*di Marco Piccinelli
«Se non si capisce che occupare le case altrui è una forma intollerabile di violenza, si rischia di dire cazzate che confondono le idee. Non è solo questione dell’edificio sgomberato a Roma che ha generato tante stupide polemiche. Il problema è molto più grave e diffuso. Anche a Milano succede spesso che una vecchia signora esca di casa per fare la spesa e immediatamente ci sia un figlio di buona donna che approfitta della assenza della proprietaria per entrare nei suoi locali onde impossessarsene. È una bella cosa da approvare o anche solo da sopportare?». A scrivere è Vittorio Feltri nell’articolo di fondo apparso su Libero nella giornata di domenica.
Il suo pensiero, ben condito da immotivato turpiloquio per far vedere (forse) che le sue idee sono decisamente robuste e incrollabili, trae spunto da quanto accaduto a Piazza indipendenza (Roma) qualche giorno fa, evidentemente ancora poco soddisfatto di uno sgombero di quasi 1.000 persone, con status di rifugiati, a forza di manganelli, idranti e di “spaccare le braccia”. Libero, quindi, rincara la dose e nella prima pagina del quotidiano in edicola domenica (27 agosto) titola: «Vincono i ladri di case» con un salviniano sottotitolo: «I profughi che hanno menato la polizia sono già stati ricollocati e non saranno espulsi né processati. Ma nessuno difende i 70mila italiani sfrattati ogni anno e i 650mila in attesa di alloggi popolari che vengono assegnati prima agli immigrati».
Di fronte a tutto questo marasma di disinformazione, è bene fare un poco di chiarezza.
In primo luogo andando a destrutturare quanto affermato da Feltri e dalla peggiore destra, ovvero la teoria della consegualità tra i fatti di p.zza indipendenza a Roma e la signora anziana che esce di casa e le viene occupata la casa e che, a causa dei tempi della giustizia, non si riesce più a ristabilire lo status quo sulla situazione specifica. Il problema, però, è che qui si è di fronte allo sfitto di proprietà di fondi speculativi. Roma è un caso emblematico: i cosiddetti palazzinari condizionano il prezzo del mercato immobiliare costruendo immobili i quali, non venduti, fanno in modo di aumentare o abbassare il prezzo delle case. Un condizionamento, per l’appunto, del mercato immobiliare: le case sfitte sono inaccessibili ai più a causa del prezzo eccessivo. Nella capitale, infatti, nuove costruzioni di edilizia popolare sono, sostanzialmente, un miraggio e le amministrazioni (tutte) hanno svenduto centinaia di ettari di agro romano alle imprese dei palazzinari (Caltagirone e Mezzaroma due nomi su tutti) o foraggiato un meccanismo di clientele e speculazioni attraverso le cooperative (!) della cosiddetta edilizia agevolata.
Il palazzo in questione, quello di Piazza Indipendenza, infatti, è di proprietà di un fondo di speculazione immobiliare, il cui azionista di maggioranza è De Agostini con il 64,3%, poi INPS (ex Ex Gestioni INPDAP ed ENPALS) con il 27,3% e Carispezia con il 6% (altri 0,6%). Un palazzo che è stato lasciato in stato di abbandono ed occupato poi nell’Ottobre 2013 dando un tetto a rifugiati per lo più eritrei e somali. Il gruppo di Drago e Boroli, gestisce 50 fondi, dei quali 41 immobiliari (sotto IDeA Fimit sgr) e nove di private equity (IDeA Capital Founds), a cui si sono aggiunti cinque nuovi fondi per oltre un miliardo di euro nelle filiere alimentari, nei crediti deteriorati supportati da palazzi di pregio, nelle aziende in crisi. Insomma, nulla a che fare con la pensionata che va a far la spesa…
Come dichiarato da Alessandro Mustillo (segretario di Roma del Partito Comunista): «Quel palazzo è di proprietà del fondo immobiliare Idea Fimit, la principale società di gestione del risparmio nel settore immobiliario in Italia, tra le prime in Europa, con un patrimonio di immobili gestiti che ammonta a circa 10 miliardi di euro. Detiene una palazzina, come molte altre, nel centro di Roma che per anni è rimasta sfitta. Lo sgombero è stato l’ennesimo favore alla grande proprietà, e ha riversato decine di famiglie per strada. Ora la soluzione adottata dalle istituzioni (se il Comune c’è batta un colpo…) è nascondere la polvere sotto il tappeto, come se il dramma dell’immigrazione potesse essere risolto a colpi di ordine pubblico, e come se non si sapesse che una volta sgomberati l’effetto ottenuto sarebbe stato ottenere accampamenti improvvisati nelle vicinanze». La stessa Idea Fimit che, di concerto col Comune di Roma, aveva proposto ad 80 di loro, di trasferirsi in 2 SPRAR e in alcune costruzioni di proprietà della Idea Fimit (la stessa!) a Rieti (lontano da dove lavorano e studiano i loro figli) e che, inoltre, si è candidata per ospitare in due loro immobili un nuovo “Hub” per migranti a Roma per 500 posti a struttura su cui è bel alto il guadagno.
