusciti a concludere nulla il governo inizierà a risentire del “vento contrario”, perdendo la possibilità di avanzare con le riforme e il cambiamento sarà un’illusione.

 

Certamente è importante instaurare un clima di dialogo con chi è stato, diciamo, il suo omologo di destra che è il presidente Álvaro Uribe, e anche stringere alleanze con gruppi politici di centro e ancor più tendenti verso destra. Non è però preoccupato che il suo governo finisca per assomigliare ai precedenti a causa di queste alleanze?

Sì, questo è un pericolo. Quando si spinge per un cambiamento ci sono forze che entrano in tensione con il tentativo di cooptazione del governo da parte delle forze conservatrici che detengono i privilegi. E che proveranno a far passare dei cambiamenti senza che in realtà nulla cambi. Questa è una forza che agisce e agirà implicitamente ed esplicitamente: esplicitamente nel Congresso della Repubblica, dove molti gruppi diranno di sostenere il governo, di voler dialogare con questo per ridurre e moderare la portata delle sue riforme. Però c’è anche un’altra forza che risiede nella base stessa della società, che è quella che ha votato e che è uscita allo scoperto. Sono quei giovani che hanno deciso di chiedere più riforme e più profondità nelle stesse.

Il governo sarà in mezzo a queste due forze e forse finiremo per trovarci a metà, in un punto medio, perché questo è stata anche la mia esperienza come sindaco di Bogotá.

 

Dunque moderare un po’ le riforme

Però farle, perché fondamentalmente il nostro governo rappresenta una transizione.

 

La sua rivoluzione è fare in modo che ci sia un capitalismo che metta fine al feudalesimo. Questo è quello che ha detto no?

Sì l’ho detto, credo provocando po’ di imbarazzo tra i miei amici di sinistra. Questo l’ho detto nel mio discorso che tra l’altro è fatto da una prospettiva di sinistra -una delle tante- perché una società avanza solo sviluppando le sue forze produttive. È un dato di fatto, e avanza verso altri modi di produrre a patto che se le sue forze produttive si espandono. Il capitalismo è un grande detonatore per le forze produttive di una società. Non è stato trovato un modo diverso di produrre diverso dal capitalismo per espandere la capacità produttiva di un paese. Ha i suoi problemi, problemi che stiamo vivendo, come la crisi climatica, il problema ambientale, il consumo eccessivo nelle società che lo realizzano.

Ma la Colombia ha alcuni deficit nel soddisfare le proprie necessità di base, il che implica che dobbiamo sviluppare un capitalismo in grado di colmare i bisogni e di assorbire la metà esclusa della società colombiana. Infatti la nostra economia è rachitica, la metà delle persone praticamente non ha opportunità economiche, per quanto le cerchi. Quindi si tratta di sviluppare il capitalismo in un determinato modo, contro il feudalesimo e le vecchie schiavitù, sia mentali che reali. Per esempio in relazione alla terra: avere terra senza produrre. Questo è feudalesimo, non è capitalismo. E chi ha il diritto a non far produrre la terra in una società e un’umanità affamata? Questo diritto non esiste, esiste il diritto per cui la terra fertile debba produrre cibo ed è questo che fa il capitalismo, non lascia la terra improduttiva.

Ora, questo capitalismo sarà democratico? Sarà regolamentato? Regolamentato con quale fine? Per l’ambiente, la dignità umana e del lavoro, per uno Stato che deve guidare lo sviluppo economico verso l’industrializzazione e la conoscenza, perché la Colombia non è stata capace di farlo spontaneamente.  Questo è quello che propongo.

 

Chiaramente lei è salito al potere con un’agenda ambiziosa e riformista e ha parlato per anni dell’accordo nazionale. Non è il primo leader politico colombiano a parlarne. Alcuni lo vedono con un certo romanticismo, altri come qualcosa di non vero, ma entrambe le parti non lo vedono in modo concreto. Qual è l’accordo nazionale che intendete proporre ora, anche rispetto all’incontro proposto ad Alvaro Uribe?

L’accordo nazionale rappresenta un tema che non sarà solamente discusso dalle forze politiche in Congresso, le quali si esprimeranno nelle forme previste da questo, ovvero i progetti di legge. Sappiamo che molte leggi spesso, benché approvate da una maggioranza, non trovano il sostegno di molti.

L’accordo nazionale non è solo questo, io direi di più, cioè che la legge chiave per esprimerlo non è la Costituzione ma il Piano di Sviluppo, che è molto tecnico e a cui la gente quasi non dà attenzione.

