Riportiamo la versione integrale dell’intervista rilasciata dal segretario generale del Partito Comunista, Marco Rizzo, all’agenzia adnkronos
Quale è il valore della giornata del 25 aprile, quale il senso oggi della festa della liberazione?
La Festa della Liberazione è la caduta della dittatura nazifascista, ma è anche la fine della devastante guerra in cui quel regime precipitò l’Italia e il mondo intero. È la fine dell’occupazione dell’Italia del Nord dal dominio nazista, ma soprattutto l’insurrezione generale lanciata dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Grazie a quell’insurrezione tutte le grandi città del nord si liberarono ancor prima che arrivassero le truppe alleate. In particolare il 25 aprile si celebra, come data simbolica per tutte le altre, la liberazione della più importante città del nord, Milano. Quindi non è solo la fine della guerra in Italia o in Europa, né l’esecuzione di Mussolini, è la celebrazione dell’insurrezione popolare antifascista.
Ricordato questo per dovere storico, andiamo al senso della domanda. Cosa resta oggi di quegli eventi nella politica italiana e nel sentimento del popolo italiano?
Al di là delle commemorazioni ufficiali, in cui il senso predetto è completamente stravolto – in cui “eminenti” politologi e ideologi borghesi si affannano a trasformarlo nella semplice fine della guerra civile, partendo dalla cancellazione della differenza tra le vittime e i carnefici, arrivando poi alla maldestra equiparazione tra fascismo e comunismo – si tenta anche di cancellare le ragioni che hanno sempre pervaso il sentimento popolare. La cosiddetta “memoria storica” viene confusa con le memorie individuali. Nelle scuole i programmi ministeriali hanno assunto la visione restauratrice con una disinvoltura che solo il completo tradimento della falsa sinistra, che si è alternata al governo con la destra reazionaria in questi decenni, ha potuto consentire.
A noi comunisti, in compagnia di rari e coraggiosi intellettuali, resta l’arduo compito di nuotare contro questa corrente che non possiamo che equiparare alla Restaurazione che trionfò in Europa dopo il periodo napoleonico, con la differenza che quel periodo fu caratterizzato da luci e ombre. Per noi la Resistenza e la lotta partigiana resta la testimonianza più alta della lotta di classe del popolo italiano, non solo nel secolo scorso.
Quei partigiani non hanno lottato e in molti sono morti, anche in modi atroci, per la società ingiusta e corrotta nella quale viviamo oggi. Avevano un’altra prospettiva. Il totale ribaltamento delle classi dominanti, che si erano vendute – grazie alla pessima monarchia – prima al fascismo e poi agli americani. Per i comunisti e gran parte del movimento resistenziale l’obiettivo era la cacciata dei nazifascisti ma era anche il socialismo, ed anche le altre forze popolari che combatterono coi comunisti avevano in mente di qualcosa di diverso rispetto alla restaurazione del vecchio regime liberale che aveva preceduto il fascismo.
Oggi ricordare la Resistenza per noi significa riprendere quegli ideali. Richiamarsi ai suoi valori. Per noi non è una semplice affermazione di identità, ma ispirazione per l’azione da condurre nell’oggi di tutti i giorni.
E’ possibile un parallelo tra il momento storico di allora e oggi, con l’emergenza coronavirus (ricostruzione, ripartenza ecc ecc)?
Il parallelo è difficilmente proponibile, se non facendo riferimento alle devastazioni economiche a cui assisteremo finita l’emergenza. Se quello fu un grande periodo di protagonismo popolare, qui assistiamo alla passività con cui la maggior parte delle persone subisce questo diluvio. Ma non è detto che sia per sempre così, ci sono sacche di dissenso che si stanno sedimentando anche nel sentimento popolare per mettere in discussione il modello di società. Pensiamo al tema della sanità pubblica, oggi largamente riconosciuto come centrale nel misurare il livello di civiltà di un paese. Pensiamo anche alla percezione sempre più diffusa di quanto l’Europa sia fortemente matrigna, tanto quanto gli storici alleati americani. L’arrivo degli aiuti sanitari da parte di paesi definiti più o meno ‘stati canaglia’ da Cuba al Venezuela, dal Vietnam a Russia e Cina ha fortemente impressionato il popolo italiano. E oggi la campagna da “nuova guerra fredda” lanciata dagli USA la dice lunga sulla valutazione che qui sto facendo. Quindi il nostro compito è far maturare questo nuovo senso comune di larghi settori dell’opinione pubblica per indirizzarlo sempre più verso una presa di coscienza sulle cause complessive della crisi di questa società che non nascono certo oggi.
Il fascismo resta un rischio attuale?
La risposta richiede una riflessione preliminare. Il fascismo non è la via prediletta dalla borghesia. È una strada di emergenza che percorre quando è messa alle corde dalle forze popolari. Non confondiamo il fascismo con le comuni pratiche reazionarie che la borghesia conduce sempre. Il capitalismo non è davanti alla necessità di una rottura istituzionale. Ciò testimonia in realtà la debolezza del movimento popolare. Detto ciò, non c’è dubbio che siamo davanti ad atti che realizzano delle strette sul residuo delle libertà democratiche che abbiamo ancora e sullo stato sociale come l’abbiamo conosciuto finora.
“Se c’è il fascismo, si va in montagna”, diciamo noi.
In realtà noi non cadiamo quindi nella trappola dei richiami a pretesi “fronti” antifascisti che metterebbero insieme anche i più importanti protagonisti di questa svolta autoritaria. Mi riferisco in particolare al Partito Democratico.
Il fronte di alleanze a cui noi ci rivolgiamo è quello delle alleanze sociali e non politiche. Piccoli artigiani, piccoli contadini, piccoli commercianti che già subiscono da tempo la crisi e ora vedranno spazzati via d’un colpo i sacrifici di una vita. Questi strati devono capire che la salvezza loro e dell’Italia intera sta solo nel mettersi insieme, alla classe operaia, a tutto il lavoro salariato. Un’alleanza strategica che può indirizzare il cambiamento di questa società verso una nuova.
Facciamo un esempio. La nostra proposta è la nazionalizzazione e socializzazione delle grandi aziende e di quelle strategiche in particolare, sotto la direzione dei lavoratori. Quindi: nazionalizzare l’Alitalia, con amministratore delegato non il solito boiardo di stato, ma un comandante o meglio un consesso di lavoratori esperti del settore, ossia persone competenti che abbiano davvero a cuore i veri interessi dell’azienda e della collettività e non gli interessi dei soliti noti che gestiscono male e poi scappano con liquidazioni milionarie . Le piccole aziende devono associarsi a un vasto programma che si confronti a questo, che venga orientato centralmente, garantendo a tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi, una nuova vita serena. Non certo le cooperative truffaldine che sfruttano oggi i lavoratori. Se oggi proponessimo ad un tassista di finire sotto Uber o sotto una garanzia dello Stato, credo che non avrebbe alcun dubbio.
Se non ci fossero limitazioni agli spostamenti come avrebbe passato il 25 aprile?
Certamente come lo abbiamo trascorso gli anni passati. In piazza coi lavoratori e con le nostre bandiere, in totale “distanziamento sociale” dai comizi dei tromboni istituzionali che sarebbero presi a calci da quelli che hanno fatto realmente la Resistenza. Ricordando in questa occasione l’unica strada di risoluzione dei problemi: il cambio generale del modello di sistema e cioè l’approdo alla società socialista.