A proposito di programmazione politica mancante e di caos-Capitale, l’Unione Inquilini di Roma ha diramato una nota in cui si legge: «Rifugiati politici, cittadini romani, sono solo etichette sotto le quali si cela il dramma di chi, senza una rete di protezione, viene calpestato. Nella capitale a mancare non sono certo le case, che continuano a rimanere sfitte, ma una programmazione politica sull’abitare che possa tutelare tutti». «A Roma – ha proseguito Mustillo – esistono tanti immobili sfitti in mano alla grande proprietà finanziaria in cui potrebbero starci dentro tutte le famiglie italiane e immigrate che hanno bisogno di casa. Se a dettare legge non fossero gli interessi del capitale ma i bisogni delle classi popolari il problema degli alloggi sarebbe una mera questione amministrativa, risolvibile in pochi mesi. I problemi connessi con l’immigrazione non si risolvono con atti di ordine pubblico, perché bisogna risolvere le cause che sono a monte e che costringono milioni di persone a abbandonare la propria terra per scappare dalla miseria».
L’esistenza da un lato di un numero enorme di edifici sfitti (il 22% degli immobili in Italia è sfitto con un +350% negli ultimi anni) e dall’altro di un gran numero di lavoratori e disoccupati senza casa, che vengono sfrattati e costretti a vivere per strada o in case non adeguate dall’altra (ad esempio il 17,1% della popolazione vive in abitazioni sovraffollate), è una delle contraddizioni più evidenti del capitalismo, la cui crisi colpisce i settori popolari negli aspetti fondamentali della vita quotidiana: il lavoro e, di conseguenza, la casa. Ma affrontare in questi termini reali la questione abitativa comporterebbe metter in discussione un sistema di sfruttamento, quello capitalistico, in cui sempre più nuclei familiari o singoli licenziati o da anni senza lavoro (e quindi senza reddito) e lavoratori che ricevono bassi salari, non in grado di sopportare mutui o affitti (in aumento del 2-3% negli ultimi anni), sono obbligati ad ingrossare le fila di coloro che non hanno una casa o che rischiano di esser sfrattati per morosità, sempre più con l’uso della forza pubblica: nel 2016 sono state 35.336 con un +7,99 rispetto al 2015. Il 90% delle sentenze di sfratto sono proprio per morosità, 24.858 nei comuni capoluogo e 29.971 nel resto dei comuni, per un totale di 54.829. Proprio Roma spicca per gli sfratti eseguiti con l’uso della forza pubblica, 3.215 con il 6,11% in più rispetto al 2015, registrando un aumento del 3,2% delle richieste di sfratto in una città dove l’affitto incide del 32,5% sul reddito di un lavoratore dipendente medio e del 43% di un pensionato con un incidenza complessiva sul reddito del 56% per i pensionati e del 46% per i lavoratori dipendenti. Per rimanere su Roma, in 30.000 si trovano in emergenza abitativa, di contro ci sono 194.000 case sfitte, di cui gran parte di proprietà di grandi società immobiliari, assicurazioni, banche a scopo speculativo (a cui si rivolge la nostra attenzione) mentre le nuove costruzioni private ammontano a 38milioni di metri2 su cui si ricava il 57% di profitto su ogni m2. Immobili pubblici e privati chiusi, inabitati e in stato di abbandono da anni e dove si continua a speculare facendo lievitare il mercato immobiliare a scapito della soddisfazione di un bisogno reale come quello della casa.
