La condanna all’oblio di un Nigeriano a Tripoli

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La condanna all’oblio di un Nigeriano a Tripoli

di Michelangelo Severgnini

 

“D’accordo, avrà tutte le ragioni di questo mondo, ci dispiace, ma non ci sembra questo il momento per chiedere soldi alla gente per aiutare un nigeriano a tornare a casa dalla Libia, con la crisi del Covid in corso. Già è difficile salvare chi sta annegando in mare. Almeno chi sta a terra, lasciamolo dov’è”.

“E poi, i migranti in mare vanno salvati perché approdino in Europa. Dei migranti in Libia che vogliono tornare a casa non ne abbiamo proprio voglia di occuparci. Non è ciò per cui stiamo lavorando. È un messaggio disfattista e controproducente”.

 

Questo è l’atteggiamento che sta tenendo la politica europea (ne abbiamo già parlato in un precedente post de lariscossa.info, vedi qui).

 

Non sappiamo quali siano i pensieri esatti che siano passati per la mente del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, dopo aver guardato il video messaggio che John ha registrato per lui e che noi, attraverso il suo portavoce, gli abbia fatto pervenire (vedi qui). Ma una risposta ce la saremmo aspettata. La deve in risposta alle sue promesse.

 

LA STORIA DI JOHN

Ma facciamo un passo indietro, a quando questa storia, ormai oltre 2 anni fa, è cominciata.

Il 12 novembre 2018, presso la chiesa di Santa Maria dello Spasimo, a Palermo, si tiene l’evento “L’Urlo”, organizzato dall’associazione “Stalker” e da “Exodus – fuga dalla Libia”. In quell’occasione John, un migrante nigeriano, parla al telefono da Tripoli con il sindaco Leoluca Orlando (vedi qui). Il sindaco promette a John che, qualora arrivasse a Palermo, quel giorno riceverebbe la cittadinanza palermitana dal sindaco in persona.

Passano 2 anni da quella telefonata e John mi ricontatta. Purtroppo è ancora a Tripoli, con la moglie e un figlio piccolo bisognoso di cure.

Oggi, dopo aver lavorato da schiavo per 2 anni, dopo aver subito due sequestri e aver dovuto pagare altrettanti riscatti alle milizie, John ha deciso di tornare a casa, perché non se la sente di mettere a ulteriore rischio la vita sua e della sua famiglia. Così ci invia un video appello per il sindaco Orlando che noi gli facciamo pervenire.

John, ricordando la telefonata avuta tra i due, si rammarica di non essere riuscito a raggiungere Palermo e chiede in questo caso al sindaco un aiuto per tornare in Nigeria.

Un aiuto anche solo per dare visibilità alla sua raccolta fondi. John ha bisogno di 5.000€ per coprire le spese delle cure per il figlio e per ripianare i debiti contratti per pagare i riscatti alle milizie. Per questo, di sua iniziativa, ha lanciato un crowdfunding cui tutti possono partecipare (vedi qui).

 

NON PIU’ MIGRANTI MA SCHIAVI IN TRAPPOLA

La storia di John ci racconta una verità non più rimandabile, ormai. Chi sta in Libia oggi non è più un “migrante”. Ha smesso di migrare perché in trappola in una prigione a cielo aperto, la Tripolitania, divenuta negli ultimi anni una zona franca di libero sfruttamento del nero africano. Ha smesso di migrare perché quest’anno solo uno su 70 (!) dei migranti in Libia è riuscito a sfuggire e ad attraversare il mare. Tutti gli altri sono rimasti indietro. Quello in Libia è un popolo abbandonato.

Da alcuni anni nessuno entra più in Libia, grazie ad una grande campagna d’informazione che si è propagata spontaneamente tra i giovani africani a partire da chi ha avuto la fortuna di tornare a casa e raccontare gli orrori della Libia.

Ma estremamente difficile è anche lasciare la Libia. Non solo raggiungere l’Europa, ma anche tornare a casa non è facile, quando sei in stato di detenzione o di schiavitù e tra te e casa tua c’è il deserto del Sahara.

John, come moltissimi altri, oggi chiede un aiuto per tornare a casa.