E dunque l’accordo può essere gestito e processato formalmente in Congresso, ma deve essere generato negli spazi sociali, che non sono propriamente quelli parlamentari.

Questi spazi mi piacerebbe fossero in primo luogo quelli regionali, per affrontare al più presto il conflitto che abbiamo e che ha delle specificità a seconda del territorio, per cui non può essere gestito omogeneamente a livello nazionale.

Bisogna dunque lasciare emergere in ogni regione quello che ha determinato il conflitto in quegli spazi e che venga alla luce la società finora nascosta “sotto le pietre”, non i gruppi armati e quelli che hanno sempre detenuto il potere escludendo la base sociale là presente. Perché non è come mia figlia Sofia ha pensato, che il giorno della mia elezione ci sarebbe stato uno scoppio, un cambio repentino. No, che io ci sia o meno, che ci sia o meno questo governo, se il governo non è capace di portare avanti i cambiamenti necessari la società scoppia.

 

Se non c’è una valvola democratica per gestire queste non conformità, continuiamo ad andare verso la violenza…

Stiamo assistendo a quanto accade in Ecuador. Abbiamo visto in Cile, che ha gestito e sta gestendo questo in una forma pacifica e democratica, anche se non si può dare un giudizio definitivo per cui c’è da vedere come continuerà. (…)

 

Lei durante la campagna ha vissuto una tensione che sicuramente continuerà a vivere durante il suo Governo, stando a metà tra i puristi del cambiamento e chi vede il cambiamento in modo un po’ più pragmatico e ampio. Abbiamo visto che da qualche tempo è stato più aperto e più conciliante durante il suo stesso discorso di accettazione della vittoria. C’era però un’omissione rispetto ad un possibile messaggio rivolto alla Forza Pubblica (Fuerza Pública de Colombia), che è uno dei settori in cui oggi potrebbero esserci più riserve nei confronti della sua amministrazione. Perché mancava quel messaggio del Presidente?

Credo che l’esercito debba entrare in un clima di transizione e che siano in molti all’interno dell’esercito a volerlo. Ma serve anche una forza pubblica capace di farlo. La forza pubblica nel conflitto colombiano è stata contaminata, per cui la corruzione è penetrata più nella polizia che nell’esercito. Ecco perché, ad esempio, durante le proteste di piazza, il comportamento dell’esercito è diverso da quello della polizia. (…) L’esercito in generale non si è scontrato con i manifestanti, mentre la polizia si scontra con i giovani. Come mai? Perché quella differenza? E perché la corruzione è penetrata più nella polizia che nell’esercito, anche se poi è penetrata ovunque? Il traffico di droga nasconde una realtà.

 

Parla di come la corruzione e lo scontro con i manifestanti durante le proteste sociali siano finite per permeare maggiormente la polizia che l’esercito. Lei ha parlato di una riforma strutturale della polizia che prevede, tra l’altro, l’eliminazione dell’ESMAD (Escuadrón Móvil Antidisturbios) e il trasferimento di questa forza sotto la direzione del Ministero dell’Interno (attualmente Ministero Difesa). In che modo verrà portata avanti e quando?

 

La Corte Interamericana dice che dovremmo fare con la Polizia quello che si fa in qualsiasi parte del mondo. Per noi e la stessa polizia non è normale, considerato che nessuna polizia è organizzata come un corpo militare. (…) Che io sappia in nessuna parte del mondo la polizia ha dei gradi militari. (…) A causa della realtà stessa del conflitto interno durante tutti questi decenni usiamo ancora una forza di polizia che, insieme alla forza militare, ha adottato completamente il discorso del nemico interno da quando è stata creata la dottrina militare. E questo crea una crisi profonda, perché la polizia non è un corpo militare ma un corpo civile il cui scopo è la difesa dei diritti e delle libertà. Non potrà però difendere i diritti e le libertà dell’intera società pensando che ci siano nemici interni, perché poi qualsiasi agente di polizia crede che uno studente che protesta sia un nemico interno.