Quei 70mila italiani sfrattati ogni anno e i 650mila in attesa di alloggi popolari, di cui apparentemente si preoccupa Libero (retorica che in realtà ripropone lo slogan dell’estrema destra del «Diritto alla casa, diritto al lavoro: non ce l’abbiamo noi, non ce l’avranno loro») , si trovano in questa situazione proprio perché la casa non è considerata una questione sociale e un bisogno primario che deve esser garantito a tutti ma una “merce” su cui speculare in modo parassitario da parte di pochi che appartengono a quella classe che licenzia, taglia i salari, scatena le guerre, privatizza e limita sempre più l’accesso ai servizi e diritti fondamentali. Quei pochi tanto cari a Libero. Sono questi i ladri di case, le banche, i fondi speculativi, non certo gli immigrati. Sono le banche che pignorano le case alle famiglie di lavoratori, agricoltori, disoccupati che non riescono a pagare spropositati mutui e debiti non certo i “movimenti per la casa che occupano“.
Un bisogno e diritto necessario e vitale che, quindi, questo sistema e le sue istituzioni non garantiscono servendo gli interessi di mercato, delle fondazioni bancarie e assicurative, delle gerarchie ecclesiastiche e dei grandi proprietari privati, trattando la questione solo come un problema di ordine pubblico a protezione della rendita immobiliare e dell’accumulazione capitalista. Da un lato assistiamo infatti alle insufficienze, all’immobilismo e inadempienza degli enti preposti a risolvere quella che chiamano ”emergenza casa”, con qualche palliativo di facciata e nessun intervento strutturale, e dall’altro a provvedimenti che favoriscono sempre palazzinari, banche e speculatori.
Il problema degli alloggi popolari, non è che vengono assegnati prima agli immigrati, come afferma Libero e non solo, ma che sono insufficienti e spesso non vengono assegnati per nulla (vedi Milano con 10.000 alloggi popolari vuoti): l’Italia, con il 5,3% sul totale degli alloggi, è agli ultimi posti per stock di abitazioni sociali in rapporto al totale delle abitazioni mentre, ad esempio, nei Paesi Bassi è il 32%, seguito da Austria (23%), Danimarca (19%), Regno Unito (18%), Svezia (18%), Francia (17%) e Finlandia (16%). L’incidenza delle assegnazioni “agli immigrati” (che naturalmente non è superiore a quella degli “italiani”) deriva dal fatto che è più alta in essi la richiesta, vivendo il disagio abitativo in misura maggiore, come conseguenza di una percentuale nettamente superiore di condizioni lavorative e salariali peggiori e a rischio di povertà (41,7% rispetto al 14,9%) e che più di un senzatetto su due (58,2%) è straniero mentre il 19% delle famiglie straniere vive forme di gravi deprivazioni materiali e il 49,1% di esse è rischio povertà relativa. Pertanto, è ovvio che a peggiori condizioni di impiego corrispondono forme maggiori di disagio abitativo e materiali (sia per gli italiani che i non italiani). La competizione al ribasso su salari e condizioni di lavoro si riflette anche sulla casa ed ha un solo responsabile: il profitto di pochi parassiti difeso a colpi di leggi, manganelli, ricatti, soprusi, e promuovendo una competizione disumana tra sfruttati generando il conflitto orizzontale – dividendo gli oppressi che è la miglior tutela possibile degli oppressori. E Libero, come molti altri, svolge proprio questo ruolo.
Con i toni di Feltri si mira solo a tutelare la grande proprietà immobiliare e promuovere quel perbenismo che invoca la violenza e l’odio verso gli ultimi, la delegittimazione dei diritti fondamentali delle persone di fronte la sacralità della loro proprietà e profitti. Perché in fin dei conti, come ha scritto Feltri, quali altri modi si dovevano utilizzare per cacciare dalla Piazza i migranti? Il pensiero dominante di non potersi difendere di fronte all’invasione (o dell’immigrazìa, con l’accento sulla “i”, di quel “cantante” che si riprende in camera come se avesse 13 anni) ha come reazione quello della difesa imbarazzante degli status-quo: così Libero getta ulteriore benzina sul fuoco, nonostante i più sono abituati ai suoi scritti scriteriati. La verità è che quei manganelli di p.zza indipendenza colpiscono tutti noi, italiani o stranieri, che viviamo del nostro sudore, sangue e sacrificio.