Lo chiede al sindaco Orlando e a tutti noi nel video-messaggio che proponiamo. Ma ancora di più ci chiede di andare oltre l’ipocrisia e gli steccati ideologici e di fare uno sforzo per capire davvero cos’è diventata oggi la Tripolitania e perché i salvataggi in mare non sono la soluzione. John, in altre parole, ci sta dicendo che la parola “migrante” è una trappola, una gabbia concettuale, perché esclude all’origine la volontà del ritorno e condanna queste persone ad un eterno presente di schiavitù.

 

MATERIALE UMANO DI SCARTO

Ma l’Italia dal cuore buono non lo vede, non lo sente, non lo considera. John è solo un povero disertore nella battaglia ideologica dell’Europa salvatrice.

Materiale umano di scarto, buono né per confezionare una storia mielosa a favore dell’ideologia del “refugee welcome”, né come schiavo per i Libici se davvero un giorno riuscisse a tornare a casa.

Negli ultimi anni un programma dell’agenzia OIM ha consentito a più di 60.000 ragazzi africani in Libia di tornare a casa volontariamente con voli gratuiti da Tripoli al paese d’origine.

Da 2 anni “Exodus – fuga dalla Libia” pubblica le voci di chi dalla Libia implora di essere liberato e riportato a casa, ma ancora non ha trovato posto nei voli a disposizione, insufficienti a soddisfare la domanda di rimpatrio volontario.

 

VERITA’ SCOMODE CHE IL FURORE IDEOLOGICO NON VEDE

Ma perché John chiede queste poche migliaia di euro per tornare a casa? Perché non torna e fine del discorso? Perché per trovare posto sui pochi aerei di rimpatrio spesso bisogna corrompere i funzionari locali delle Nazioni Unite o della propria ambasciata. E servono soldi. Perché il figlio piccolo di 2 anni ha bisogno di cure, che il sistema sanitario libico non offre loro. Anzi, a una visita in ospedale potrebbe seguire un arresto di tutta la famiglia. Perché John, come la quasi totalità degli africani in Libia (un rapporto dei mesi scorsi di “Doctors for Human Rights” dice che l’85% di chi ha raggiunto l’Italia dalla Libia è passato attraverso la tortura), è stato più volte rapito, torturato e per salvarsi ha dovuto indebitarsi per pagare il riscatto che l’ha sottratto dalle mani degli aguzzini.

Per tornare in Nigeria, ora ha bisogno di ripagare questi debiti.

Come “Exodus – fuga dalla Libia” ha raccontato più volte, la richiesta dei torturatori in questi casi è intorno ai 4.000 dollari.

Sono 700.000 i migranti intrappolati in Libia, abbandonati dalle false promesse dell’Europa, di cui almeno l’85% passati attraverso questo trattamento.

È un esercito inerme di schiavi e di innocenti in balia di milizie e mafie africane. Un sistema criminale con ramificazioni in tutta l’Africa sostenuto dal governo italiano attraverso gli accordi con il governo di Tripoli per continuare a trafugare il petrolio libico. Un sistema che l’ideologia dei “porti aperti” si guarda bene dal mettere in discussione.

“Ci sono i lager nazisti in Libia”, ci dicono. Mah, forse la realtà è molto peggio. Ma quindi, qual è la risposta storica a tutto questo?

Aspettarli in mare? Come se sul finire della seconda guerra mondiale qualcuno avesse approntato ospedali da campo sugli Urali per gli internati nei campi di concentramento per poi appellarsi: “scappate, attraversate le steppe e le linee nemiche, venite verso gli Urali e noi vi salveremo”.

Nossignori.

Quelle persone vanno tirate fuori dalla Libia, esattamente come 75 anni fa.

Va smantellato il sistema di potere a Tripoli, come chiesto dai cittadini libici, vanno disarmate le milizie libiche da cui noi acquisiamo il petrolio libico illegale.

Tutto il resto è collaborazionismo arcobaleno.

 

FAI UNA DONAZIONE A JOHN QUI:

gofundme.com/f/9qd3u-in-need-of-medical-support

 

GUARDA IL VIDEO APPELLO DI JOHN A ORLANDO:

https://www.youtube.com/watch?v=F8hOKtLoqwI

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