(…) Diciamo che il tema che si è andato ponendo da tempo ha a che vedere con i diritti umani e con politiche pubbliche promosse dal potere civile. Durante la mia attività in Parlamento mi sono dedicato, più che ad attaccare i militari, cosa che in realtà non ho quasi mai fatto, a denunciare l’origine politica e civile di quello che stava portando l’esercito a gravi violazioni dei diritti umani (…). La mia intenzione era incluso quella di distogliere il discorso fatto da molte organizzazioni per i diritti umani, che rivolgevano la loro attenzione al comando militare e che vedevano l’arresto di un generale come una grande vittoria. E sono ancora convinto di questo. Il caso dei Falsos positivos ha un’origine in una risoluzione di un civile che ha provocato un disastro e che ha visto mettere migliaia di militari sotto accusa, anche quella penale internazionale. Un disastro per l’esercito; questo è portare l’esercito a un disastro, morale, etico.

 

Signor Presidente, un altro degli elementi essenziali per cui è necessaria la fiducia delle forze armate è proprio quello legato raggiungimento della pace o, come è stata definita, la pace totale, che includa l’ELN (gruppo guerrigliero attivo), la dissidenza delle FARC e altri gruppi irregolari. Quale sarà la sua strategia per includere le forze armate in questo processo?

Oggi c’è un’aspettativa da parte delle bande armate generata dalla campagna elettorale e dalla stessa stampa. C’è una reale aspettativa in tutti i gruppi, i quali stanno valutando la possibilità del disarmo e smantellamento, ovviamente senza sapere né come, né altro, perché si è ancora parlato poco a riguardo. Ma è una possibilità per la quale mi sono rivolto alla Chiesa Cattolica proprio durante la campagna elettorale e che ora può diventare una richiesta ufficiale per stabilire i canali per un processo di pace integrale in Colombia; dove per integrale si intende non semplicemente aperto a quella che oggi è ancora considerata come guerriglia, ma a tutto quello che significa uso di armi illegali. Lo ufficializzeremo, l’ho proposto al Papa e al nunzio apostolico all’inizio della campagna, oltre alle persone che dirigono la Chiesa qui nel paese, per cui ritengo che oggi la Chiesa debba giocare un ruolo fondamentale nella costruzione della pace in Colombia.

 

Uno dei cambiamenti importanti che verrebbero con il suo governo è la politica estera, con il Venezuela come tema centrale di questo cambiamento. Come verrà portato avanti questo percorso?

Penso che bisogna normalizzare le relazioni, si tratta di un processo perché veniamo da anni di complessità su molti temi. Per esempio come riuscire a normalizzare il confine, che è il principale problema e che ha a che vedere con l’interesse nazionale colombiano. In teoria uno sa che se c’è libero transito c’è una normalizzazione dei rapporti con lo Stato vicino: si approfondiscono le relazioni economiche che esistono già da secoli e che bisogna riattivare per arrivare verso uno sviluppo dell’economica legale, perché là c’è un’illegalità molto forte che rende il problema complesso. Quello che io ho proposto è una politica comune di industrializzazione della frontiera, ci sono possibilità reali (…..) Com’è che non ne approfittiamo? Per le nostre difficoltà politiche, per cui non si è approfittato di vantaggi territoriali reciproci enormi, che i nostri avi già intuirono costruendo la prima ferrovia.

(…) Un altro problema immediato è Monomeros, un’impresa colombo-venezuelana sconosciuta a molti che produceva fertilizzanti, e oggi il problema fondamentale dell’agricoltura sono i fertilizzanti. È una questione grossa che possiamo risolvere ma che dobbiamo affrontare dal punto di vista tecnico: come sta l’impresa, cos’è successo, l’asfissia finanziaria che ha sofferto, perché è paralizzata, considerato che stiamo importando i fertilizzanti ad un prezzo tre volte più alto e questo produce la fame.

 

Una delle questioni che vengono sollevate più spesso nel mondo imprenditoriale è il tema della sospensione delle esplorazioni petrolifere per ragioni ambientali, all’interno di un progetto di transizione energetica. Molti economisti sostengono che questo ha effetti nel breve termine, con benefici solo nel medio e lungo termine. Come farà a portare avanti il programma di riforme sociali insieme alla possibilità della sospensione delle esplorazioni?

 

Si tratta di una transizione, è graduale, la parola transizione implica gradualità. Si è voluto far credere che le sospensioni sarebbero state immediate e per questo ho avuto voti contro. No, ribadisco che questa è una transizione. Considerato che abbiamo 180 contratti di esplorazioni petrolifere che tra l’altro nessuno sa se potranno dare buoni risultati, per cui in Colombia abbiamo ancora davanti molte attività di questo tipo. Quello che io ho detto è che non ci saranno nuovi contratti.

I tempi dipendono dalla quantità di petrolio che esportiamo, per cui se estraiamo molto petrolio le riserve si esauriscono velocemente, mentre se esportiamo meno petrolio le riserve si prolungano nel tempo, e questo tempo misura la durata transizione, è come la leva di controllo.

Economicamente uno potrebbe sostenere che, in teoria, il mondo dovrebbe pagare una compensazione affinché lasciamo il petrolio la dov’è, in Colombia, in Venezuela. È denaro che dovrebbe venire dalla parte di mondo che emette CO2, che non è la Colombia né il Venezuela, sono gli Stati Uniti, la Cina, l’Europa, il Giappone. Questo non lo hanno fatto.

(…) Dunque continueremo a esportare petrolio, e paradossalmente durante il mio governo si esporterà anche più carbone. Perché? Per la guerra in Ucraina: i tedeschi e gli europei chiederanno più carbone che per la Colombia è conveniente, ma tra 10 anni non sarà più così. Per questo nei miei 4 anni devo preparare il paese in accordo alle previsioni che possiamo fare oggi, e cioè che queste miniere chiuderanno perché il mondo, appena accenderanno le centrali nucleari -che è quello che farà l’Europa- non chiederà più carbone. (…)

 

Riguardo la riforma tributaria quali sono i punti inamovibili della sua proposta al netto dei compromessi che ci dovranno per forza essere?

Che non può gravare sulla classe media, il popolo, le parti più povere della cittadinanza. È una riforma che sarà il contrario di quella proposta nel 2021 dal precedente governo.

 

Ha degli obiettivi molto ambiziosi rispetto all’extra-gettito che vorrebbe creare…

Potrebbe essere ancora più ambiziosa: uno studio dell’economista Luis Jorge Garay stima di raccogliere intorno ai 75 mila miliardi di pesos (ca. 17 miliardi di euro). Se si considera l’ammontare di gettito statale in percentuale al PIL vediamo che la Colombia è sotto la media latinoamericana. Riuscire a rientrare in questa media porterebbe già a cifre come questa.

Ora, il problema principale che io considero è che l’accordo si dovrebbe fare velocemente, due settimane affinché questo sia portato a dibattito in Congresso. Perché se costituiremo una maggioranza per i progetti di legge del governo ma non si riuscirà ad approvare la riforma tributaria è come se non ci fosse realmente questa maggioranza. Si tratta di approvarla subito.

(…) Questa proposta deve essere semplice, non si deve pensare ad una grande riforma strutturale, perché il governo non è per questo, ma in una formula semplice che revochi la riforma tributaria del 2019 (…). Abolendo questa riforma si recupererebbero già le concessioni che sono fatte all’epoca, le quali potrebbero corrispondere oggi a 20 mila miliardi di pesos (ca. 4 miliardi e mezzo di euro, ndr), dunque una quantità importante, e questo solo con l’annullamento delle norme del 2019. (…)

 

Dunque solo con questa deroga il suo governo otterrebbe più della metà delle risorse a cui aspirate con la riforma tributaria. E gli altri da dove verrebbero?

Ci sono altri spazi, come l’andare a colpire i dividendi delle imprese, che sono quella parte di ricchezza che un grande imprenditore sottrae all’impresa togliendo a questa le risorse invece di investirle. Il che è un suo diritto, però mentre per i redditi delle persone fisiche esiste già una tassazione, ai dividendi non succede questo.

 

Quindi colpireste i dividendi in proporzione alla quantità.

Sì, ovviamente in scala progressiva.

 

Non teme invece che togliendo guadagni all’impresa si disincentivino gli investimenti?

In generale qualsiasi persona che voglia prendere soldi dalla propria impresa per goderseli paga imposte alte in qualsiasi parte del mondo. Fino al 70%, in Svezia, in Svizzera, negli Stati Uniti…Perché non è la stessa cosa se questi soldi entrano nel portafoglio del proprietario o rimangono nell’impresa, cambia la loro funzione. Nell’impresa questi soldi sono capitale, hanno una funzione sociale; viceversa diventano ricchezza privata e quindi gli Stati lo disincentivano. L’unico modo che esiste per aggirare questo è il paradiso fiscale, il che significa rompere il patto sociale, è un problema mondiale.

 

Può anticiparci il nome del Ministro del tesoro?

Non posso dire ancora il nome ma le dico che vorrei fare un accordo con la CEPAL (Commissione Economica per l’America Latina), che forse non conoscete. Quando ho studiato economia la CEPAL è stata una scuola di pensiero latinoamericano molto importante, sorta all’interno delle Nazioni Unite. Questa scuola è molto vicina a noi e lì c’è un’economista conosciuta in tutto il mondo che io vorrei coinvolgere come consulente: un’italiana, Mariana Mazzucato. Lei è chiave perché è in accordo con un tema che ho proposto in campagna elettorale: la produzione.

Gli economisti si sono rivolti all’intercambio delle merci, dei beni, della politica monetaria e si sono fermati lì, nella sua versione più liberale e neoliberale, mentre si sono dimenticati del tema centrale dell’economia classica che è appunto la produzione. La questione che ho posto è che la Colombia abbia un’economia incentrata su questa, non sull’estrattivismo, e la Mazzucato difende questa tesi nel mondo, parla la “nostra lingua” e per questo vorrei portarla qui per assisterci e consigliarci.

Aggiungo che non possiamo risolvere i nostri problemi senza guardare al mondo, per questo mi sento di dover porre un governo che sia parte del mondo, non fuori da questo, che penso sia quello che è successo alla Colombia, che si è isolata.

 

Vorrei farle un’ultima domanda, riprendendo il senso della parola “trasformazione”. La sua elezione significa una trasformazione della Colombia e, in un certo senso, credo anche del continente latinoamericano. C’è una frase nel suo discorso che caratterizza questa trasformazione, le riporto quanto da lei detto: “la pace è che qualcuno come me possa arrivare ad essere presidente”. Io l’ho conosciuta intervistandola 35 anni fa, nel 1987, quando lei era ancora in clandestinità. Signor Presidente, cos’è cambiato dal Gustavo Petro di allora a quello di oggi?

C’è un fluire di idee maggiore per ovvie ragioni, è passato del tempo. Quando ci siamo incontrati esisteva ancora l’Unione Sovietica e il mondo era diverso, non posso dire che fosse meglio ma era diverso. Noi (movimento guerrigliero M-19) non ci siamo mai legati al mondo sovietico, io ho sempre avuto sfiducia nei loro confronti e anche il movimento. Il movimento stava pensando ad un’altra cosa, che è poi quello che ha portato alla Costituzione del 1991. Era però un altro mondo e le nostre idee erano un po’ più dogmatiche: in quel momento io sognavo di arrivare a dove sono arrivato oggi, ma con un esercito popolare e magari vestendo una divisa color kaki. Chissà forse avremmo combinato un disastro se fosse andata così. Diciamo che non sarebbe sorto un mondo migliore, anzitutto perché sarebbe stata una vittoria sul piano militare -che è quello che pretendevamo- e una vittoria militare non si ottiene senza uno sconfitto, con il rischio di arrivare a una società divisa non per anni, ma per generazioni. Ci sarebbe stata un’imposizione che per definizione non sarebbe stata democratica e da lì sarebbero sorti esseri umani che con il potere li avrebbe resi autocrati, perché con le armi solo si costruiscono autocrazie.

Quello che c’è stato è stato meglio, certamente con molti morti, ma dopo quel momento con tutta l’intensità della storia alla fine è stata raggiunta la pace e la nuova Costituzione del 1991, anche se questa non è stata realmente applicata e non per colpa nostra, ma per quello che è venuto dopo. Oggi questo è un governo della Costituzione, che vuole dunque l’applicazione di quello che non è stato fatto, seguiamo un filo conduttore. Io continuo a pensare più o meno allo stesso modo, sono solo cambiati il metodo, le forme, la storia reale…Lei mi ha intervistato allora come combattente clandestino del M-19 e oggi la Colombia, il popolo, la sua società e la stessa dirigenza, brava o cattiva che sia, ci hanno portati a un momento migliore, che non è quella di ucciderci in una guerra civile, ma rendere possibile il cammino della Costituzione del 1991.

(…) Il significato storico è enorme, oggi stiamo assistendo ad una nuova storia, io devo essere all’altezza di tutto ciò e la società essere consapevole di questo, non è un cambio di moda.

 

E a seconda che il suo governo abbia successo dipendono molte cose, incluso che la sinistra abbia nuove opportunità nella vita istituzionale colombiana, con una trasformazione come quella che sognano gli 11 milioni di persone che lo hanno appoggiato e che quelli che hanno votato contro di lei temono.

Oggi ci sono nuove forme di pensiero, e se non saremo all’altezza del nostro incarico potrà esserci una nuova fase di oscurità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *